Illegittima la retrodatazione del termine per proporre domanda di ammissione del credito nelle confische penali allargate
06 Marzo 2023
Massima
È costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 3 e 24, comma 1 Cost., l'art. 37, primo periodo, della l. n. 161/2017 (Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al d.lgs. n. 159/2011, al Codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate), nella parte in cui non esclude che il termine di decadenza di cui all'art. 1, commi 199 e 205, della l. n. 228/2012 possa decorrere prima dell'entrata in vigore del menzionato art. 37. Il caso
Il GIP del Tribunale di Bologna, in funzione di giudice dell'esecuzione penale, ha dichiarato inammissibile la domanda di tutela del credito ipotecario inciso da un provvedimento di confisca allargata ritenendolo tardivo in virtù dell'applicazione retroattiva dell'art. 37, primo periodo, della l. n. 161/2017. Avverso tale decisione di inammissibilità, il creditore e il procuratore speciale del cessionario del credito hanno proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento, in via principale, per la valenza innovativa con efficacia ex nunc e non già di interpretazione autentica della norma sopracitata e, in secondo luogo, poiché la data di conoscenza effettiva del provvedimento di confisca sarebbe stata in realtà successiva a quella indicata dal GIP. La Corte di Cassazione, sezione prima penale, con ordinanza del 9 febbraio 2022, reg. ord. n. 30 del 2022, ha sollevato la questione di legittimità dell'art. 37, primo periodo, della l. n. 161/2017 per violazione sia dell'art. 3 Cost. sia dell'art. 24, primo comma, Cost. La questione
L'art. 37 della l. n. 161/2017, prevede espressamente che le disposizioni di cui all'art. 1, commi da 194 a 206, della l. n. 228/2012 si interpretano nel senso che esse tutte si applicano «ai beni confiscati, ai sensi dell'art. 12-sexies del d.l. n. 306/1992, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 356/1992, e successive modificazioni, all'esito di procedimenti iscritti nel registro di cui all'art. 335 del codice di procedura penale prima del 13 ottobre 2011». La disposizione, a parere della Cassazione, quale giudice rimettente, viola gli articoli 3 e 24, comma 1 della Costituzione, in quanto, in virtù del richiamo operato, il termine di decadenza, per proporre la domanda di ammissione del credito al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca, avrebbe un inizio della decorrenza retrodatata rispetto alla data di entrata in vigore della disposizione medesima.- Le soluzioni giuridiche
Al fine di comprendere il decisum della Consulta, appare opportuno ricondurre la norma censurata nell'ambito della disciplina della confisca penale allargata e di quella di prevenzione, nonché della tutela dei diritti di credito di terzi che intendano far valere la responsabilità patrimoniale del debitore, già titolare di un diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene confiscato. La c.d. confisca penale “allargata”, introdotta dall'art. 12-sexies del d.l. n. 306/1992, espressamente disciplinata oggi dall'art. 240-bis c.p., consente di confiscare a carico del soggetto condannato di gravi crimini (c.d. “reati presupposto”, tra cui il delitto di associazione di stampo mafioso) tutti i suoi beni che, pur non essendo pertinenti al reato, sono comunque nella sua disponibilità ed il cui valore risulta sproporzionato rispetto al reddito dichiarato dal reo. Dalla confisca c.d. allargata si distingue la confisca di prevenzione, introdotta dall'art. 24 del Codice antimafia, in quanto colpisce i beni di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non può giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle relative imposte, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Il presupposto della confisca di prevenzione è dunque la ragionevole presunzione, in mancanza dell'accertamento di un reato, che il bene sia stato acquistato con i proventi dell'attività illecita. L'emanazione di un provvedimento penale di confisca pone, pertanto, il problema della tutela dei creditori del soggetto destinatario di tale misura, i quali perdono la garanzia patrimoniale sul bene attinto dalla misura e su cui avevano riposto il proprio affidamento. Il codice antimafia ha regolato il profilo della tutela dei terzi creditori negli articoli da 52 a 65 del libro I, titolo IV, limitatamente alle confische di prevenzione, peraltro con esclusione dei procedimenti per i quali alla data di entrata in vigore del codice (13 ottobre 2011) sia già stata formulata proposta di applicazione della misura medesima. Tale lacuna normativa è stata successivamente colmata con la legge di stabilità del 2013, che ha previsto, all'art. 1, commi da 194 a 206, della l. n. 228/2012, per le confische di prevenzione alle quali non si applicava il codice antimafia un procedimento analogo a quello di cui al titolo I libro IV Cod. antim. In particolare, l'art. 1 comma 199 ha statuito il termine di decadenza di 180 giorni entro cui i titolari di diritti di credito devono proporre domanda di ammissione del credito al giudice dell'esecuzione presso il tribunale che ha disposto la confisca. Il comma 190 ha applicato alle confische penali allargate le disposizioni del codice antimafia limitatamente alla “materia di amministrazione destinazione dei beni confiscati e sequestrati”, senza attuare alcuna distinzione temporale. L'infelice formulazione aveva generato un duplice dubbio in merito all'applicabilità sia della normativa a tutela dei creditori contenuta nel titolo IV sia della disciplina dei relativi termini. Parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., sez. I, 20 maggio 2014, n. 26527) ha ritenuto che si dovessero applicare i termini di cui agli artt. 57, commi 2 e 58, comma 5 del codice antimafia anche alla confisca allargata (ex multis, Cass. pen., sez. I, sent., 12 febbraio 2016, n. 12362; Cass. pen., sez. I, sent., 1° febbraio 2017, n. 11889). In seno alla stessa Cassazione si è però formato un orientamento di segno opposto (Cass. pen., sez. V, sent., 20 gennaio 2016, n. 8935; Cass. pen., sez. IV, sent., 6 luglio 2017, n. 36092) che ha escluso l'applicabilità della normativa prevista dal codice antimafia in tema di tutela dei terzi alla confisca allargata sia per la natura speciale della disciplina contenuta nel d.lgs. n. 159/2011, sia per la diversità di presupposti e di caratteristiche delle due misure cautelari. A dirimere il contrasto è intervenuto il legislatore con la l. n. 161/2017, che ha disposto espressamente all'art. 31 l'applicazione delle norme del codice Antimafia poste a tutela del terzo anche ai casi di sequestro e di confisca penali. Vi è più: l'art. 37 ha stabilito che le disposizioni di cui all'art. 1, commi 194-206, della l. n. 228/2012, si interpretano nel senso che si applicano anche con riferimento ai beni confiscati, ai sensi dell'art. 12-sexies del d.l. n. 306/1992, come convertito e successivamente modificato, all'esito di procedimenti iscritti nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. prima del 13 ottobre 2011 e quindi anche alle confische allargate maggiormente risalenti nel tempo. Il Giudice per le indagini preliminari di Bologna ha dunque correttamente applicato retroattivamente la norma, avente natura di interpretazione autentica, e, dato atto che il termine di decadenza era già spirato perché l'inizio della sua decorrenza era retrodatato rispetto all'entrata in vigore della norma (19 novembre 2017), ha dichiarato inammissibile la domanda di ammissione del creditore. Il creditore ha proposto ricorso per cassazione, ritenendo che il Gip abbia erroneamente applicato la norma che, a' lume della sua portata innovativa, non può qualificarsi di interpretazione autentica e, conseguentemente, non può applicarsi retroattivamente. La Corte di cassazione, investita del ricorso, ha anzitutto sottolineato che il ragionamento seguito dal GIP è corretto in quanto lo stesso è obbligato ad applicare una norma di interpretazione autentica e pertanto dotata di efficacia retroattiva. Peraltro, il Giudice rimettente osserva che il richiamo in blocco dei commi da 194 a 206 della l. n. 228/2012 operato dall'art. 37 della l. n. 161/2017, interpretati autenticamente come applicabili alle confische penali allargate risalenti a procedimenti penali iscritti nel registro prima della data suddetta, trascina anche la data di entrata in vigore di tale disciplina, ossia il 1° gennaio 2013 e conseguentemente anche il termine di decadenza, di centottanta giorni, entro cui il creditore deve proporre la domanda di ammissione del credito deve considerarsi vigente dal 1° gennaio 2013. Pertanto, osserva il Giudice rimettente, l'inizio di decorrenza del termine di decadenza potrebbe essere retrodatato rispetto alla data di entrata in vigore della disposizione (19 novembre 2017), con conseguente violazione degli artt. 3 e 24, comma 1, della Costituzione. La Consulta, preliminarmente, circoscrive il thema decidendum, evidenziando che oggetto di censura è solo il primo periodo dell'art. 37 della l. n. 161/2017 nella parte in cui non esclude che il termine di decadenza di cui all'art. 1, commi 199 e 205, della l. n. 228/2012 possa decorrere prima dell'entrata in vigore del menzionato art. 37. Il Giudice delle leggi, facendo proprie le osservazioni della Corte rimettente, constata che la norma censurata non può qualificarsi, come erroneamente ha fatto il legislatore, di interpretazione autentica per una duplice ragione. Anzitutto, la disciplina contenuta nell'art. 1, commi da 194 a 206, si applicava esclusivamente alla sola confisca di prevenzione e non alla confisca penale allargata per la quale il legislatore aveva previsto una normativa diversa, ovvero quella dettata dal comma 190 del medesimo art.1. Pertanto, il legislatore ha in tal modo esteso l'applicazione della norma richiamata a una fattispecie dapprima non contemplata, attribuendole inoltre efficacia retroattiva Non solo. La norma censurata, così disponendo, ha introdotto un discrimen temporale, prima inesistente, tra confische penali allargate, per le quali la notizia di reato è stata iscritta prima dell'entrata in vigore del codice antimafia e quelle successive. Conseguentemente, per le confische allargate iscritte anteriormente al 13 ottobre 2011 si applica l'art.37, per quelle successive l'art. 31, ovvero il codice antimafia. Da tutto ciò discende la natura innovativa e non interpretativa della disposizione censurata. Difatti, argomenta la Corte che una norma può qualificarsi di interpretazione autentica solo quando rientra nell'ambito delle possibili varianti di senso del testo originario, rendendo così vincolante un significato che, secondo gli ordinari canoni dell'interpretazione della legge, sarebbe stato riconducibile alla disposizione precedente (sentenze n. 61/2022, n. 133/2020, n. 167 e n. 15/2018, n. 73/2017 e n. 525 del 2000), ma non quando, come nel caso esaminato, ha una portata innovativa. L'illegittimità costituzionale della norma discende, sotto altro verso, non tanto dalla sua differente qualificazione di norma innovativa e non di interpretazione autentica, quanto dall'avere la prescrizione violato i principi costituzionali. Anzitutto, il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., poiché, in virtù del richiamo operato dalla norma censurata, all'entrata in vigore della stessa (19 novembre 2017) per le confische allargate, il termine di decadenza di centottanta giorni, entro cui il creditore deve proporre domanda di ammissione del credito, potrebbe decorrere retroattivamente prima della data di entrata in vigore della legge. Il termine di decadenza di centottanta giorni, decorrente dal momento in cui la confisca diviene definitiva, entro cui proporre domanda di ammissione del credito al pagamento –previsto per le confische penali allargate solo dall'art. 37 della l. n. 161/2017 quindi dall'entrata in vigore di quest'ultima (19 novembre 2017 - è stato introdotto con efficacia retroattiva risalente alla data di entrata in vigore della l. n. 228/2012 (ossia dal 1° gennaio 2013). Conseguentemente, si è realizzata una disparità di trattamento tra quei creditori per i quali il momento della definitività della confisca è successivo all'entrata in vigore della l. n. 161/2017, perché si sono potuti avvalere dell'intero decorso del termine, e quelli per i quali la definitività si è realizzata prima di tale data. Per questi ultimi, infatti, il termine di decadenza può essere ridotto o addirittura spirato. Parimenti risulta essere violato l'art. 24 Cost., in quanto l'efficacia retroattiva della disposizione renderebbe palesemente impossibile l'esercizio del diritto di difesa del terzo creditore, ogni qual volta il termine di decadenza statuito per l'esercizio del suo diritto sia accorciato o addirittura spirato. Per tutte queste argomentazioni, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 37, primo periodo, della l. n. 161/2017 per violazione degli artt. 3 e 24, 1° c. Cost., laddove non esclude che il termine di decadenza di cui all'art. 1, commi 199 e 205, della l. n. 228/2012 possa decorrere prima dell'entrata in vigore del menzionato art. 37. Osservazioni
La sentenza in oggetto affronta il problema della tutela dei terzi titolari di diritti reali di garanzia sul bene attinto da confisca penale allargata relativa a un procedimento penale iscritto prima dell'entrata in vigore del codice antimafia. La normativa in materia è caratterizzata da uno sbilanciamento a favore delle esigenze preventive e punitive perseguite dallo Stato rispetto a quelle di carattere particolare dei terzi titolari di diritti reali di garanzia sui beni colpiti dalla misura. Nel caso esaminato, il Giudice delle leggi non abbraccia tale orientamento pan-pubblicistico, in quanto la normativa apprestata dal legislatore lede l'eguaglianza dei creditori e il loro diritto alla tutela giurisdizionale. La sentenza si colloca in quel solco tracciato dalla Consulta con le sentenze n. 94/2015 e n. 26/2019. Con la prima, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 198, della l. n. 228/2012, laddove non include tra i creditori che sono soddisfatti nei limiti e con le modalità ivi indicati anche i titolari di crediti da lavoro subordinato. La successiva decisione è intervenuta in maniera più radicale sulle limitazioni alle categorie di creditori tutelabili ai sensi dell'art. 1, comma 198, della l. n. 228/2012, ritenendo tale previsione costituzionalmente illegittima laddove limita alle specifiche categorie di creditori ivi indicati la possibilità di ottenere soddisfacimento dei propri crediti sui beni del debitore che siano stati attinti da confisca di prevenzione, poiché esso determina un sacrificio irreparabile e privo di ogni fondamento razionale dei diritti di tutti i creditori di buona fede non rientranti in alcuna delle predette categorie, discriminando la loro posizione rispetto a quella dei creditori i cui interessi vengono invece salvaguardati dal medesimo precetto normativo, ora, al solo profilo della tutela dei terzi creditori. La decisione quindi enuclea un principio fondamentale: il bilanciamento tra l'interesse perseguito dalle misure di prevenzione patrimoniali, ricollegabile ad esigenze di ordine e sicurezza pubblica, costituzionalmente rilevanti e quello contrapposto dei creditori di buona fede non può tradursi in un sacrificio irreparabile dei diritti di questi ultimi. Riferimenti
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