La rilevanza ai fini IVA della risoluzione degli accordi di ristrutturazione dei debiti fra vecchie e nuove criticità

Giulio Andreani
Angelo Tubelli
27 Febbraio 2023

L'articolo offre una panoramica sulle precisazioni rese dalla Agenzia delle Entrate con il principio di diritto n. 1/2023, pubblicato il 10 gennaio 2023, in tema di obbligo di emissione delle note di variazione ex articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (c.d. decreto IVA)
Breve inquadramento della disciplina delle variazioni in diminuzione IVA nella crisi d'impresa

L'art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come modificato dall'art. 18 del D.L. 25 maggio 2021, n. 73, ha sancito, relativamente alle procedure aperte a partire dal 26 maggio 2021, il diritto del contribuente di recuperare l'IVA applicata al cessionario/committente in stato di crisi, nei confronti del quale sia stata aperta una procedura disciplinata, prima, dalla legge fallimentare e, ora, dal Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (di seguito per brevità il “Codice”), senza più dovere attendere la infruttuosa conclusione della procedura. Per le procedure aperte prima del 26 maggio 2021, continuano invece ad applicarsi le regole previgenti, sicché per l'Agenzia delle Entrate occorre attenderne conclusione infruttuosa per potere emettere la nota di variazione in diminuzione e recuperare l'imposta applicata e non incassata

Ai sensi dei commi 3-bis e 10 del citato art. 26 del D.P.R. 633/1972, quando il mancato pagamento sia dovuto allo stato di crisi dell'impresa debitrice “certificato” dall'apertura di una procedura, il soggetto creditore, per recuperare l'imposta applicata ma non incassata, può emettere la nota di variazione in diminuzione IVA entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa:

  • all'anno di emissione della sentenza dichiarativa del fallimento;
  • all'anno di emissione del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
  • all'anno di emissione del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
  • all'anno di emissione del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi;
  • all'anno in cui viene disposta l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero viene pubblicato nel registro delle imprese il piano attestato di risanamento.

Con la risposta fornita il 25 gennaio 2022 nell'ambito del tradizionale incontro annuale con la stampa specializzata, l'Agenzia delle Entrate ha però riconosciuto che, in caso di avvenuto decorso di tali termini, il cedente/prestatore può comunque contare sul diverso e autonomo presupposto sancito dal comma 2 dell'art. 26 del D.P.R. 633/1972 per operare la variazione in diminuzione, aspettando la data della definitiva conclusione della procedura (da individuarsi secondo le regole prescritte dall'Agenzia delle Entrate con riguardo alle procedure aperte anteriormente al 26 maggio 2021); il medesimo concetto è stato poi ufficialmente ribadito nell'ambito della risposta a interpello n. 485 del 3 ottobre 2022.

Il D.L. n. 73/2021 è intervenuto anche ex latere debitoris, tramite l'integrazione del comma 5 dell'art. 26 del D.P.R. 633/1972, che di regola prevede l'obbligo del debitore di registrare “a debito” la nota di variazione in diminuzione emessa dal creditore, se in precedenza aveva proceduto a detrarre l'imposta così rettificata. Nel testé citato comma 5 è stato infatti aggiunto il periodo che segue: “L'obbligo di cui al primo periodo non si applica nel caso di procedure concorsuali di cui al comma 3-bis, lettera a)”. Ne discende che in capo all'impresa debitrice assoggettata a una procedura non sussiste l'obbligo di registrare a debito (nei limiti della detrazione a suo tempo operata) la nota di variazione in diminuzione emessa dal cedente/prestatore e, di conseguenza, non sussiste nemmeno il correlato obbligo di computare la relativa rettifica ad incremento dell'imposta dovuta o a decremento del credito spettante, in sede di liquidazione del tributo.

Con la circolare n. 20/E/2021 l'Agenzia delle Entrate ha tenuto a rimarcare che l'esonero dalla registrazione a debitodella nota di variazione in diminuzione emessa dal creditore opera unicamente nel caso di assoggettamento del debitore a fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo (liquidatorio o con continuità aziendale) e amministrazione straordinaria. Il medesimo esonero non riguarda, invece, gli accordi di ristrutturazione dei debiti omologati e i piani attestati di risanamento pubblicati, trattandosi di istituti non “qualificabili come procedure concorsuali in senso stretto, in quanto mancano sia del carattere della ‘concorsualità', sia di quello dell'‘ufficialità'”. Sebbene le motivazioni addotte dall'Agenzia al riguardo non appaiano pienamente convincenti, tale conclusione deve reputarsi comunque corretta de iure condito, perché, se l'assenza del suddetto obbligo fosse estendibile anche agli accordi di ristrutturazione omologati e ai piani attestati di cui sopra, il secondo periodo del comma 5 avrebbe dovuto fare riferimento agli “istituti di cui al comma 3-bis, lett. a)”, anziché alle procedure concorsuali ivi menzionate. Il termine “procedura concorsuale”, infatti, deve essere interpretato in maniera coerente con riferimento a ciascuna delle disposizioni contenute nell'art. 26 del D.P.R. 633/1972, e nel citato comma 3-bis viene operata una specifica distinzione tra le “procedure concorsuali” e gli altri due istituti sopra menzionati, i quali del pari non sono citati dal successivo comma 10-bis, che detta i criteri per individuare la data da cui “il debitore si considera assoggettato a procedura concorsale”.

In una prospettiva de iure condendo resta invece da censurare la scelta del legislatore di prevedere per il concordato preventivo in continuità una disciplina diversa da quella stabilita per l'accordo di ristrutturazione dei debiti, dalla quale deriva l'introduzione nell'ordinamento di un elemento distorsivo che incentiva ingiustificatamente il concordato a discapito dell'accordo di ristrutturazione (quanto meno se questo non è liquidatorio), mentre un fattore che può giustificare una diversità di trattamento dovrebbe essere individuato nella natura di risanamento, o meno, dell'istituto cui l'impresa in crisi fa ricorso, privilegiando gli effetti sostanziali degli strumenti di regolazione della crisi piuttosto che la loro qualificazione nominale. In altri termini, ad avviso di chi scrive, per evitare una ingiustificata “discriminazione fiscale” tra istituti diversi ma accomunati dalla medesima finalità (ovverosia la soluzione negoziale della crisi d'impresa), l'esonero dall'obbligo di registrare a debito la variazione in diminuzione dovrebbe valere solo nel caso in cui il contenuto del piano contempli l'estinzione dell'impresa al termine della sua esecuzione, indipendentemente dall'istituto giuridico a cui si fa ricorso per la soluzione della crisi.



L'ammontare della rettifica in diminuzione e la "rettifica della rettifica"

Il comma 3-bis dell'art. 26 D.P.R. 633/1972 non prevede limitazioni quantitative con riguardo all'ammontare della rettifica in diminuzione, la quale quindi potrebbe in teoria corrispondere all'intero importo del corrispettivo.

Tuttavia, con la circolare n. 20/E/2021 (par. 3), l'Agenzia delle Entrate ha precisato che, in caso di concordato preventivo, “la parte dei corrispettivi fatturati dai creditori che dovrà essere pagata dai debitori sottoposti a detta procedura è individuata in modo specifico fin dal decreto di ammissione, in forza della peculiare disciplina prevista dalla Legge fallimentare.

Da ciò discende, quindi, che il creditore può emettere una nota di variazione in diminuzione solo per la quota di credito chirografario destinata a restare insoddisfatta, in base alle percentuali definite dalla procedura”. Non sarebbe infatti ragionevole attribuire al creditore il diritto di rettificare per intero il proprio credito, quando nella proposta di concordato è invece prevista una specifica percentuale di soddisfazione, in quanto lo scopo della nuova disciplina è quello di consentire al creditore di recuperare la quota-parte dell'imposta di cui può essere escluso il recupero già in tale momento, senza dover attendere la completa esecuzione della procedura concorsuale. Ciò fermo restando che la rettifica in diminuzione non potrebbe riferirsi solo all'imposta, ma dovrebbe riguardare in maniera proporzionale l'imponibile e l'imposta (si veda, anche su questo aspetto, la risposta a interpello n. 485/2022).

A questo proposito occorre segnalare, tuttavia, che la circolare n. 20/E/2021 (si veda il par. 3) sembra considerare, in caso di credito chirografario vantato verso un'impresa fallita, legittima la scelta di rettificare in diminuzione del credito per l'intero ammontare dello stesso all'avvio della procedura (in tal senso si è pronunciata anche Assonime, con la circolare n. 10 del 15 marzo 2022, pag. 14).

Posto che l'assenza di una espressa limitazione quantitativa non potrebbe legittimare tout court l'emissione iniziale di una nota di variazione in diminuzione per l'intero ammontare del credito, dalla nuova disciplina delle variazioni in diminuzione IVA nella crisi d'impresa potrebbe dunque conseguire che la misura della perdita del credito risultante a conclusione della procedura di regolazione della crisi sia minore o superiore a quella stimabile alla data di avvio della stessa, potendosi in particolare verificare che il creditore ottenga una qualche soddisfazione (sebbene minima) con riguardo al proprio credito.

A quest'ultima situazione si riferisce la disposizione contenuta nel comma 5-bis (inserito anch'esso dall'art. 18 del D.L. n. 73/2021 nell'art. 26 D.P.R. 633/1972), prevedendo quanto segue: “[n]el caso in cui, successivamente agli eventi di cui al comma 3-bis, il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte, si applica la disposizione di cui al comma 1. In tal caso, il cessionario o committente che abbia assolto all'obbligo di cui al comma 5 ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'art. 19 l'imposta corrispondente alla variazione in aumento”.

Si tiene così conto della possibilità che la percentuale di soddisfazione possa in concreto variare a seguito dell'andamento della procedura, da cui consegue un obbligo di rettifica in aumento in caso di andamento più che performante rispetto alla stima iniziale. Ne discende che, qualora l'ammontare della nota di variazione in diminuzione emessa all'apertura della procedura concorsuale si dovesse rivelare superiore alla perdita effettivamente subita dal creditore, questi ha l'obbligo di emettere una nota di variazione in aumento per la differenza, entro dodici giorni dall'incasso del credito (il termine per l'emissione della nota di variazione in aumento, infatti, è quello previsto in via ordinaria per l'emissione della fattura da parte del cedente/prestatore).

Nell'ambito della circolare n. 20/E/2021 è stato perciò precisato che anche l'imposta corrispondente alla nota di variazione in aumento emessa ai sensi dell'art. 26 comma 5-bis D.P.R. 633/1972 può essere portata in detrazione dal cessionario/committente, ma a condizione che questi abbia previamente assolto l'obbligo di registrazione a debito previsto in generale dal comma 5. Se ne doveva quindi desumere che il diritto di portare in detrazione l'imposta rettificata ora in aumento spetta al debitore unicamente nell'ambito degli accordi di ristrutturazione omologati o dei piani attestati di risanamento.

Questa conclusione ha ora trovato espressa conferma da parte dell'Agenzia delle Entrate tramite ilprincipio di diritto n. 1/2023 pubblicato il 10 gennaio 2023, con cui è stato ribadito e affermato che:

  1. i piani attestati di risanamento di cui all'art. 56 CCII e gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all'art. 57 CCII non sono qualificabili come procedure concorsuali in senso stretto;
  2. il debitore che vi ha fatto ricorso deve pertanto ridurre la detrazione a suo tempo operata in misura pari alla rettifica in diminuzione esposta nella nota di variazione emessa dal cedente/prestatore;
  3. a fronte del successivo pagamento (totale o parziale) del corrispettivo dovuto al cedente/prestatore, quest'ultimo è obbligato a operare una corrispondente rettifica in aumento per la medesima operazione, mentre il debitore ha diritto di portare in detrazione l'imposta in aumento così applicata.



Il ristretto ambito di applicazione del comma 5-bis

Come dapprima riferito, l'art. 26 comma 5-bis D.P.R. 633/1972 si occupa esplicitamente soltanto del caso in cui, successivamente all'emissione della nota di variazione in diminuzione da parte del creditore, “il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte”.

Con il principio di diritto n. 1/2023 è stato in proposito confermato che detta disposizione opera unicamente in caso di successivo pagamento, in tutto in parte del corrispettivo con riguardo al quale il creditore si sia avvalso della facoltà di emettere la nota di variazione in diminuzione ai sensi del comma 3-bis. In sostanza l'Agenzia ha affermato il principio per cui l'obbligo di emettere una variazione in aumento ai sensi del citato comma 5-bis ricorre “solo a fronte del pagamento, totale o parziale, del corrispettivo che ha costituito oggetto della precedente nota di variazione in diminuzione, eventualmente emessa”,

Nel caso di piani attestati di risanamento pubblicati nel registro delle imprese (ma anche, evidentemente, di accordi di ristrutturazione omologati), il creditore, che si sia avvalso della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, è dunque tenuto ad effettuare una variazione in aumento per la medesima operazione solo a fronte del successivo pagamento, integrale o parziale, del relativo corrispettivo per un importo superiore a quello previsto in sede di emissione della nota di variazione in diminuzione: nelle intenzioni del legislatore, infatti, è questo l'unico presupposto idoneo a far scattare l'obbligo di operare la “rettifica della rettifica”.

L'integrazione della rettifica in diminuzione

Visto che l'art. 26 comma 5-bis del D.P.R. 633/1972 si configura come una norma di chiusura, destinata a trovare applicazione solo per gli eventuali importi residuali “in eccesso” ed il cui contenuto non è perciò riferibile all'integrazione della rettifica nel caso opposto (vale a dire quello in cui l'ammontare del credito incassato risulti inferiore rispetto alle previsioni iniziali), occorre allora domandarsi se il creditore possa recuperare la quota-parte dell'imposta non rettificata con l'emissione della nota di variazione in diminuzione in sede di apertura della procedura.

Si è però dapprima riferito che, se il creditore non ha esercitato il diritto di recuperare l'imposta in occasione dell'apertura della procedura secondo i dettami del comma 3-bis dell'art. 26 D.P.R. 633/1972, egli ha comunque diritto a farlo in occasione della conclusione (infruttuosa) della stessa, potendo comunque contare sul diverso e autonomo presupposto sancito dal comma 2 per operare la variazione in diminuzione.

Lo stesso diritto dovrebbe quindi spettare ai creditori che all'avvio della procedura abbiano esercitato detto diritto soltanto in misura parziale, i quali devono perciò attendere la conclusione definitiva della procedura per rettificare l'operazione in via definitiva, ai sensi del comma 2 dell'art. 26, attraverso l'emissione di una nuova nota di variazione in diminuzione relativamente all'importo inizialmente non rettificato.

Questa conclusione, del resto, costituisce logico corollario della precisazione fornita dall'Agenzia delle Entrate circa il fatto che il comma 3-bis non può essere interpretato nel senso che il creditore fruisce automaticamente del diritto di rettificare per intero il proprio credito al momento di apertura della procedura, ma solo di recuperare la quota-parte dell'imposta di cui può essere fondatamente escluso il recupero già in tale momento.

Gli effetti della sopravvenuta risoluzione dell'accordo

Occorre inoltre domandarsi se l'obbligo di rettificare in aumento la variazione in diminuzione operata in sede di apertura della procedura, previsto dall'art. 26 comma 5-bis D.P.R. 633/1972, ricorra anche in caso di successivo inadempimento dell'obbligazione assunta nell'accordo cui si fonda il piano attestato (ovvero nell'accordo di ristrutturazione omologato) e conseguente risoluzione dello stesso, in quanto risulterebbe venuto meno il presupposto che ne aveva legittimato l'emissione.

In proposito con il principio di diritto n. 1/2023 l'Agenzia delle Entrate ha opportunamente affermato che l'eventuale risoluzione dell'accordo resta un evento del tutto irrilevante ai fini dell'applicazione della norma testé citata, atteso che, a fronte dell'acclarato omesso pagamento da parte del cessionario/committente, l'obbligazione iniziale rimane inadempiuta e l'eventuale risoluzione dell'accordo raggiunto in base al piano non muta tale aspetto, aprendo anzi “alla possibilità di procedere ad una nuova variazione in diminuzione ……….”.

Tale affermazione è condivisibile perché la risoluzione dell'accordo non consente certamente al creditore di recuperare i crediti che ha precedentemente considerato irrecuperabili, relativamente ai quali ha emesso una nota di variazione in diminuzione iva; al contrario, essa acclara e rende manifesta l'incapacità dell'impresa debitrice di far fronte persino all'obbligazione risultante dalla ristrutturazione dei debiti (ancorché per la stessa più favorevole rispetto a quella originaria). Anzi, come ha osservato l'Agenzia, può dare luogo a nuove perdite e quindi al presupposto di una successiva e ulteriore variazione in diminuzione.

Quest'ultima variazione, tuttavia, non può discendere automaticamente dalla mera risoluzione dell'accordo concluso in esecuzione del piano attestato, non originando di per sé tale risoluzione alcuna delle fattispecie che, in base alla legge, giustificano una variazione in diminuzione, ma può derivare solo da un ulteriore piano attestato o dal ricorso ad altro strumento di regolazione della crisi (ad esempio un accordo ex art. 57 CCII o un concordato preventivo), per effetto del quale il soddisfacimento del creditore subisca una falcidia maggiore di quella precedentemente convenuta.

Ciononostante, nel caso in cui la variazione in diminuzione sia stata eseguita dal creditore in misura inferiore a quella prevista dall'accordo concluso con l'impresa debitrice e poi risolto (ad esempio, nella misura del 50%, a fronte di un pagamento previsto dal piano nella misura del 40% del credito e dunque di uno stralcio pari al 60%), la risoluzione dell'accordo, attestando l'incapacità dell'impresa debitrice di pagare anche solo l'importo convenuto (nell'esempio quello corrispondente al 40%), consente l'emissione di una ulteriore nota di variazione per la differenza fra lo stralcio previsto dal piano e quello oggetto della variazione effettivamente eseguita (nell'esempio che precede una variazione pari al 10% del credito determinata dalla differenza tra la misura del 60% e quella del 50%), pur non permettendo di per sé, la risoluzione, l'emissione di una nota di variazione per un ulteriore ammontare, che, come si è precisato, richiede invece il ricorso a un nuovo strumento di regolazione della crisi.

Come si è già esposto, nel principio di diritto n. 1/2023 l'Agenzia delle Entrate ha affermato che l'eventuale risoluzione dell'accordo raggiunto in base al piano apre “alla possibilità di procedere ad una nuova variazione in diminuzione” aggiungendo però a questa frase le parole “dopo quella in aumento”, le quali destano qualche perplessità. È infatti oscura la ragione per cui la possibilità di procedere ad una nuova variazione in diminuzione dovrebbe poter essere esperita solo “dopo quella in aumento”, visto che - come dianzi rilevato - è la stessa Agenzia a riconoscere che il legislatore ha stabilito “l'obbligo di una variazione in aumento solo a fronte del pagamento, totale o parziale, del corrispettivo che ha costituito oggetto della precedente nota di variazione in diminuzione, eventualmente emessa”.

In caso di rettifica in diminuzione “parziale”, il creditore ha il diritto di operare un'ulteriore rettifica in diminuzione ai sensi dell'art. 26 comma 2 D.P.R. 633/1972, al fine di recuperare la residua imposta non rettificata inizialmente sulla base del piano attestato (si veda l'esempio sopra riportato, in cui, seppur in presenza di una stralcio convenuto nella misura del 60%, il creditore esegue inizialmente una variazione del 50%, da cui discende il suo diritto a effettuare un'ulteriore variazione del 10%); così come, a seguito della risoluzione dell'accordo e della pattuizione, mediante altro accordo o per effetto di altro strumento di regolazione della crisi, di un maggior stralcio, il creditore ha il diritto di eseguire una nuova variazione pari all'eccedenza della falcidia definitivamente stabilita rispetto a quella prevista dall'accordo oggetto di risoluzione. Si assuma, riprendendo l'esempio che precede, che dopo la risoluzione dell'accordo che prevedeva uno stralcio del 60% ne venga concluso un altro da cui discenda una falcidia dell'80%: in questo caso, dopo la originaria variazione di 50 e quella “integrativa” di 10 (consentita dalla misura dello stralcio del 60% inizialmente convenuta), il creditore ha il diritto di effettuare una nuova variazione pari al 20% del credito sulla base del nuovo accordo. Tali diritti spettano al creditore indipendentemente dal fatto che abbia precedentemente eseguito una variazione in aumento, a rettifica di quella in diminuzione anteriormente effettuata, dovuta al ricevimento di un pagamento maggiore di quello previsto dall'accordo concluso.

Anzi, posto che la variazione in aumento deve essere eseguita dal creditore solo se, ricevendo questi un pagamento maggiore di quello previsto dal piano, l'ammontare della variazione in diminuzione eseguita a seguito dell'accordo si rivela superiore alla perdita effettivamente subita dal creditore, è fisiologicamente da escludere che il presupposto dell'esecuzione della variazione in aumento possa essersi verificato ogniqualvolta l'accordo venga risolto a causa dell'inadempimento dell'impresa debitrice.

Pertanto, le suddette parole “dopo quella in aumento” contenute nel principio di diritto sono da considerare, quanto meno con riguardo alla generalità dei casi, prive di rilevanza.