Come detto, la confisca della tradizione cade sul prezzo o sul profitto del reato. Mentre il prezzo è il compenso per indurre, istigare o determinare altro soggetto a commettere il reato, ovvero quanto è servito per compiere l'offesa del bene giuridico tutelato dalla norma, il profitto deriva direttamente dalla commissione del reato quale vantaggio economico. Al fine di individuare la res confiscabile occorre, dunque, capire cosa sia in correlazione con la condotta penalmente rilevante commessa nell'interesse o a vantaggio dell'autore del reato.
Per il profitto, l'art. 240 c.p. prevede la facoltatività proprio come per gli instrumenta sceleris, mentre per il prezzo del reato e per le cose intrinsecamente pericolose, il comma 2 n. 2 dello stesso articolo prevede l'obbligatorietà.
È, dunque, necessariamente oggetto di confisca il prezzo del reato, sulla cui nozione non c'è molto da speculare trattandosi di un concetto empiricamente coglibile: proprio tale dimensione empiricamente coglibile del prezzo porta spesso a una sua confusione con il profitto stesso, come nel caso del prezzo pagato per l'acquisto della sostanza stupefacente, che costituisce, invece, il profitto del reato (visto dall'angolo visuale del soggetto che ha commesso il reato, ossia l'attività di cessione e non già dell'acquirente, la cui condotta non rileva penalmente. Sostanzialmente la medesima somma rappresenterebbe il prezzo di un ‘non reato' ed il profitto di un reato). Come indicato dalla sentenza in commento, in astratto, le somme sequestrate potrebbero essere qualificate come “prezzo” dell'illegale detenzione qualora si trattasse, per esempio, della remunerazione corrisposta al ricorrente per la custodia o il trasporto di quella sostanza.
Infatti, relativamente al prezzo, la Suprema Corte, negli anni, ha confermato che si tratti del tandundem pattuito e consegnato da una persona determinata, come corrispettivo dell'esecuzione dell'illecito (Cass. pen., sez. un., 6 marzo 2008, n. 10280 Rv. 238700). Esso costituisce la spinta motivazionale al reato, pur non corrispondendo all'utilità economica frutto dello stesso.
Sicché la distinzione tra profitto e prezzo del reato si fonda sul diverso atteggiarsi del nesso eziologico che intercorre tra il reato e il denaro ad esso collegato. Mentre il profitto costituisce il lucro che si ricava dalla commissione dell'illecito, il prezzo rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato.
In particolare, la nozione di profitto ha assistito, nell'ultimo decennio, ad una grande elaborazione giurisprudenziale, talvolta assistita da coerenti coordinate normative.
La Corte di legittimità evidenzia che per “profitto” debba intendersi il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato: esso presuppone, dunque, l'accertamento della sua diretta derivazione causale dalla condotta dell'agente. Così, il criterio selettivo di ciò che può essere confiscato a titolo di profitto è rappresentato dalla pertinenzialità della cosa rispetto al reato: occorre, cioè, una correlazione diretta del vantaggio con il reato ed una stretta affinità con l'oggetto di questo, escludendosi qualsiasi estensione indiscriminata o dilatazione indefinita ad ogni vantaggio patrimoniale, che possa scaturire dall'illecito (Cass. pen., sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti, Rv. 239924; Cass. pen., sez. un., 25 ottobre 2007, n. 10280 Miragliotta, Rv. 238700; nonché, quantunque non massimate su tali specifici punti: Cass. pen., sez. un., 30 gennaio 2014, n. 10561 Gubert; Cass. pen., sez. un., n. 38691 del 25/06/2009, Caruso; Cass. pen., sez. un., 24 maggio 2004, n. 29952 Romagnoli; Cass. pen., sez. un., 24 maggio 2004, n. 29951 Focarelli; Cass. pen., sez. un., 17 dicembre 2003, n. 920 Montella).
Del resto, sin nelle intenzioni dei compilatori del codice, la confisca aveva la finalità di «privare il reo di cose che, provenendo da fatti illeciti penali, o in altra guisa collegandosi alla loro esecuzione, mantengono viva l'idea e l'attrattiva del reato» (Relazione sul libro I del progetto, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, V, Progetto definitivo di un nuovo codice penale con la relazione del Guardasigilli On. Alfredo Rocco, parte I, Roma, p. 202), mirando a neutralizzare, mediante l'ablazione, la forza “seduttiva” che potrebbe esercitare sul reo ove lasciata nella sua disponibilità.
La facoltatività della confisca del profitto implica, dunque, l'esercizio di un potere discrezionale da parte del giudice, che, tuttavia, richiede comunque la presenza di due presupposti: la condanna del reo e l'appartenenza a questi del bene oggetto della confisca. Rimane, quindi, fermo per il magistrato l'obbligo di fornire adeguata motivazione circa le ragioni che l'hanno spinto all'adozione del provvedimento ablativo.
Così, la Corte di legittimità, nella sentenza in commento, spiega che non è consentita la confisca del denaro giacché al ricorrente si addebitava esclusivamente di aver detenuto un determinato quantitativo di sostanza stupefacente a scopo di venderla, ma non già di averla venduta: le somme rinvenute nella sua disponibilità e sequestrategli non possono mai rappresentare, dunque, il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta da tale detenzione a scopi illegali, essendo stata la sostanza stupefacente trovata ancora in suo possesso e non essendoci, evidentemente, la prova di precedenti cessioni.
La giurisprudenza di legittimità, quindi, pone una battuta d'arresto alla progressiva emancipazione della confisca del profitto del reato ancorata ad un potere meramente discrezionale del giudice, verso un'applicazione più aderente ai canoni della pertinenzialità, adeguatamente provata. La facoltatività della confisca del profitto presuppone dunque un necessario accertamento che le somme siano eziologicamente collegate, in maniera diretta ed essenziale, con il reato commesso, fermo restando che il Giudice deve dare conto, nella confisca facoltativa, dell'uso del potere discrezionale, che va esercitato in vista di considerazioni di prevenzione speciale fondate sull'esigenza di sterilizzare la commissione di altri reati, sottraendo alla disponibilità del colpevole cose escresciute dal reato.
Diversamente, assoggettare alla misura anche beni per i quali non è ravvisabile alcun nesso eziologico con il reato, imprimerebbe all'istituto della confisca una natura estranea ed eccentrica rispetto agli scopi delineati dal legislatore.