Licenziamento per giustificato motivo oggettivo e violazione dell'obbligo di repêchage: è prevista la reintegrazione del lavoratore

Alessandra Boati
08 Marzo 2023

Attraverso la sentenza in commento, che si inserisce in una serie di recenti pronunce sul tema, la Corte di Cassazione torna a esprimersi in merito alle tutele applicabili in caso di violazione dell'obbligo di repêchage all'esito dei recenti interventi della Corte Costituzionale sull'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Massima

Se viene accertata la violazione dell'obbligo di repêchage, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è illegittimo per insussistenza del fatto alla base del recesso datoriale e, pertanto, scattano la reintegra e il risarcimento al lavoratore.

A seguito delle pronunce della Corte Costituzionale n. 59/2021 e n. 125/2022, che hanno dichiarato in parte incostituzionale il settimo comma dell'articolo18delloStatutodeiLavoratori, la tutela applicabile al dipendente è quella di cui al quarto comma, ossia la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento fino a dodici mensilità. Secondo la Corte di Cassazione, anche l'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore, accanto alle ragioni produttive e organizzative del datore, rientra nel fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo.

Il caso

A seguito della domanda di accertamento di un lavoratore della nullità/illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con conseguente reintegra nel posto di lavoro con condanna al pagamento dell'indennità risarcitoria ex art. 18, L. 300/1970, oltre all'ulteriore risarcimento del danno per demansionamento e mobbing e per le modalità asseritamente ingiuriose di intimazione del recesso, il Tribunale di Roma ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro e condannato la datrice convenuta – una associazione vicina all'Opus Dei - al pagamento in favore del ricorrente dell'indennità risarcitoria, nella misura di 16 mensilità dell'ultima retribuzione lorda globale di fatto.

In secondo grado, la Corte di Appello di Roma, pronunciandosi sugli appelli proposti da entrambe le parti, riuniti ex art.335c.p.c., ha rigettato l'appello datoriale, accogliendo parzialmente quello del dipendente, con conferma della pronuncia di primo grado e ulteriore condanna della datrice al pagamento di un risarcimento del danno – connesso alla modalità di risoluzione del rapporto

– quantificato in via equitativa in € 15.000.

Il giudice di appello, esclusi la natura discriminatoria del recesso datoriale in relazione alla non appartenenza del dipendente al mondo dell'Opus Dei, il demansionamento e lo svuotamento di mansioni, così come la condotta mobbizzante, ha ritenuto invece effettiva e non simulata la riorganizzazione attuato dal nuovo Direttore Generale dell'associazione, quale espressione della libertà di iniziativa economica non sindacabile in sede giudiziale nei suoi profili di congruità e opportunità.

Sempre a parere del giudice di secondo grado, sia la lettera di recesso sia la precedente comunicazione ex art. 7 L. n. 604/1966, fra loro congruenti, indicavano chiaramente la ragione di carattere tecnico-produttivo giustificativa del licenziamento, ossia la soppressione della posizione di Responsabile della Comunicazione, ricoperta dal lavoratore.

Veniva, quindi, esclusa la manifesta insussistenza del motivo oggettivo di licenziamento in quanto, secondo la Corte di Appello, parte datoriale aveva dato prova dell'effettività della causale del riassetto organizzativo, offrendo ulteriore dimostrazione dell'esigenza di riduzione dei costi, attraverso la redistribuzione interna di una parte delle attività e all'esternalizzazione dei servizi di comunicazione istituzionale.

Infine, in merito al repêchage, il giudice di appello rilevava la genericità e l'inadeguatezza delle contestazioni mosse dall'associazione nel contrastare quanto dedotto dal lavoratore circa l'assunzione, in prossimità del licenziamento, di altri dipendenti e il fatto che la datrice non aveva dato prova di ricollocazione del dipendente in una diversa posizione, data l'esistenza di un unico centro di imputazione tra l'associazione medesima e altri soggetti facenti capo alla sua stessa galassia.

Infine, la Corte di Appello ha escluso che la decisione di sopprimere la mansione del ricorrente e di licenziarlo, senza alcun criterio selettivo, fosse da sola sufficiente a comportare l'applicabilità della tutela reintegratoria, ritenendo altresì che le modalità di licenziamento avessero determinato per il lavoratore una lesione qualificabile come danno morale, da liquidare in via equitativa.

Per la cassazione della decisione il lavoratore ha proposto ricorso sulla base di sei motivi; l'associazione ha resistito con controricorso, con il quale ha proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi. Il dipendente ha depositato controricorso avverso il concorso incidentale.

Le questioni

Con il primo motivo il dipendente censurava la sentenza impugnata per aver negato la tutela risarcitoria,omettendodivalutareadeguatamenteiprofilidiillegittimitàdellicenziamentolacui verifica in appello avrebbe portato all'applicazione della tutela ripristinatoria delrapporto.

Con il secondo motivo veniva dedotto l'omesso esame di fatti decisivi riguardanti il carattere discriminatorio/ritorsivo del licenziamento, mentre con il terzo e il quarto motivo, rispettivamente, l'omesso esame dei mezzi istruttori, finalizzati, in particolare, a confermare il carattere vessatorio della complessiva condotta datoriale e l'omesso esame del fatto costituito dalla manomissione e/o non autenticità di atti prodotti dalla parte datoriale.

Infine, con il quinto e il sesto motivo il ricorrente censurava l'entità della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno e la statuizione di parziale compensazione delle spese di lite.

Con riferimento al ricorso incidentale, invece, l'associazione censurava la sentenza impugnata (i) per non aver ritenuto assolto l'onere di repêchage, (ii) per aver riconosciuto il diritto del dipendente al risarcimento del danno connesso alle modalità di intimazione e (iii) per aver determinato l'indennità risarcitoria sulla base di un criterio non conforme al parametro legale.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata, ciò comportando l'assorbimento delle censure sviluppate con il sesto motivo di ricorso principale e con il terzo del ricorso incidentale. I motivi secondo, terzo, quarto e quinto del ricorso principale e i motivi primo e secondo del ricorso incidentale veniva invece ritenuti tutti inammissibili.

Secondo i giudici di legittimità, le censure sollevate dal dipendente circa la tutela reintegratoria devono essere accolte in conformità dell'assetto normativo delineato dall'art. 18 L. 300/1970 a seguito delle due pronunce della Corte Costituzionale n. 59 del 2021 e n. 125 del 2022.

Come noto, la sentenza n. 59 del 2021 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, L, 300/1970, come modificato dalla L. n. 92/2012 (Riforma Fornero), censurando la norma nella parte in cui prevede che il giudice, una volta accertata la manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, “paltresì applicare” invece che “applica altresì” la tutela reintegratoria.

I giudici della Consulta si sono poi nuovamente pronunciati nel 2022 con la sentenza n. 125, la quale è ulteriormente intervenuta sull'art. 18, settimo comma, secondo periodo, dichiarandone l'illegittimità costituzionale limitatamente alla parola “manifesta”, statuendo così che la “insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” non richiede ulteriori qualificazioni o accertamenti se non la prova della sua sussistenza.

A seguito delle predette pronunce, pertanto, nel caso in cui venga accertata l'insussistenza (non più necessariamente manifesta) delle ragioni poste a fondamento del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il giudice dovrà sempre disporre la reintegra del lavoratore, oltre a condannare il datore al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione lorda globale di fatto dal licenziamento alla reintegra, comunque in misura non superiore alle 12 mensilità, dedotto l'aliunde perceptum, oltre al pagamento dei contributi previdenziali dal giorno del licenziamento alla reintegra.

Sostengono, infatti, i giudici di legittimità nella sentenza in commento che “per orientamento giurisprudenziale consolidato (…) fatto costitutivo del giustificato motivo oggettivo è rappresentato sia dalle ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia dall'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore (cd. "repêchage")” e che “tale ricostruzione è stata avallata dalla Corte costituzionale la quale, nella sentenza n. 125/2022 cit., (…) ha precisato che «il fatto che è all'origine del licenziamento per giustificato motivo oggettivo include tali ragioni (ossia le ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa n.d.r.) e, in via prioritaria, il nesso causale tra le scelte organizzative del datore di lavoro e il recesso del contratto, che si configura come estrema ratio, per l'impossibilità di collocare altrove il lavoratore»”.

Osservazioni

Attraverso la sentenza in commento, che si inserisce in una serie di recenti pronunce sul tema (tra le ultimissime: Cass. sez. lav., 2 dicembre 2022, n. 35496; Cass. sez. lav. ord. 11 novembre 2022, n. 33341; Cass. sez. Lav. 18 novembre 2022, n. 34049) la Corte di Cassazione torna a esprimersi in merito alle tutele applicabili in caso di violazione dell'obbligo di repêchage all'esito dei recenti interventi della Corte Costituzionale sull'art. 18 dello Statuto deiLavoratori.

La sentenza commentata, così come le altre pronunce che si inseriscono nel medesimo filone, afferma, infatti, che, con riferimento ai dipendenti che rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo 18 della Legge n. 300/1970, in caso di insussistenza delle ragioni aziendali poste a fondamento del licenziamento per motivo oggettivo, il giudice non ha (più) margini di scelta, dovendo riconoscere il rimedio della reintegrazione nel posto di lavoro, sia nel caso di insussistenza delle ragioni organizzative o produttive, sia nel caso in cui non sia provata l'impossibilità di riassegnazione del lavoratore su altre mansioni (c.d. obbligo di repêchage).

Sul punto è bene evidenziare che un primo orientamento giurisprudenziale, che escludeva l'applicazione della tutela ripristinatoria in favore di quella meramente indennitaria in caso di violazione dell'obbligo di repêchage (Trib. Milano 20 novembre 2012; Trib. Torino 5 aprile 2016; Trib.Genova 14 dicembre 2013; Trib. Varese 4 settembre 2013; Trib. Roma 8 agosto 2013), è stato negli anni più recenti superato da un secondo orientamento, a cui aderisce la Corte di Cassazione con la sentenza qui commentata, che prevede invece l'applicazione della tutela reintegratoria (Cass. 2 maggio 2018, n. 10435; Cass. 17 ottobre 2019, n. 26460).

Quest'ultimo orientamento ha trovato ulteriore radicamento a seguito delle pronunce n. 59/2021

e n. 125/2022 della Consulta.

La prima delle predette pronunce, prevedendo che, se è riscontrata l'insussistenza del fatto costitutivo del licenziamento, il giudice non «può» ma «deve» applicare il rimedio della tutela reale, ha ricondotto nella nozione di insussistenza del fatto non solo le ragioni tecniche, organizzative e produttive e il nesso causale tra il recesso e le scelte organizzative del datore di lavoro, ma anche il repêchage.

I giudici costituzionali, infatti, hanno affermato chiaramente che “Il ripristino del rapporto di lavoro, con un risarcimento fino a un massimo di dodici mensilità, è circoscritto all'ipotesi della manifesta insussistenza del fatto, che postula una evidente assenza dei presupposti di legittimità del recesso e dunque la sua natura pretestuosa. Tale requisito, che il rimettente non censura, si correla strettamente ai presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che è onere del datore di lavoro dimostrare. Tali sono da intendersi le ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento, il nesso causale che lega il recesso alle scelte organizzative del datore di lavoro e, infine, l'impossibilità di collocare altrove il lavoratore (…). Perché possa operare il rimedio della reintegrazione, è sufficiente che la manifesta insussistenza riguardi uno dei presupposti appena indicati (…).”

A sua volta, la sentenza n. 125/2022, avendo fatto venir meno il requisito della “manifesta” evidenza dell'insussistenza del fatto (che è sufficiente, quindi, sia solo esistente) ha esteso la tutela reintegratoria a tutti i casi in cui vengono meno i presupposti del giustificato motivo oggettivo, ivi inclusa la violazione dell'obbligo di repêchage, mentre la tutela indennitaria rimane un'ipotesi residuale che riguarda oramai unicamente la violazione dei criteri di scelta.

Alla luce della disamina della recente giurisprudenza di legittimità e – soprattutto - costituzionale,

appare quindi evidente l'ampliamento e l'espansione dell'area di applicazione della tutela reintegratoria, che rappresenta oramai la tutela ordinaria in caso di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo dei lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015.

Il regime sanzionatorio risultante da questo ampliamento presenta, però, diversi aspetti che certamente dovranno essere affrontanti nel prossimo futuro non solo dagli organi giudicanti ma anche – e soprattutto – dal legislatore.

In primis, infatti, non si può non evidenziare che il risultato delle pronunce analizzate è quello di aver creato un regime sanzionatorio che, ampliando la tutela reintegratoria a danno di quella indennitaria, si allontana dalla ratio che aveva animato la promulgazione della Legge Fornero. Non solo, l'applicazione in via prevalente della tutela reintegratoria ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo illegittimi per i dipendenti assunti prima del 7 marzo 2015, allarga le differenze di tutela che l'ordinamento riconosce ai dipendenti assunti – invece – dopo tale data.

Ciò considerato, se da un lato è lecito auspicare un intervento normativo che razionalizzi il sistema sanzionatorio nel suo complesso, è altrettanto lecito supporre che l'estensione del riconoscimento del rimedio della reintegra, già registrato per i recessi sottostanti al regime sanzionatorio della L. n. 92/2012, possa interessare anche i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo che ricadono nell'ambito di applicazione del Jobs Act.