Riforma processo civile: le novità in materia di negoziazione assistita

Roberta Metafora
01 Marzo 2023

Al pari di quanto è accaduto con riguardo alla mediazione, anche per la negoziazione assistita il Parlamento ha delegato il Governo ad incentivarne l'utilizzo, allo scopo di realizzare gli obiettivi e le finalità di semplificazione e snellimento dell'attività processuale che ispira l'intero processo di riforma in materia civile.
Il procedimento di negoziazione assistita

La disciplina della procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati è contenuta nel d.l. n. 132/2014, convertito con modificazioni in l. n. 162/2014.

Detto procedimento si articola in tre fasi: 1) la prima, consistente nella stipulazione ad opera delle parti in lite di una convenzione di negoziazione, mediante la quale esse convengono di cooperare, «in buona fede e con lealtà», per risolvere in via amichevole una controversia vertente su diritti disponibili tramite l'assistenza dei rispettivi difensori; 2) la seconda, in cui le parti (i.e. i loro difensori) pongono in essere l'attività di negoziazione vera e propria e 3) la terza (ed eventuale), rappresentata dalla sottoscrizione, da parte di difensori e parti, dell'accordo conciliativo.

Come accade per la mediazione, anche questo procedimento, spesso, non è frutto della scelta volontaria delle parti di sottrarsi al processo; la legge ha infatti previsto accanto alla procedura facoltativa, una seconda figura di negoziazione assistita, c.d. obbligatoria, in quanto prevede a carico della parte attrice l'obbligo di formulare un invito alla stipulazione di una convenzione di negoziazione assistita quale condizione di procedibilità per le controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e per le controversie in cui una parte vanti una pretesa, a qualsiasi titolo, al pagamento di somme non eccedenti cinquantamila euro, con esclusione delle controversie concernenti obbligazioni derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori.

Le novità apportate dalla Riforma

Il d.lgs. n. 149/2022, allo scopo di rendere più chiara la disciplina in punto di negoziazione, suddivide il Capo II del d.l. n. 132/2014 in due distinte sezioni:

la sezione I, rubricata «Della procedura di negoziazione assistita», che contiene gli articoli già vigenti, alcuni dei quali vengono in parte modificati, e alcuni ulteriori articoli introdotti dalle lettere d) e g) dell'art. 9 del decreto di Riforma;

la sezione II, rubricata «Disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato nella negoziazione assistita» (v. lett. l)), che introduce gli articoli da 11-bis a 11-undecies.

La convenzione di negoziazione assistita

Ai sensi dell'art. 2, comma 1 della l. n. 162/2014, la convenzione di negoziazione assistita è l'«accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l'assistenza di avvocati iscritti all'albo anche ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 96/2001».

La legge prevede un particolare iter per il perfezionamento del consenso: ai sensi dell'art. 4, la parte che intende addivenire alla stipulazione della convenzione di negoziazione assistita, tramite il proprio avvocato, inviare alla controparte un apposito invito con l'avvertimento che «la mancata risposta all'invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 e 642, comma 1, del codice di procedura civile». Oggi la Riforma modifica tale norma, precisando che il rinvio all'art. 96 deve ritenersi limitato ai primi tre commi di tale ultimo articolo, in quanto l'art. 3, comma 6, del decreto legislativo ha aggiunto un quarto comma che non ha attinenza con la disposizione di cui al citato art. 4, comma 1.

Con il contratto di negoziazione le parti non solo si impegnano a cercare una soluzione stragiudiziale alla controversia, ma individuano anche (art. 2, comma 2):

a) «il termine concordato dalle parti per l'espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore ad un mese e non superiore a tre, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo delle parti»;

b) l'ambito oggettivo della controversia stragiudiziale.

Sino ad oggi erano escluse dall'ambito di operatività dell'istituto non solo le controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili, ma anche quelle laburistiche. La soluzione lasciava invero assai perplessi in quanto un settore nel quale la procedura di negoziazione assistita poteva effettivamente trovare applicazione era proprio quello delle controversie di lavoro. Con la riforma, il legislatore è ritornato sui suoi passi e ha modificato l'art. 2, comma 2, lett. b) sopprimendo le parole «o vertere in materia di lavoro»: in tal modo, ha aperto alla possibilità di fare ricorso alla negoziazione assistita per le controversie di lavoro.

Correlativamente è stato introdotto l'art. 2-ter, che disciplina l'utilizzo della negoziazione assistita nell'ambito delle controversie di lavoro di cui all'art. 409 c.p.c. quale procedimento alternativo a quello previsto dall'art. 412-ter c.p.c., con la garanzia della difesa tecnica dell'avvocato che assiste ciascuna parte e con l'ulteriore garanzia della possibilità della parte che ritiene di avvalersene, di essere assistita da un consulente del lavoro. Si tratta dunque di un procedimento facoltativo, essendo espressamente affermato che esso non costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Per la legge di delega, all'accordo così raggiunto deve applicarsi il regime di stabilità previsto dall'art. 2113, comma 4, c.c. Per tale motivo, lo schema di decreto legislativo presentato alle Camere il 2 agosto ha previsto la modifica dell'art. 2113, comma 4, c.c. prevedendosi tra le eccezioni alla regola dell'invalidità delle rinunzie e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi anche gli accordi conciliativi intervenuti a seguito di una procedura di negoziazione assistita. Tale modifica è stata tuttavia giudicata irragionevole dalle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, le quali hanno suggerito di non procedere alla modifica del quarto comma dell'art. 2113 a causa della specificità e delicatezza del contenzioso laburistico e di prevedere in luogo della modificazione all'art. 2113 c.c. la trasmissione dell'accordo entro 10 giorni ad una delle Commissioni di Certificazione dei contratti di lavoro di cui all'art. 76 d.lgs. n. 276/2003 onde ottenere l'attestazione che il contratto che si vuole sottoscrivere abbia i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla legge. L'indicazione è stata accolta dal Governo che ha approvato il decreto legislativo secondo quanto suggerito dalle Commissioni Giustizia di Camera e Senato.

Allo scopo di permettere la standardizzazione del contenuto della convenzione, è stato poi introdotto nell'art. 2 il comma 7-bis, nel quale si precisa che per la convenzione di negoziazione assistita si utilizza, salvo diverso accordo, il modello elaborato dal CNF (https://www.consiglionazionaleforense.it/documents/20182/200985/3+FAC-SIMILE+CONVENZIONE+di+N.A.+%28generica%29-1.pdf/fca82b50-f273-4a96-8925-630c76f6f997).

La presenza di uno o più avvocati

In sede di conversione del d.l. n. 132/2014, il legislatore aveva stabilito che la procedura di negoziazione assistita prevedesse l'assistenza obbligatoria di uno o più avvocati, modificando così sia l'art. 2 comma 1 che la rubrica della norma, intitolata «Procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati».

Da tale modifica si era pertanto desunto che la procedura di negoziazione assistita potesse essere svolta anche con l'assistenza di un solo avvocato. Sennonché, quest'eventualità ha sollevato non pochi problemi, a cominciare da quelli deontologici.

La dottrina che si è interrogata sulla questione ha tentato di interpretare la norma nel senso che le parti debbano essere assistite da almeno un avvocato; a tale tesi ostava tuttavia il dato letterale. Per tale motivo, la Riforma ha soppresso nella rubrica del Capo II e negli artt. 2 e 6 le parole «uno o più»riferite agli avvocati che assistono le parti nella negoziazione assistita e negli articoli di nuova introduzione fa riferimento all'assistenza di almeno un avvocato per parte (naturalmente non risulta precluso avvalersi dell'assistenza di più avvocati).

La negoziazione assistita in modalità telematica

L'art. 9, comma 1, lett. d) del decreto introduce l'art. 2-bis nel d.l. n. 132/2014 onde disciplinare la negoziazione svolta secondo modalità telematiche.

Viene così previsto, al pari di quanto disposto per la mediazione, il rinvio alle norme del codice dell'amministrazione digitale, di cui al d.lgs. n. 82/2005, per quanto riguarda la formazione e la sottoscrizione dei documenti, compreso l'atto conclusivo, nonché l'invio tramite pec o altro servizio di recapito certificato qualificato.

Viene inoltre stabilito che gli incontri, ad eccezione di quelli per l'acquisizione delle dichiarazioni del terzo di cui all'art. 4-bis d.l. n. 132/2014, possono svolgersi con collegamento audiovisivo da remoto, purché idoneo ad assicurare la contestuale, effettiva e reciproca audibilità e visibilità delle persone collegate. La sottoscrizione dell'accordo di negoziazione, se fatta in forma analogica, deve essere certificata dagli avvocati con firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata.

Il patrocinio a spese dello Stato nella negoziazione assistita

Come accennato supra, la Riforma inserisce una nuova sezione, la Sezione II, recante disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato nella negoziazione assistita.

Al pari di quanto avviene per la mediazione, il Riformatore ha evitato di inserire la disciplina dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato per la mediazione e la negoziazione assistita nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (TUSG) giacché la procedura in esso contenuta mal si concilia con procedimenti semplificati quali quelli di composizione stragiudiziale delle liti e con gli scopi di velocizzazione e semplificazione dei procedimenti civili che il legislatore intende conseguire con la legge delega.

Merita di essere precisato che ai sensi del nuovo art. 11-bis il patrocinio a spese dello Stato a favore della parte non abbiente opera nelle sole ipotesi in cui la negoziazione assistita costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale ai sensi dell'articolo 3, comma 1, poiché in tali casi è necessario avvalersi dell'assistenza dell'avvocato. L'ammissione definitiva è condizionata al raggiungimento dell'accordo di conciliazione.

Il relativo procedimento è contenuto nei novellati artt. 11-ter e seguenti. In particolare, l'istanza per l'ammissione anticipata può essere presentata da coloro i quali hanno un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.746,68, come stabilito dall'art. 76 del d.P.R. n. 115/2002 (art. 11-quater). A colui che attesta falsamente di possedere le condizioni di reddito richieste al fine di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato si applicano le sanzioni previste dall'art. 125, comma 1, del d.P.R. n. 115/2002 (ovvero la reclusione da uno a cinque anni e la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37, con aumento di pena se è stata conseguita l'ammissione al patrocinio). La condanna comporta inoltre la revoca con efficacia retroattiva e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato. Spetta inoltre alla Guardia di finanza il compito di effettuare controlli fiscali sui soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato, anche tramite indagini bancarie e presso gli intermediari finanziari, ai sensi dell'art. 88 del d.P.R. n. 115/2002 (art. 11-decies).

La domanda per l'ammissione al gratuito patrocinio va presentata personalmente o a mezzo PEC o altro servizio di recapito certificato qualificato al Consiglio dell'Ordine degli avvocati del luogo dove ha sede l'organismo di mediazione competente e deve essere sottoscritta dal richiedente in conformità agli artt. 78, comma 2 e 79, comma 1, lett. b), c) e d) del d.P.R. n. 115/2002. Entro 20 gg dalla presentazione dell'istanza il Consiglio dell'ordine, verifica l'ammissibilità della stessa: se è accolta la parte può nominare un avvocato scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato istituiti presso il Consiglio dell'ordine degli avvocati del luogo in cui ha sede l'organismo di mediazione competente (art. 11-quinquies); se è rigettata l'interessato può proporre ricorso avanti al Presidente del tribunale del luogo in cui ha sede il Consiglio dell'ordine che ha adottato il provvedimento (art. 11-sexies).

Il provvedimento di ammissione, peraltro, potrebbe essere revocato in caso di accertamento dell'insussistenza dei presupposti per l'ammissione al gratuito patrocinio, sia ab origine sia in caso di sopravvenuta modifica delle condizioni reddituali; competente per la revoca è lo stesso Consiglio dell'ordine degli avvocati che lo ha concesso. Come nel caso di rigetto della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, anche il provvedimento di revoca è ricorribile dall'interessato davanti al Presidente del tribunale del luogo in cui ha sede il Consiglio dell'Ordine che lo ha adottato (art. 11-novies).

Al raggiungimento dell'accordo di conciliazione l'avvocato presenta istanza al Consiglio dell'ordine che ha deliberato l'ammissione anticipata che, verificata la congruità del compenso in base al valore dell'accordo, conferma l'ammissione e invia copia della parcella all'ufficio competente del Ministero della Giustizia per le verifiche ritenute necessarie.

La richiesta da parte dell'avvocato di compensi ulteriori da quelli previsti costituisce grave illecito disciplinare ed è nullo ogni patto contrario (art. 11-decies).

L'attività di istruzione stragiudiziale di cui ai novellati artt. 4-bis e 4-ter del d.l. n. 132/2014

Novità significativa della riforma è la possibilità per le parti di svolgere «attività di istruzione stragiudiziale», come stabilito dalle lettere s) e t) dell'art. 1, comma 4 della legge delega e dal nuovo comma 2-bis dell'art. 2 del d.l. n. 132/2014, ai sensi del quale «La convenzione di negoziazione può inoltre precisare, nei limiti previsti dal presente capo: a) la possibilità di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all'oggetto della controversia; b) la possibilità di acquisire dichiarazioni della controparte sulla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste».

Dunque a tale attività di acquisizione probatoria si potrà giungere solo se le parti dell'accordo di negoziazione (e i loro avvocati) siano d'accordo specificamente sul punto.

La prima modalità che il legislatore consente di realizzare è quella dell'acquisizione di dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all'oggetto della controversia di cui al nuovo art. 4-bis d.l. n. 132/2014.

Le parti possono prevedere all'interno della convenzione di negoziazione la possibilità di acquisire dichiarazione ad opera di terzi su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversia presso lo studio professionale degli avvocati delle parti o presso il Consiglio dell'ordine degli avvocati, nel rispetto del principio del contraddittorio. Evidentemente deve trattarsi di fatti non solo rilevanti, ma anche incerti o controversi.

Inoltre, occorre che i limiti oggettivi propri della controversia siano chiari, i.e. sia chiaro il rapporto giuridico che intercorre tra le parti, nonché siano facilmente identificabili i fatti posti a fondamento della pretesa ed il relativo oggetto o petitum.

I terzi chiamati a rendere tali dichiarazioni sono - o per lo meno sono ritenuti - evidentemente, informati di quei fatti, per le ragioni più disparate. Per la dottrina che per prima si è interrogata sull'ambito di operatività del nuovo istituto deve escludersi che sia possibile ascoltare terzi informati solo relativamente a fatti secondari della vicenda (Basilico, Note sull'attività di istruzione stragiudiziale secondo la riforma del processo civile, in www.giustiziacivile.com)

Il comma 2 della norma impone il rispetto di alcuni standard nell'acquisizione della prova.

In particolare, «l'informatore, previa identificazione, è invitato a dichiarare se ha rapporti di parentela o di natura personale e professionale con alcuna delle parti o se ha un interesse nella causa, ed è altresì preliminarmente avvisato: a) della qualifica dei soggetti dinanzi ai quali rende le dichiarazioni e dello scopo della loro acquisizione; b) della facoltà di non rendere dichiarazioni; c) della facoltà di astenersi ai sensi dell'art. 249 c.p.c.; d) delle responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni; e) del dovere di mantenere riservate le domande che gli sono rivolte e le risposte date; f) delle modalità di acquisizione e documentazione delle dichiarazioni».

Una volta rese le dichiarazioni, esse saranno raccolte in un documento, il quale, previa integrale lettura, sarà sottoscritto dal dichiarante e dagli avvocati (commi 4 e 5).

Quanto al regime di efficacia delle dichiarazioni rese, stabilisce il comma 6 che il documento che le contiene costituisce piena prova di quanto in esso attestato; inoltre, esso può essere prodotto in giudizio al fine di essere valutato dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento, ai sensi dell'art. 116, comma 1, c.p.c. Il giudice può anche disporre che l'informatore sia escusso come testimone.

La norma prende poi in considerazione il caso in cui l'informatore non si presenti o si rifiuti di rendere dichiarazioni, prevedendo che in tale eventualità la parte che ritiene necessaria la sua deposizione può chiedere, nel giudizio instaurato a seguito del mancato raggiungimento dell'accordo, che il giudice ne ordini l'audizione (comma 7). Nel medesimo comma è poi prevista la possibilità per la parte interessato di attivare un procedimento di istruzione a futura memoria ai sensi dell'art. 692 c.p.c., che in tal caso potrà essere richiesto non già per il fondato timore che i testimoni stiano per mancare, ma in ragione del loro rifiuto di rendere le deposizioni in sede di procedura stragiudiziale.

La convenzione di negoziazione potrà poi altresì prevedere anche la possibilità per ciascun avvocato di invitare la controparte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti, specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversia, ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste.

Una volta rese, le dichiarazioni saranno verbalizzate per iscritto e il relativo documento sarà sottoscritto dalla parte e dall'avvocato che la assiste anche ai fini della certificazione dell'autografia.

Per espressa previsione normativa (art. 4-ter, comma 2), la dichiarazione così resa ha il valore di confessione stragiudiziale di cui all'art. 2735 c.c.

Particolarmente gravi sono le conseguenze del rifiuto della parte a rendere la dichiarazione, prevedendosi che «il rifiuto ingiustificato di rendere dichiarazioni sui fatti di cui al comma 1 è valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio, anche ai sensi dell'articolo 96, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura civile» (comma 3).

Siffatta previsione, invero, lascia perplessi: in un contesto ove già è stabilito che il giudice può valutare il rifiuto di negoziare come motivo di responsabilità aggravata o di concessione dell'esecutività provvisoria a un decreto ingiuntivo (art. 4, comma 1, l. n. 162/2014, non modificato dalla Riforma), prevedere l'applicazione dell'art. 96 anche alla parte che si sottrae all'interrogatorio stragiudiziale chiesto dalla controparte allo scopo di ottenere una confessione sembra francamente eccessivo, soprattutto quando si consideri che tali prove sono poi utilizzabili nel successivo eventuale processo che verrà attivato a seguito del fallimento della procedura di negoziazione.

Più in generale, può poi osservarsi come la possibilità di utilizzare le risultanze istruttorie acquisite stragiudizialmente all'interno del giudizio se da un lato costituisce un fattore di accelerazione dei tempi processuali, dall'altro riduce le garanzie difensive e il contraddittorio affidandoli nelle mani dei difensori.

A ciò si aggiunga che, come è stato plasticamente osservato (Tedoldi, Le ADR nella delega per la riforma del processo civile, in Questione giustizia, 2021, fasc. 3, 150) sperare «che nel contesto della negoziazione assistita parti e difensori s'impegnino a «vuotare il sacco» e a ricostruire i fatti controversi, con puro metodo adversarial e senza alcun coordinamento di un soggetto terzo, consentendo che le prove formatesi e le dichiarazioni rese vengano poi acquisite nel successivo processo coram iudice in caso di mancata conciliazione, appare wishful thinking francamente utopistico e, per vero, assai poco coerente con le finalità conciliative della negoziazione assistita, cui dovrebbero rimanere tendenzialmente estranei l'apparato e l'armamentario retorico della dialettica processuale e che dovrebbe, semmai, restare protetta dai successivi svolgimenti contenziosi, esattamente come avviene per la mediazione, soggetta a riservatezza e a divieti di utilizzazione delle dichiarazioni e delle attività anche istruttorie svolte in seno alla stessa, a mente degli artt. 9 e 10 d.lgs. n. 28/2010, come peraltro prevede anche l'art. 9 d.l. n. 32/2014 per la negoziazione assistita da avvocati, proprio allo scopo di agevolare un dialogo schietto e franco tra le parti, con incontri anche separati, senza il timore di esprimersi e, ancor meno, di rendere dichiarazioni con efficacia confessoria o di dare corso a prove contrarie ai propri interessi».

Insomma, la scelta legislativa non appare pienamente convincente, sia con riguardo alle dichiarazioni confessorie sia con riferimento alla acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi. Relativamente a queste ultime molti ad esempio sono gli ostacoli che possono incontrare nella trasposizione dalla sede stragiudiziale a quella processuale; infatti, una volta prodotta la dichiarazione in giudizio, il giudice non potrà esimersi dal valutare quella testimonianza sulla base delle tradizionali regole di cui al codice civile e di quello processuale. Potrebbe allora accadere che la prova testimoniale sia illecita o sia raccolta illecitamente per cui non potrà essere utilizzata in giudizio; oppure la prova, seppure ammissibile, sarà ritenuta dal giudice non sufficientemente attendibile, per cui non ne terrà conto ai fini della decisione ed eventualmente ne disporrà la rinnovazione in fase istruttoria.

Da quanto appena osservato se ne ricava la scarsa utilità dello strumento, al netto di una sua intrinseca pericolosità: come già rilevato, la trasposizione dell'attività istruttoria al di fuori del processo e dunque in assenza di quell'organo di garanzia, qual è il giudice, costituisce l'ennesimo tentativo di «privatizzare» una attività che da secoli è affidata agli organi pubblici per evidenti ragioni di garanzia e di tutela degli interessi delle parti: «l'attività istruttoria non è promiscua, non è, cioè, realizzabile indistintamente dentro o fuori dal processo, perché la presenza del giudice è imprescindibile ed esclusiva: il giudice non opera, e quindi non governa, attività istruttoria fuori dal processo» (Basilico, Note sull'attività di istruzione stragiudiziale secondo la riforma del processo civile, cit.).

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