A norma degli artt. 2056 - 1227 c.c., nella responsabilità aquiliana è rilevante l'eventuale comportamento colposo del danneggiato, poiché esso incide sul nesso eziologico.
Il rigore del principio dell'equivalenza delle cause, posto dall'art. 40 c.p, in base al quale, se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nel principio di causalità efficiente, desumibile dal secondo comma dell'art. 41 c.p., in base al quale l'evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all'autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevante le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto (Cass. n. 268/1996).
Questa interruzione del nesso di causalità può essere anche l'effetto del comportamento sopravvenuto dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell'evento di danno, sì da privare dell'efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell'autore dell'illecito (Cass. n. 6640/1998).
Un corollario di detto principio è la regola posta dall'art. 1227 c.c., comma 1, il quale nel contempo fornisce base normativa al suddetto principio, presupponendolo. Tale norma prevede la riduzione del risarcimento in presenza della colpa del danneggiato: essa è un approdo dei codici moderni.
L'art. 1227, comma 1, c.c. rappresenta un corollario del principio della causalità, per cui al danneggiante non può far carico quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile.
Pertanto la colpa, cui fa riferimento l'art. 1227 c.c., va intesa non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perché il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all'art. 2043 c.c.), bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato. La questione del comportamento colposo del danneggiato, come influente esclusivamente sul nesso causale, è stata positivamente esaminata, in particolare, in relazione al fortuito, come elemento liberatorio del custode dalla sua responsabilità ex art. 2051 c.c. (Cass. n. 7727/2000).
La regola di cui all'art. 1227 c.c., va inquadrata esclusivamente nell'ambito del rapporto causale ed è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso (Cass. n. 15382/2006).
Così inquadrato sotto il profilo eziologico il comportamento colposo del danneggiato, va osservato che esso non concreta un'eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa, che deve essere esaminata anche d'ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini sull'eventuale sussistenza dell'incidenza causale dell'accertata negligenza nella produzione dell'evento dannoso, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste della parte, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto su cui si fonda il comportamento colposo del danneggiato (Cass. n. 4799/2001).
Infatti, l'art. 1227, comma 1 nello stabilire che il risarcimento non è dovuto per i danni causati dal suo comportamento doloso, obbliga con ciò stesso il giudice ad accertare tutti i fattori causali, così da imporgli di indagare d'ufficio sull'eventuale concorso di colpa del danneggiato e della sua incidenza sulla genesi del danno.