Abuso dello strumento processuale: quali sono i presupposti per la condanna?

Redazione scientifica
27 Febbraio 2023

Ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l'esercizio dell'azione processuale nel suo complesso, cosicché può considerarsi meritevole di sanzione l'abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta.

La vicenda riguardava il ricorso per cassazione proposto da due società - nelle rispettive qualità di cedente e cessionaria di un credito chirografario ammesso allo stato passivo del fallimento di una società agricola - avverso il decreto del Tribunale che aveva rigettato il loro ricorso per la revocazione del decreto di esecutorietà del medesimo stato passivo.

Per quanto di interesse, le società impugnavano tale decreto nella parte in cui aveva respinto il ricorso in ragione della ritenuta insussistenza dei vizi revocatori e le aveva condannate al pagamento, oltre che delle spese, di una somma determinata in via equitativa ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.

La Corte ha ritenuto il motivo infondato. Come autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9912/2018, la responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, non richiede la domanda di parte né la prova del danno, ma esige, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell'ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l'infondatezza o l'inammissibilità della propria domanda.

Sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l'esercizio dell'azione processuale nel suo complesso, cosicché può considerarsi meritevole di sanzione l'abuso dello strumento processuale in sé, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosità dell'azione per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.

Secondo la Corte, il Tribunale, nel far conseguire la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. alla «assolta infondatezza del ricorso», ha fatto discendere la predetta sanzione processuale dalla manifesta infondatezza dell'opposizione e dalla palese inconsistenza giuridica dei relativi motivi. Così argomentata, dunque, la decisione si sottrae alla censura prospettata, potendo il giudice del merito desumere da tali elementi la responsabilità della parte per il mancato impiego della doverosa diligenza ed accuratezza nel proporre l'opposizione.

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