La Suprema Corte, nell'annullare senza rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte d'appello, ritiene che le doglianze formulate dal ricorrente in ordine all'insussistenza del nesso causale siano fondate.
Va premesso che l'addebito a titolo di colpa presuppone che, una volta individuata una trasgressione della norma cautelare, sia possibile affermare che la condotta doverosa avrebbe evitato l'evento illecito. Si tratta, come è ben noto, dell'operazione che va sotto il nome di giudizio controfattuale.
Il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, o, in ipotesi di condotta commissiva, l'assenza della condotta commissiva vietata, avrebbe potuto evitare l'evento (cd. giudizio predittivo), richieda preliminarmente l'accertamento di ciò che è effettivamente accaduto (cd. giudizio esplicativo) per il quale la certezza processuale deve essere raggiunta (cfr. ex multis Cass. pen., sez. IV, 31 gennaio 2013, n. 23339 Giusti, Rv. 256941).
È dunque necessario individuare con precisione quanto effettivamente è naturalisticamente accaduto (giudizio esplicativo) al fine di verificare, su siffatta incontrovertibile ricostruzione, se l'identificazione di una condotta omessa possa valutarsi come adeguatamente e causalmente decisiva in relazione alla evitabilità dell'evento (Cass. pen., sez. IV, 12 novembre 2021, n. 416 Castriotta, Rv. 282559).
Dalla lettura delle due sentenze di merito si evince che detti canoni ermeneutici non siano stati rispettati: il giudizio esplicativo è stato condotto senza tenere conto di tutti gli elementi emersi nel corso del dibattimento, con particolare riguardo alla situazione sussistente al momento in cui il primo medico aveva terminato il primo intervento, e quella che aveva indotto il secondo medico ad effettuare il secondo intervento.
In particolare il giudizio esplicativo è stato formulato in termini di certezza probabilistica in ordine ai due aspetti nodali della vicenda, ovvero l'origine del frammento discale e della sintomatologia algica lamentata dalla paziente.
La Corte territoriale aveva infatti recepito il giudizio dei consulenti di parte civile e del P.M., secondo i quali il primo medico «a causa di un approccio eccessivamente prudente, si sia astenuto dal rimuovere completamente i frammenti discali presenti prima di apporre la protesi».
Avendo quindi omesso di rimuovere completamente l'ernia, aveva costretto la paziente a sottoporsi a un secondo intervento chirurgico di intersomatica cervicale per via anteriore di rimozione del frammento discale eseguito da altro chirurgo, nel corso del quale si verificava l'evento lesivo.
Su tali basi, la sentenza afferma che fosse ‘'del tutto probabile'' che non si trattasse di una recidiva ma di un frammento residuo di cui era stata omessa la rimozione nel corso dell'evento.
Per quanto riguarda invece il secondo motivo del ricorso, è opportuno richiamare l'attenzione sulla problematica relativa alla ricostruzione del nesso di causalità nelle ipotesi di reati omissivi impropri in ambito sanitario, ove è frequente il coinvolgimento di più medici nella cura del paziente, e che pertanto assumono nei confronti di questo una posizione di garanzia.
Può trattarsi di un intervento sincronico, o diacronico, con il susseguirsi dei sanitari coinvolti in momenti differenti, come nel caso di specie.
A tal proposito è doveroso menzionare il consolidato orientamento della giurisprudenza in base alla quale qualora vengano in considerazione le condotte di più garanti intervenuti in tempi diversi, l'accertamento del nesso causale deve essere effettuato con riguardo alla singola posizione, verificando cosa sarebbe accaduto nel caso in cui la condotta dovuta da ciascuno dei garanti fosse stata tenuta, considerando altresì se la situazione di pericolo non si sia verificata per effetto del tempo o di un comportamento di successivi garanti (Cass. pen., sez. IV, 16 giugno 2021, n. 24439).
Ebbene la sentenza impugnata, laddove ricostruisce il nesso causale tra la mancata rimozione del frammento discale da parte del primo medico e l'evento prodottosi (ovvero la lesione del nervo faringeo), non ha considerato che quest'ultimo fosse titolare di una posizione di garanzia diversa e autonoma rispetto a quella ricoperta dal secondo chirurgo. Secondo tale ricostruzione, all'odierno imputato, nel caso fosse stata provata la sua condotta imperita, poteva essere ascritto il rischio del permanere di una sintomatologia dolorosa che evidentemente l'intervento da lui eseguito non aveva risolto, ma non certamente le conseguenze dell'intervento effettuato dal secondo medico, cui solo può essere ricollegato, ove fosse dimostrata la sua condotta imperita, l'evento della lesione del nervo faringeo.
A prescindere dalla circostanza che dalla motivazione della sentenza impugnata non emerga un chiaro e inequivoco accertamento circa la natura del frammento (ovvero se lo stesso fosse espressione o meno di recidiva) e circa il momento in cui sarebbe insorta la sintomatologia dolorosa, va sottolineato che certamente non può attribuirsi al primo chirurgo il rischio correlato al secondo intervento eseguito successivamente da altro medico in esito al quale si è prodotto l'evento lesivo.
In conclusione, la sentenza impugnata è stata annullata per non avere l'imputato commesso il fatto.