Con la conversione in legge del d.l. 29 dicembre 2022, n. 198 (cd. “Decreto Milleproroghe”), avvenuta lo scorso 23 febbraio, si è sancito un ulteriore rinvio del termine di applicazione della disciplina emergenziale in tema di riunioni assembleari di società di capitali e cooperative (art. 106, d.l. 18/2020, cd. “Decreto Cura Italia”), che continuerà ad applicarsi fino al 30 luglio 2023. Anche per la prossima “stagione assembleare”, pertanto, tramite l'avviso di convocazione – e a prescindere da quanto stabilito dallo statuto sul punto – si potrà, tra l'altro, ammettere:
- il voto elettronico o per corrispondenza, ovvero l'intervento (e il voto) a distanza;
- lo svolgimento dell'adunanza assembleare unicamente a distanza (riunione meramente virtuale), con possibilità che anche il presidente, il segretario o il notaio non siano presenti nel medesimo luogo fisico;
- l'intervento alle riunioni assembleari delle società quotate soltanto tramite il rappresentante designato ex art. 135-undecies t.u.f.
Le ragioni di questo ulteriore rinvio sono molteplici.
In primo luogo, in occasione delle riunioni meramente virtuali (ovvero tramite rappresentante designato) che si sono tenute negli scorsi anni non si sono registrate problematiche tali da giungere ad un generale giudizio negativo al riguardo. All'opposto, le valutazioni espresse al proposito sono state solitamente favorevoli, in ragione soprattutto della maggiore efficienza della funzione assembleare garantita dalle modalità “alternative” di svolgimento della riunione permesse dalla disciplina emergenziale. In altri termini, l' “esperimento forzato” imposto dalla pandemia ha avuto esito sostanzialmente positivo, perlomeno in una prospettiva tecnico-organizzativa (per approfondimenti sul punto sia consentito rinviare a Luciano, Riunione assembleare e diritto d'intervento, Milano, 2022, 240 ss.).
L'apertura a tali modalità “alternative” di svolgimento dell'adunanza assembleare è avvenuta, del resto, in un contesto in cui le regole in tema di procedimento assembleare necessitavano – e necessitano – di un ripensamento, posto che il quadro fattuale e giuridico che si è consolidato negli ultimi anni è fortemente mutato rispetto a quello in cui suddette regole sono state elaborate (sulla necessità di adeguare la disciplina in tema di assemblea all' “era di internet” v. già Turelli, Assemblee di società per azioni ed esercizio del diritto di voto mediante mezzi elettronici, in Riv. dir. civ., 2011, 445 ss.; Id., Assemblea di società per azioni e nuove tecnologie, in Riv. soc., 2004, 116 ss.). La generale attitudine ad un' “espansione” della riunione assembleare (che tende sempre meno ad essere “imbrigliata” in un preciso e limitato contesto spazio-temporale) anche in ragione della grande diffusione di mezzi di informazione e comunicazione sofisticati e di facile utilizzo e la volontà del legislatore di rafforzare e facilitare l'esercizio del diritti sociali degli azionisti sono soltanto alcuni degli elementi che rendono opportuna una “modernizzazione” di questo procedimento. Processo questo (“modernizzazione”) che, ben lungi dal riguardare unicamente l'assemblea e il suo procedimento, si inserisce nella più generale esigenza di adeguare l'ordinamento societario alle evoluzioni tecnologiche, che è al momento al centro del dibattito (nell'amplissima letteratura in materia v., ad esempio, Abriani-Schneider, Diritto delle imprese e intelligenza artificiale, Milano, 2021, passim; Eidenmüller-Wagner, Law by Algorithm, Tübingen, 2021; Tombari, Intelligenza artificiale e corporate governance nelle società quotate, in Riv. soc., 2021, 1431 ss.).
Se si considera, però, che siffatto “ripensamento” potrebbe incidere su assiomi consolidati del diritto societario – quali, anzitutto, la necessità che i membri dell'assemblea debbano potersi incontrare fisicamente sì da esercitare adeguatamente le loro prerogative (sul punto cfr., ex multis, nella letteratura più recente, P. Marchetti-Ventoruzzo, L'assemblea virtuale? Qualcosa resterà, in Corriere della sera, 30 marzo 2020; Guntermann, Das Recht der Aktionäre zur Teilnahme an der Hauptversammlung, in ZGR, 2021, 473 ss.) – e che questi sono notoriamente posti a tutela di “categorie deboli” (e, principalmente, dei soci di minoranza), tale compito sembra poter essere lasciato (soltanto) all'interprete. È probabile, pertanto, che si renda opportuno un intervento del legislatore, al quale spetta il difficile compito di bilanciare le esigenze di efficienza e di modernizzazione del procedimento assembleare delle quali si è detto, con la tutela dei diritti dei componenti di siffatto organo, con particolare riguardo a coloro che non possono incidere sulla funzione assembleare né direttamente (poiché non sono titolari del potere di controllo), né indirettamente (perché la condizione nella quale si trovano fa sì che la società non si confronti con i medesimi al di fuori della riunione assembleare). Compito questo che è reso ancora più complesso, per un verso, dalla considerazione che l'ordinamento europeo impone oggi di valorizzare il contributo di tale componente, sul presupposto che la stessa possa svolgere un utile compito di monitoraggio dell'esercizio delle funzioni sociali; per altro verso, dalla constatazione che le forme “alternative” di intervento all'adunanza sono sempre “ad handicap”, se rapportate a quella tradizionale della presenza fisica (cfr., ad esempio, M. Cian, L'intervento e il voto elettronici nelle assemblee di s.p.a., in Riv. soc., 2011, 1075. Relativamente all'indirizzo del diritto europeo appena menzionato – che è davvero pacifico – sia sufficiente in questa sede rimandare alle cd. Shareholder Rights Directive I e II, ossia alle Direttive CE 11.7.2007, n. 36 e UE 17.5.2017, n. 828).
In altri termini, un'eventuale maggiore “apertura” alla riunione assembleare virtuale – e, più in generale, alle forme “alternative” di partecipazione alla medesima – non può determinare una riduzione dei diritti dei soci, che sarebbe contraria al diritto europeo e che rischierebbe peraltro di essere valutata negativamente dagli investitori.
Quanto affermato non implica necessariamente l'impossibilità di procedere nel senso di siffatta “apertura”, ma questa deve essere adeguatamente strutturata in modo da garantire – casomai con un'appropriata procedimentalizzazione del diritto d'intervento e di voto – che la stessa non implichi, in definitiva, un “indebolimento” della posizione dei soci. In tale prospettiva, il “rinvio” del termine per l'applicazione della disciplina emergenziale può essere valutato favorevolmente se inteso come conseguente alla presa d'atto che il tema merita un'approfondita riflessione e che la soluzione alle problematiche esposte in precedenza non è certamente rintracciabile nella mera “cristallizzazione” (e quindi nel passaggio dal diritto emergenziale al diritto comune) delle regole del Decreto Cura Italia. Regole queste che – se considerate al di fuori del contesto pandemico nel quale sono state elaborate – si pongono invece obiettivamente nel senso di suddetto “indebolimento”.