Le prove atipiche nella valutazione della giusta causa del licenziamento

Teresa Zappia
02 Marzo 2023

Gli esiti probatori di intercettazioni eseguite nell'ambito di un procedimento penale a carico del lavoratore sono utilizzabili al fine di valutare se, nel caso concreto, sia configurabile la “giusta causa” del licenziamento.
Massima

Ai fini della valutazione sulla sussistenza o meno della giusta causa del licenziamento, è indubbia l'utilizzabilità degli esiti probatori di intercettazioni eseguite nell'ambito di un procedimento penale a carico del dipendente, considerato che il giudice civile, nella formazione del proprio convincimento, può autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le cosiddette prove atipiche, mancando nel processo civile una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova.

Fatto

Il lavoratore agiva in giudizio perché fosse accertata e dichiarata l'illegittimità del licenziamento ex art. 2119 c.c., con condanna della Banca-datrice al pagamento dell'indennità di mancato preavviso e dell'indennità supplementare, nonché al risarcimento del danno all'immagine professionale.

Secondo la ricostruzione effettuata dalla Banca-datrice, da due conversazione intercettate nell'ambito di un'indagine penale nei confronti del lavoratore, sarebbe emerso che quest'ultimo avrebbe contribuito alla redazione di un'informativa, trasmessa a Banca d'Italia “deliberatamente e consapevolmente imprecisa (se non addirittura inveridica”, con conseguente violazione dell'art. 2104 c.c., dell'art. 4 del CCNL Dirigenti Credito e del Codice Etico della Banca, nonché dei doveri di correttezza e diligenza, configurando anche un'assoluta devianza dalle funzioni e dai doveri correlati al ruolo assegnato. Ritenute insufficienti le giustificazioni rese dal lavoratore, la Banca, con nota del 23.07.2020 aveva proceduto al licenziamento per giusta causa.

La questione

Al fine di accertare la sussistenza di una giusta causa di licenziamento il datore, prima, ed il giudice, poi, possono impiegare i dati raccolti mediante intercettazioni disposte nell'ambito di un'indagine in sede penale nei confronti del lavoratore?

La soluzione del tribunale

Il Tribunale di Bari preliminarmente ha rigettato l'eccezione di tardività della contestazione disciplinare formulata dal ricorrente, secondo il quale il tempo trascorso tra la sospensione cautelare (comunicata nel febbraio 2020) e la contestazione disciplinare (3 giugno 2020) avrebbe viziato il recesso. Sul punto è stato rammento l'orientamento consolidato della Suprema Corte secondo cui, nel licenziamento per motivi disciplinari, il principio dell'immediatezza della contestazione dell'addebito deve essere inteso in senso relativo, dovendosi tenere conto della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l'espletamento delle indagini, maggiore quanto più è complessa l'organizzazione aziendale. Nel caso di specie, solo all'inizio del marzo 2020 la parte datrice aveva iniziato ad acquisire elementi conoscitivi raccolti in sede penale e suscettibili di valutazione anche a fini disciplinari. Tale attività si era conclusa nel mese di maggio 2020, sicché la contestazione doveva ritenersi tempestiva, considerata anche la complessità organizzativa aziendale. Suddetto principio non risultava violato considerando anche che il ragionevole intervallo di tempo intercorso non aveva pregiudicato il diritto di difesa del dipendente che aveva compiutamente svolto la propria attività difensiva.

Il Tribunale ha rigettato anche l'eccezione di genericità della contestazione disciplinare, risultando gli addebiti sufficientemente precisi e individuati. Priva di pregio è stata dichiarata altresì la dedotta violazione del principio dell'immutabilità della contestazione disciplinare. Ha rammentato il giudice barese che in tema di licenziamento disciplinare, nell'apprezzare la sussistenza del requisito della specificità è necessario verificare, al di fuori di schemi rigidi e prestabiliti, se la contestazione offre le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati, tenuto conto del loro contesto, accertando altresì se la mancata precisazione di alcuni elementi fattuali abbia determinato un'insuperabile incertezza nell'individuazione dei comportamenti imputati, tale da pregiudicare in concreto il diritto di difesa.

Nel caso esaminato, i fatti materiali indicati nella lettera di contestazione e nella comunicazione del recesso erano identici ed ogni ulteriore deduzione contenuta nella seconda missiva era stata indicata al fine di valutare la condotta del ricorrente, l'inattendibilità delle sue giustificazioni e la gravità dei fatti sul piano oggettivo, parametrati alle responsabilità connessa alla posizione ricoperta dal lavoratore.

Quanto alla sussistenza della giusta causa, il Tribunale ha precisato l'indubbia utilizzabilità degli atti e degli elementi probatori acquisiti nell'ambito delle indagini preliminari svoltesi nei confronti del ricorrente in quanto, ai fini del proprio convincimento,il giudice civilepuò autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria.

Ne consegue la possibilità di avvalersi legittimamente delle prove raccolte in sede penale anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, potendo la parte, nell'ambito del giudizio civile, contestare i fatti così acquisiti. Anche in ordine all'utilizzabilità delle intercettazioni, purché siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali, il giudice barese ha evidenziato che l'assenza di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova consente di porre alla base del proprio convincimento anche prove c.d. atipiche, purché esse siano idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti, non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie. Da ciò non deriverebbe una violazione del principio di cui all'art. 101 c.p.c., atteso che, sebbene raccolti al di fuori del processo, su quei medesimi elementi probatori viene assicurato il contradditorio tra le parti.

Sulla base di quanto sopra, nell'accertare la sussistenza e consistenza dei fatti addebitati, il giudice ha ritenuto utilizzabili le intercettazioni telefoniche disposte dalla competente autorità giudiziaria nei confronti del ricorrente, riscontrandone la sufficienza a comprovare le condotte contestate, in particolare in ordine al profilo soggettivo.

Il Tribunale ha, dunque, proceduto a verificare la proporzionalità dell'acclarato comportamentorispetto alla sanzione del licenziamento per giusta causa. In proposito si è rammentato che la giusta causa, quale fatto che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla mutevole ed articolata realtà da disciplinare, configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali, delineando un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.

Per stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, il giudice barese ha ricordato la necessità di valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati
commessi ed all'intensità dell'elemento soggettivo e, dall'altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario sia stata in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.

Valutando il caso concreto alla stregua delle coordinate sopra esposte e del ruolo occupato dal ricorrente in seno all'organizzazione datoriale, il Tribunale ha valutato evidentemente grave la condotta addebitata, essendosi il ricorrente posto in contrasto con le più elementari regole bancarie, oltre che con l'art. 2104 c.c. ed il Codice Etico della Banca, ledendo irrimediabilmente il rapporto fiduciario.

Sul punto il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, nell'ipotesi di dipendenti di istituti di credito, l'idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto creditodeve essere valutata con particolare rigore ed a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore. Nel lavoro bancario, infatti, l'elemento fiduciario assume il massimo rilievo e - in riferimento all'accertamento della sussistenza della giusta causa del licenziamento - esso deve essere considerato con un ulteriore e particolare rigore, potendo ledere l'affidamento che non solo il datore ma anche il pubblico devono riporre nella lealtà e correttezza dei dipendenti bancari.

Nella fattispecie il giudice barese ha ravvisato gli estremi della giusta causa, considerando gli accadimenti nel loro complesso, l'attività del lavoratore nel settore bancario ed alla luce della posizione rivestita dallo stesso. Quanto alla portata soggettiva dei fatti, inoltre, era emersa la consapevolezza da parte del ricorrente dell'illiceità delle operazioni commesse, nonché la volontaria omissione dei controlli e delle segnalazioni dovute.

Sotto il profilo della proporzionalità, ha precisato il Tribunale, è necessario valutare l'inadempimento del lavoratore in senso accentuativo rispetto alla regola generale della "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 c.c., per cui l'irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (art. 4 L. n. 604/1966) ovvero tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.).

La condotta del ricorrente denotava la possibilità di pregiudicare il futuro adempimento contrattuale, sicché, considerata anche l'intensità della fiducia richiesta nel rapporto specifico, la natura e la qualità dello stesso, la posizione delle parti, l'oggetto delle mansioni ed il grado di affidamento che queste richiedevano, unitamente al fatto concreto valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, la violazione disciplinare addebitata aveva compromesso la fiducia necessaria ai fini della permanenza del rapporto di lavoro, configurandosi, quindi, come giusta causa di licenziamento.

Sulla scorta di tali considerazioni, il Tribunale ha rigettato la domanda.

Osservazioni

Nella sentenza in commento il giudice di Bari offre una visione completa dell'iter logico seguito al fine di accertare la sussistenza o meno della “giusta causa” determinante il licenziamento senza preavviso, precisandosi che il giudizio sulla sussistenza del fatto, al pari di quello della sussistenza della giusta causa, non può mai fermarsi su un piano astratto, ma deve estendersi ad una verifica puntuale che tenga conto della natura del rapporto, della posizione delle parti, delle mansioni espletate, del particolare grado di fiducia connesso alla struttura dell'impresa o alla qualifica rivestita, nonché dell'intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo.

L'attenzione è posta, in primis, al piano strettamente fattuale: la condotta del lavoratore, così come addebitata e contestata, deve essere valutata unitariamente, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, tenendo in considerazione il contesto circostanziale nel quale l'episodio disciplinarmente rilevante si è verificato. Nel caso di specie l'accento è stato posto in particolare sul ruolo apicale rivestito dal lavoratore, presupponente un rapporto fiduciario più inteso. A ciò si aggiungeva la peculiarità del settore nel quale egli operava, rectius quello bancario, rispetto al quale la giurisprudenza si è orientata verso un esame più rigido circa le condotte potenzialmente integranti una giusta causa di licenziamento, anche prescindendo dall'accertamento di un pregiudizio per la parte datoriale, tenuto conto dell'incidenza sull'affidamento riposto dal pubblico sulla lealtà e correttezza dei dipendenti bancari.

In ordine all'accertamento dell'effettiva consistenza dell'addebito disciplinare, il Tribunale ha rammentato l'utilizzabilità, ai sensi dell'art. 116 c.p.c., anche degli elementi probatori raccolti in sede penale nell'ambito delle indagini preliminari, definendosi essi quali prove atipiche in quanto non ricomprese nel catalogo dei mezzi di prova specificamente regolati dalla legge, tenuto conto che nell'ordinamento civilistico manca una norma generale, quale quella prevista dall'art. 189 c.p.p., che ne legittimi espressamente l'ammissibilità. Come precisato dalla giurisprudenza, l'assenza di una norma di chiusura nel senso dell'indicazione del numerus clausus delle prove, l'affermazione del diritto alla prova ed il correlativo principio del libero convincimento del giudice, inducono ad escludere che l'elencazione delle prove nel processo civile sia tassativa, con conseguente ammissibilità anche delle prove atipiche le quali possono essere impiegate, nel rispetto del contradditorio e delle preclusioni istruttorie, nel processo civile.

Pertanto, anche le intercettazioni che siano state effettuate nell'ambito di indagini preliminare, anche qualora non siano state oggetto di esame dibattimentale, possono essere valutate dal giudice del lavoro, potendo il dipendente contestare tali elementi probatori in giudizio. Ad ogni modo deve escludersi che le prove c.d. atipiche possano valere ad aggirare divieti o preclusioni dettati da disposizioni, sostanziali o processuali, così introducendo surrettiziamente elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione richieda adeguate garanzie formali.

Accertata la gravità del comportamento addebitato, il giudice procede a valutare la riconducibilità entro la c.d. clausola generale della “giusta causa” la quale, proprio in ragione dell'esigenza di adattamento costante della legge alla cangiante realtà da regolare, è formulata in modo tale da dover essere specificata mediante interpretazione valorizzando sia fattori esterni, relativi alla coscienza generale, che i principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo, si precisa, hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, nonché della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità se privo di errori logici o giuridici (Cass. n. 13534/2019, n. 31155/2018, n. 27238/2018)

Si evidenzia, inoltre, l'utile precisazione del giudice barese in ordine al rapporto esistente tra la regola generale di cui all'art. 1455 c.c., in ordine alla necessaria rilevanza dell'inadempimento giustificante la risoluzione del contratto, e l'art. 2119 c.c. richiedente un quid pluris nella valutazione della condotta addebitata, in senso accentuativo rispetto alla "non scarsa importanza".

Per approfondire

G. Stella, Le prove atipiche nel processo civile, in Giustiziainsieme.it, 12 febbraio 2020.

A. Francesco, Canoni penali di valutazione delle prove ed autonomia decisionale del giudice civile, in Ilprocessocivile.it, 4 giugno 2019.

E. Bavasso, I rapporti tra giudicato penale e licenziamento disciplinare, in Lavoro nella Giur., 2014, 10, 889 ss.

A. Marcianò, Fatti contestati e formule assolutorie. le ambigue soluzioni legislative in materia di licenziamento e le previsioni correlate del codice di procedura penale, in Lavoro nella Giur., 2013, 5, 445 ss.

A. Graziosi, Usi e abusi di prove illecite e prove atipiche nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 3, 693 ss.

Bruno Cavallone, Il giudice e la prova nel processo civile, CEDAM 1991.

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