Le riforme mancate in Italia: ragioni e senso di anni di promesse deluse (*)
08 Marzo 2023
Premessa
In particolare, vale la pena passare in rassegna le norme della L. n. 23/2014 per rendersi conto della concreta portata di tali “riforme mancate”, senza peraltro dimenticare che grazie alle deleghe contenute in tale provvedimento normativo sono state adottate alcune fra le più importanti innovazioni normative nella nostra materia degli ultimi tempi (si pensi al nuovo assetto dell'abuso del diritto, alla riforma degli interpelli, all'introduzione della dichiarazione precompilata, della fatturazione elettronica e dell'adempimento collaborativo, nonché alla revisione del contenzioso tributario che ha contribuito a rendere maggiormente effettivo il diritto di tutela giurisdizionale delle parti e più rispettoso del principio del “giusto processo” il giudizio tributario). Lo stesso criterio sarà seguito per il Disegno di Legge n. 3343 approvato dalla Camera il 22 giugno 2022.
Non verranno prese in considerazione le norme della L. n. 23/2014 aventi ad oggetto la revisione del catasto dei fabbricati (art. 2), la revisione della disciplina del reddito d'impresa e di lavoro autonomo e sui redditi soggetti a tassazione separata e la previsione di regimi forfetari per i contribuenti di minori imensioni (art. 11), la razionalizzazione della determinazione del reddito d'impresa e della produzione netta (art. 12), la razionalizzazione dell'IVA e di altre imposte indirette (art. 13), poiché formeranno oggetto di successive relazioni.
L'attenzione si concentrarà sulle “riforme mancate” concernenti la disciplina dei procedimenti attuativi dei rapporti obbligatori d'imposta e il regime sanzionatorio.
Un aspetto non interessato dagli interventi successivi, concernente la fiscalità energetica e ambientale, di cui all'art. 15 della L. n. 23/2014, stante la particolare attualità di questo tema.
Inoltre, non potrà non farsi un cenno alla revisione delle cosiddette “spese fiscali”, di cui all'art. 4 della L. n. 23/2014, in ragione dell'indubbia rilevanza sistematica che l'argomento assume.
Allo stesso modo, non esaminerò le norme del DDL n. 3343/2022 sulla revisione dell'imposizione personale sui redditi (art. 2), sulla revisione dell'IRES e della tassazione del reddito d'impresa (art. 3), sulla razionalizzazione dell'IVA e di altre imposte indirette (art. 4), sul graduale superamento dell'IRAP (art. 5), sulla mappatura degli immobili e sulla revisione del catasto (art. 6) e sulla revisione delle addizionali all'IRPEF e del riparto del gettito fra Stato e Comuni dei tributi sugli immobili ad uso produttivo (art. 7).
_______________ (*) Testo, con alcuni adattamenti e variazioni, della relazione al Convegno “Il sistema tributario tra riforme promesse e riforme tradite – Giornate in ricordo di Furio Bosello”, svoltosi a Bologna il 15 e il 16 dicembre 2022.
Conviene prendere le mosse dall'art. 1 della L. n. 23/2014, riguardante la “delega al Governo per la revisione del sistema fiscale e procedura”.
È rimasta inattuata la delega recepita nelle lett. a), b) e c) dell'art. 1 cit., in tema, rispettivamente, di “tendenziale uniformità della disciplina riguardante le obbligazioni tributarie, con particolare riferimento ai profili della solidarietà, della sostituzione e della responsabilità”, “coordinamento e semplificazione delle discipline concernenti gli obblighi contabili e dichiarativi dei contribuenti, al fine di agevolare la comunicazione con l'amministrazione finanziaria in un quadro di reciproca e leale collaborazione, anche attraverso la previsione di forme di contraddittorio propedeutiche all'adozione degli atti di accertamento dei tributi” e “coerenza e tendenziale uniformità dei poteri in materia tributaria e delle forme e modalità del loro esercizio, anche attraverso la definizione di una disciplina unitaria della struttura, efficacia ed invalidità degli atti dell'amministrazione finanziaria e dei contribuenti, escludendo comunque la possibilità di sanatoria per la carenza di motivazione e di integrazione o di modifica della stessa nel corso del giudizio”.
Si tratta senz'altro della “riforma mancata” più significativa, in quanto essa presuppone la cosiddetta “codificazione” della variegata disciplina procedurale tributaria, relativa non solo al regime legale delle obbligazioni tributarie, ma anche alle regole che sovrintendono ai rimborsi, ai poteri istruttori degli Enti impositori e della Guardia di Finanza, alle tecniche di accertamento degli illeciti tributari, alla decadenza dall'esercizio dei poteri di contestare detti illeciti, agli obblighi di collaborazione e dichiarativi dei contribuenti, che tuttora sono autonome e diverse per ogni singolo tributo.
Neanche l'assetto normativo del cd. “contraddittorio preventivo generalizzato”, che si rinviene nell'art. 5-ter del D.lgs. n. 218/1997 e che non discende dall'attuazione della delega recata dalla L. n. 23/2014 (tale norma, difatti, è stata introdotta dal D.L. n. 34/2019 convertito in L. n. 58/2019), può definirsi satisfattivo e non necessitante di un ulteriore intervento ad opera del legislatore.
Per averne piena consapevolezza basta pensare alle significative limitazioni che detta disciplina incontra: il pensiero corre, in specie, agli avvisi di accertamento parziale e, in materia di imposte dirette, ai dinieghi di rimborso, ai recuperi di rimborsi erogati e ai recuperi di crediti d'imposta, nonché a tutti gli atti impositivi relativi ai numerosi tributi “non armonizzati”, quali – ad esempio – le imposte di registro, ipotecaria e catastale, di successione e donazione.
Insomma, sul regime del contraddittorio preprocessuale si avverte, tuttora, l'esigenza di una riforma che ne renda omogeno l'assetto per tutti i tributi contemplati dal nostro ordinamento. Il tema della “codificazione” è stato affrontato anche dall'art. 9 del DdL n. 3343/2022, i cui princìpi e criteri direttivi appaiono senz'altro meritevoli di apprezzamento.
Segnatamente, nell'opera di “codificazione”, il Governo avrebbe dovuto perseguire l'obiettivo di “garantire la certezza dei rapporti giuridici e la chiarezza del diritto nel sistema tributario, compresi l'accertamento, le sanzioni e la giustizia tributaria”.
Non solo, la “codificazione” avrebbe dovuto “assicurare l'unicità, la contestualità, la completezza, la chiarezza e la semplicità della disciplina relativa a ogni settore”, nonché “aggiornare e semplificare il linguaggio normativo anche al fine di adeguarlo a quello degli atti dell'Unione europea; evitare rinvii superflui, assicurando che ciascuna norma sia semanticamente chiara e concettualmente autosufficiente, secondo quanto previsto dall'art. 2 della L. 27 luglio 2000, n. 212”.
Obiettivi, quelli appena enunciati, che chiunque abbia conoscenza dell'attuale legislazione tributaria non può che condividere, pur nella consapevolezza della difficoltà di assicurarne la concreta realizzazione.
L'interruzione anticipata della XVIII legislatura ha impedito l'approvazione del DdL n. 3343/2022 e, almeno con riferimento alla prospettata “codificazione”, si è al cospetto di uno dei “rimpianti” più significativi che ne sono scaturiti.
Con riferimento al contrasto all'evasione fiscale, viene in rilievo l'art. 3 della L. n. 23/2014, concernente “stima e monitoraggio dell'evasione fiscale”. Mentre la delega sulla rilevazione dell'evasione fiscale ha trovato attuazione con il D.lgs. 24 settembre 2015, n. 160, quella, contemplata dalla lett. a) dell'art. 3 cit., volta ad “attuare una complessiva razionalizzazione e sistematizzazione della disciplina dell'attuazione e dell'accertamento relativa alla generalità dei tributi” non ha avuto esito.
Anche questo tema, evidentemente, presuppone l'adozione di una disciplina generale e uniforme dei procedimenti attuativi dei diversi tributi presenti nel nostro ordinamento.
Non solo, è rimasta inattuata pure la delega prevista dalla lett. e) di questa disposizione, avente ad oggetto la definizione delle “linee di intervento per favorire l'emersione di base imponibile, anche attraverso l'emanazione di disposizioni per l'attuazione di misure finalizzate al contrasto d'interessi fra contribuenti, selettivo e con particolare riguardo alle aree maggiormente esposte al mancato rispetto dell'obbligo tributario, definendo attraverso i decreti legislativi le più opportune fasi applicative e le eventuali misure di copertura finanziaria nelle fasi di attuazione”.
Non si tratta, però, di una riforma strutturale del sistema tributario in quanto l'adozione di tali “linee di intervento” presuppone l'apprezzamento di fenomeni di inadempimento degli obblighi fiscali variegati e inevitabilmente mutevoli nel tempo. Poi, passando all'art. 9 della L. n. 23/2014, in tema di “rafforzamento dell'attività conoscitiva e di controllo”, va osservato che le numerose deleghe contenute in questa norma hanno trovato attuazione per quanto attiene all'introduzione della fatturazione elettronica e ai controlli sulle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici (D.lgs. 5 agosto 2015, n. 127), alla revisione della disciplina dell'organizzazione delle Agenzie Fiscali (D.lgs. 24 settembre 2015, n. 157) e al rafforzamento del controllo del Ministero dell'Economia e delle Finanze sull'Agente della Riscossione (D.lgs. 24 settembre 2015, n. 159).
Non hanno invece avuto seguito le altre deleghe, di cui alla lett. a), che prevedeva di “rafforzare i controlli mirati da parte dell'amministrazione finanziaria, utilizzando in modo appropriato e completo gli elementi contenuti nelle banche di dati e prevedendo, ove possibile, sinergie con altre autorità pubbliche nazionali, europee e internazionali, al fine di migliorare l'efficacia delle metodologie di controllo, con particolare rafforzamento del contrasto delle frodi carosello, degli abusi nelle attività di incasso e trasferimento di fondi (money transfer) e di trasferimento di immobili, dei fenomeni di alterazione delle basi imponibili attraverso un uso distorto del transfer pricing e di delocalizzazione fittizia di impresa, nonché delle fattispecie di elusione fiscale”; alla lett. b), secondo cui si sarebbe dovuto “prevedere l'obbligo di garantire l'assoluta riservatezza nell'attività conoscitiva e di controllo fino alla completa definizione dell'accertamento; prevedere l'effettiva osservanza, nel corso dell'attività di controllo, del principio di ridurre al minimo gli ostacoli al normale svolgimento dell'attività economica del contribuente, garantendo in ogni caso il rispetto del principio di proporzionalità; rafforzare il contraddittorio nella fase di indagine e la subordinazione dei successivi atti di accertamento e di liquidazione all'esaurimento del contraddittorio procedimentale; alla lett. c), in base alla quale sarebbe occorso “potenziare e razionalizzare i sistemi di tracciabilità dei pagamenti, prevedendo espressamente i metodi di pagamento sottoposti a tracciabilità e promuovendo adeguate forme di coordinamento con gli Stati esteri, in particolare con gli Stati membri dell'Unione europea, nonché favorendo una corrispondente riduzione dei relativi oneri bancari”; alla lett. e), che prescriveva di “verificare la possibilità di introdurre meccanismi atti a contrastare l'evasione dell'IVA dovuta sui beni e servizi intermedi, facendo in particolare ricorso al meccanismo dell'inversione contabile (reverse charge), nonché di introdurre il meccanismo della deduzione base da base per alcuni settori”; alla lett. f), che prevedeva di “rafforzare la tracciabilità dei mezzi di pagamento per il riconoscimento, ai fini fiscali, di costi, oneri e spese sostenuti, e prevedere disincentivi all'utilizzo del contante, nonché incentivi all'utilizzo della moneta elettronica”.
Di alcune di queste deleghe non è attualmente prospettabile l'attuazione per ragioni squisitamente “politiche” [mi riferisco alla disincentivazione dell'uso del contante, di cui alla lett. f), in netto contrasto con l'opposto intento palesato dall'attuale compagine governativa e dalla maggioranza che la supporta e che ha trovato puntuale espressione nella Legge di Bilancio 2023] o perché postulano un intervento del legislatore in un ambito che non si colloca propriamente nel contesto delle riforme sistematiche delle norme attuative dei doveri impositivi [il riferimento è al contrasto all'evasione fondato sul ricorso al regime del cd. “reverse charge”, di cui alla lett. e)].
Restano le deleghe di cui alle lett. a), b) e c), che hanno un'indubbia rilevanza sistematica. Più precisamente, significativo rilievo avrebbe il rafforzamento del “contraddittorio nella fase di indagine”. Se tale interlocuzione venisse riconosciuta, fra l'altro, l'ordinamento italiano garantirebbe il contraddittorio in termini più accentuati rispetto a quanto avviene in ambito comunitario [la giurisprudenza europea (V., per esempio, Corte di Giustizia dell'Unione Europea, 22 ottobre 2013, causa C-276/12, “Sabou”), infatti, riconosce l'esigenza del contraddittorio solo quando l'attività istruttoria si è esaurita e l'Ente impositore si ripromette di muovere l'addebito al contribuente].
Ovviamente, dovrebbero contemplarsi delle deroghe per evitare che, in circostanziate ed eccezionali evenienze, il contraddittorio possa nuocere all'efficienza delle indagini fiscali. Si aggiunga, ancora, che assicurare il “rispetto del principio di proporzionalità” nel corso dell'attività di controllo presupporrebbe la previsione di specifiche forme di responsabilità personale a carico dei verificatori che detto principio non osservassero e di un efficace mezzo di tutela cautelare che fosse in grado di evitare la prosecuzione di indebite attività istruttorie e/o il ripristino dei pregiudizi cagionati da dette illecite attività.
Sempre con riguardo all'attività di controllo degli adempimenti dei contribuenti, meritano di essere ricordati i criteri direttivi che il DdL n. 3343/2022 enunciava (nell'art. 1) e che avrebbero dovuto essere recepiti nella menzionata opera di “codificazione”.
Mi riferisco, per la precisione, all'estensione degli adempimenti in via telematica (che agevolano tanto l'opera dei contribuenti quanto quella del Fisco nel verificarne la correttezza), alla “piena realizzazione dell'interoperabilità delle banche di dati, ferma restando la salvaguardia dei dati personali ai sensi del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016” (se i risultati emergenti dalle varie banche dati di cui le Agenzie fiscali e la Guardia di Finanza dispongono fossero pienamente utilizzati e fra loro coordinati, nel rispetto della disciplina della cosiddetta “privacy”, l'attività di contrasto alle condotte evasive risulterebbe sicuramente facilitata) e all'“utilizzo efficiente, anche sotto il profilo tecnologico, da parte dell'amministrazione finanziaria, dei dati ottenuti attraverso lo scambio di informazioni” con le Autorità fiscali straniere (in presenza di rapporti economici sempre più frequentemente transnazionali, il corretto e costante impiego di tali informazioni potrebbe consentire di perseguire condotte fiscalmente illecite altrimenti difficilmente individuabili e/o contestabili).
Una menzione particolare e autonoma merita il criterio direttivo sempre contenuto nell'art. 1 del DdL n. 3343/2022 e volto a “ridurre l'evasione e l'elusione fiscali, anche attraverso la piena utilizzazione dei dati che affluiscono al sistema informativo dell'anagrafe tributaria, il potenziamento dell'analisi del rischio, il ricorso alle tecnologie digitali e alle soluzioni di intelligenza artificiale, ferma restando la salvaguardia dei dati personali ai sensi del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, nonché mediante il rafforzamento del regime di adempimento collaborativo di cui al titolo III del D.lgs. 5 agosto 2015, n. 128”.
Ferma restando l'ovvia condivisibilità del pieno e proficuo utilizzo dei dati dell'anagrafe tributaria, del potenziamento delle analisi di rischio fiscale nelle condotte dei contribuenti e dell'implementazione del ricorso alle tecnologie digitali, il rafforzamento del regime di adempimento collaborativo avrebbe un effetto estremamente positivo nella riduzione dell'evasione e dell'elusione. L'individuazione delle aree di rischio fiscale nella concreta operatività delle imprese, la predisposizione dei controlli e rimedi – interni alle imprese medesime – per evitare che le ipotesi di rischio si traducano nella commissione di illeciti tributari e, soprattutto, la creazione di un costante confronto fra le imprese e il Fisco, anche in una fase preventiva rispetto al compimento di iniziative aventi implicazioni fiscali, rappresentano il migliore antidoto rispetto alla consumazione delle condotte evasive ed elusive.
Lo dimostrano, in conformità all'esperienza internazionale, il favore sempre crescente che le imprese italiane palesano nei confronti di questo istituto e i risultati largamente positivi che discendono dalla sua attuazione. Più cauto, invece, credo che debba essere l'approccio alle “soluzioni di intelligenza artificiale”.
Non perché se ne possa disconoscere la potenziale incisività nell'azione di repressione degli illeciti tributari, ma per la particolare e doverosa attenzione che l'impiego di dette “soluzioni” inevitabilmente presuppone.
Un indebito uso di esse, infatti, potrebbe condurre all'esternazione di contestazioni (oltretutto, con somma probabilità) “seriali” prive di fondamento, con palese pregiudizio non solo dei relativi destinatari ma anche dello stesso Ente impositore.
Infatti, è noto a ognuno come l'enunciazione di pretese errate offuschi l'immagine di detto Ente, lo oberi di altrimenti evitabili incombenze e lo costringa addirittura al sostenimento delle spese processuali in caso di soccombenza in giudizio.
Qui occorre fare riferimento all'art. 4 della L. n. 23/2014, riguardante il “monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale”.
Secondo il comma 2 di tale norma, il Governo era delegato ad introdurre “norme dirette a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali che appaiono, in tutto o in parte, ingiustificate o superate alla luce delle mutate esigenze sociali o economiche ovvero che costituiscono una duplicazione, ferma restando la priorità della tutela dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, dei redditi di imprese minori e dei redditi di pensione, della famiglia, della salute, delle persone economicamente o socialmente svantaggiate, del patrimonio artistico e culturale, della ricerca e dell'istruzione, nonché dell'ambiente e dell'innovazione tecnologica” (“intendendosi per spesa fiscale qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell'imponibile o dell'imposta ovvero regime di favore”, in base a quanto stabilito dal precedente comma 1).
Anche in questo caso la delega non è stata sfruttata.
D'altronde, intervenire sulle “spese fiscali”, che si sono accumulate nel corso degli anni per soddisfare troppo spesso le esigenze (talora pure occasionali) di determinati gruppi o categorie sociali portatori di interessi particolaristici, è “politicamente” assai difficile. Vi è il concreto rischio di generare diffuse insoddisfazioni e forti tensioni: basta pensare, ad esempio, che proprio il regime di una “spesa fiscale” è stato uno dei fattori che ha condotto alla caduta del Governo Draghi.
Si tratterebbe, tuttavia, di una riforma quanto mai necessaria per rendere il prelievo impositivo nel nostro Paese più equo e rispettoso dei valori costituzionali, riducendo significativamente le attuali troppo numerose “spese fiscali” e concentrandole nei settori maggiormente rilevanti alla luce di quanto stabilito nella Costituzione (essenzialmente, la tutela della famiglia, del lavoro, della salute, del patrimonio artistico, nonché la promozione dell'istruzione e della cultura).
Le sanzioni
Della riforma delle sanzioni amministrative e penali in materia tributaria si occupava l'art. 8 della L. n. 23/2014. Il D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 ha dato una condivisibile (seppure non completa, come vedremo) attuazione alla delega contenuta in tale norma.
Per l'esattezza, il D.lgs. n. 158/2015 ha ristretto, rispetto al passato, l'area di rilevanza penale dell'illecito tributario e ha, inoltre, previsto determinate ipotesi di non punibilità in sede penale laddove sia stato completamente soddisfatto il debito con l'Ente impositore mediante la corresponsione dell'imposta, degli interessi e della sanzione amministrativa. Ciò nonostante, credo che sia innegabile l'opportunità di una profonda revisione del rapporto fra i regimi sanzionatori amministrativo e penale in materia tributaria. La riduzione del numero tuttora elevato di fattispecie penali concorrerebbe a rendere maggiormente incisiva, oltre che più rapida, la reazione punitiva dell'ordinamento a fronte degli illeciti fiscali più gravi. Una soluzione su cui riflettere potrebbe essere quella di punire soltanto con le sanzioni penali (anche più severe rispetto alle attuali, cumulando la pena detentiva e quella pecuniaria su base proporzionale) gli illeciti in materia tributaria rivelatori di un grave disvalore sociale (quali sono quelli che prefigurano un atteggiamento fraudolento dell'autore della condotta) e riservare le sole sanzioni amministrative a tutti i restanti illeciti.
Le sanzioni amministrative, poi, potrebbero contemplare (ad esempio, qualora superassero una determinata soglia quantitativa e in caso di recidiva) delle misure accessorie, del genere di quelle stabilite dall'art. 12 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, onde rafforzare la repressione delle condotte illecite più gravi.
Ne risulterebbe un sistema non solo rispettoso del precetto del “ne bis in idem” ma anche più efficiente, in quanto il Giudice penale potrebbe proficuamente concentrarsi su un numero ridotto di casi più gravi e non si registrerebbe, così, l'attuale frequente definizione per intervenuta prescrizione dei processi riguardanti gli illeciti fiscali.
Si eviterebbe altresì l'odierna casualità nell'irrogazione delle due sanzioni, stante l'autonomia e il tendenziale parallelismo dei due procedimenti applicativi delle misure afflittive. Un significativo spunto in questa direzione, in verità, già vi era nell'art. 8 della L. n. 23/2014, secondo cui il legislatore delegato avrebbe dovuto riservare alle fattispecie illecite meno gravile sole sanzioni amministrative.
Sennonché, questo criterio direttivo, come si è visto, non è stato purtroppo accolto.
Infine, del sistema sanzionatorio si è occupato anche il DdL n. 3343/2022, introducendo il principio direttivo consistente nel “razionalizzare le sanzioni amministrative, garantendone la gradualità e la proporzionalità rispetto alla gravità delle violazioni commesse, con particolare attenzione alle violazioni formali o meramente formali”.
Criterio che ben avrebbe potuto consentire l'adozione di una riforma del genere di quella testé tratteggiata.
La riscossione
Il tema della riscossione tributaria era affrontato dall'art. 8 del DdL n. 3343/2022, rubricato “principi e criteri direttivi per la revisione del sistema nazionale della riscossione”. L'efficienza del sistema di riscossione fiscale è, da sempre, oggetto di attenzione e polemiche, sì che se ne prospettano ciclicamente riforme più o meno incisive, alcune delle quali hanno anche trovato concreta attuazione.
Rispetto al passato sono innegabili i progressi compiuti, ancorché sia sempre troppo elevato l'ammontare dei tributi e dei relativi accessori che non vengono riscossi. Tant'è che le sempre ricorrenti misure di definizione agevolata (le cosiddette “rottamazioni”) testimoniano le profonde criticità che il sistema di esazione tributaria presenta.
Al contempo, la frequenza di siffatte “rottamazioni” non incentiva l'adempimento spontaneo da parte dei contribuenti. Ad ogni modo, i criteri direttivi recati dall'art. 8 cit., da un lato, prevedevano di incrementare l'efficienza e di assicurare la semplificazione del sistema di riscossione (in particolare, “orientandone l'attività verso obiettivi di risultato piuttosto che di esecuzione del processo, revisionando l'attuale meccanismo della remunerazione dell'agente della riscossione, favorendo l'uso delle più evolute tecnologie e delle forme di integrazione e interoperabilità dei sistemi e del patrimonio informativo funzionali alle attività della riscossione ed eliminando duplicazioni organizzative, logistiche e funzionali, con conseguente riduzione di costi”).
Dall'altro lato, lasciavano presagire una riforma tanto “epocale” quanto apprezzabile, a mio giudizio.
Difatti, si prospettava di “individuare un nuovo modello organizzativo del sistema nazionale della riscossione, anche mediante il trasferimento delle funzioni e delle attività attualmente svolte dall'agente nazionale della riscossione, o di parte delle stesse, all'Agenzia delle entrate, in modo da superare l'attuale sistema, caratterizzato da una netta separazione tra l'Agenzia delle entrate, titolare della funzione della riscossione, e l'Agenzia delle entrate-Riscossione, soggetto che svolge le attività di riscossione”.
Chiunque abbia conoscenza delle vicende esattive dei tributi è consapevole che le relazioni e le comunicazioni fra le due Agenzie, per un verso, ritardino e complichino l'attività di riscossione e, per l'altro, siano talora fonte di disguidi pregiudizievoli, anzitutto e di regola, per i contribuenti e, talora, anche per le ragioni erariali.
Non solo, anche dal punto di vista processuale, la soppressione dell'alterità fra i due menzionati soggetti produrrebbe una benefica semplificazione, con indubbio vantaggio per tutti gli attori (parti e Giudice) del contenzioso.
Della “fiscalità energetica e ambientale” si occupava l'art. 16 della L. n. 23/2014.
La delega prevedeva “nuove forme di fiscalità, in raccordo con la tassazione già vigente a livello regionale e locale e nel rispetto del principio della neutralità fiscale, finalizzate a orientare il mercato verso modi di consumo e produzione sostenibili, e a rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull'energia elettrica, anche in funzione del contenuto di carbonio e delle emissioni di ossido di azoto e di zolfo”. Nonostante l'attuale fase di acuta fibrillazione dei costi di approvvigionamento delle risorse energetiche renda senz'altro difficile l'intervento in questo settore, è innegabile che la cosiddetta “transizione energetica” in favore di fonti rinnovabili interessi in termini decisivi anche la tassazione dei consumi energetici.
In questo contesto, si era da più parti ventilata l'abrogazione della cosiddetta “plastic tax” e l'introduzione di una cosiddetta “web green tax” (volta a colpire i redditi delle multinazionali del commercio elettronico generati dalle consegne di merci eseguite con veicoli inquinanti). Peraltro, la Legge di Bilancio 2023 si è poi limitata a procrastinare l'entrata in vigore della “plastic tax”, senza introdurre un nuovo tributo.
Invero, a una prima e sommaria impressione, un tributo di cui si è sempre paventata la complessa applicazione e la possibile traslazione sui consumatori finali (ossia la “plastic tax”) sarebbe stato sostituito da un altro (la “web green tax”), forse, di più facile attuazione, ma che – in ultima analisi – avrebbe potuto rendere più onerosi i sempre più diffusi acquisti di beni online, con pregiudizio quindi di detti consumatori finali. In ogni caso, l'ennesima proroga della “plastic tax” al 2024, se in parte spiegabile alla luce della congiuntura economica globale, fa sorgere dubbi circa l'efficacia del tributo stesso, per come attualmente disegnato. Non a caso, già prima della recente crisi sanitaria ed economica, numerose erano state le critiche, dovute principalmente alla sua complessa e macchinosa applicazione: dubbi circa le categorie di prodotti in plastica monouso da colpire; l'ulteriore rendicontazione che le imprese del settore sarebbero state chiamate a tenere per monitorare i dati di produzione e determinare l'ammontare dell'imposta; il rischio non scongiurato di traslazione dell'imposta sul consumatore finale.
Questi alcuni dei principali motivi di scetticismo.
Per altro verso, anche la “web green tax” generava forti dubbi sull'idoneità del tributo a raggiungere lo scopo prefissato. Tassare i veicoli inquinanti con i quali sono effettuate le consegne porta a porta nelle città, infatti, non necessariamente equivale a colpire a monte i redditi dei colossi dell'e-commerce, essendo concreto il rischio che una tale misura penalizzi a valle le imprese di trasporto che effettuano le consegne per le piattaforme di commercio elettronico, o i piccoli esercenti.
In tal modo, anziché colpire i grandi profitti generati dalle multinazionali dell'e-commerce, si renderebbero solo più onerosi i sempre più diffusi acquisti di beni online, con pregiudizio quindi dei consumatori finali.
In conclusione, sebbene si guardi al diritto tributario come strumento per promuovere comportamenti e modelli di sviluppo sostenibili, è evidente quanto ancora debba essere fatto in termini di lettura sistematica degli strumenti a disposizione del legislatore, per evitare di frustrare gli obiettivi perseguiti e di aggravare il sistema impositivo attuale.
In conclusione
Quali sono “ragioni e senso” delle “riforme mancate”?
In alcuni casi, credo che abbiano concorso alla mancata attuazione (o all'incompiuta realizzazione) di talune delle riforme passate in rassegna l'Amministrazione finanziaria (che è sempre stata “ostile” alla generalizzazione del contraddittorio preventivo) o il vasto movimento di opinione che ravvisa nella depenalizzazione degli illeciti in materia tributaria una sorta di ingiustificato “favore” nei confronti degli evasori (senza, peraltro, rendersi conto che un contrasto penale più “selettivo” avrebbe maggiore efficacia punitiva e deterrente a fronte degli illeciti fiscali più gravi e più riprovevoli). Tuttavia, il maggiore ostacolo al compimento delle riforme qui considerate debba ravvisarsi in un atteggiamento, diffuso e pervicace, secondo cui il rispetto dei doveri impositivi si realizza essenzialmente mitigando o inasprendo, a seconda dei casi e degli orientamenti politici, la pressione fiscale e la previsione dei doveri di collaborazione da parte dei contribuenti e dei terzi.
Non vi è, cioè, consapevolezza che il corretto e spontaneo adempimento degli obblighi impositivi presuppone, primariamente, l'esistenza di norme attuative omogenee, stabili, fondate su chiari ed equilibrati rapporti fra i poteri di controllo degli Enti impositori, i doveri di collaborazione dei contribuenti e il diritto di questi ultimi di subire i minori disagi possibili nel corso delle attività di verifica fiscale. Fra l'altro, le esperienze di Paesi vicini al nostro, sia dal punto di vista culturale che dell'ordinamento giuridico (mi riferisco, essenzialmente, alla Spagna e alla Francia), dovrebbe esserci, al contempo, di esempio e di monito.
Perché non dovremmo anche noi dotarci di strumenti normativi analoghi alla “Ley general tributaria” o al “Livre des procédures fiscales”?
Senz'altro il nostro Paese ne trarrebbe vantaggio, favorendo la compliance e potendo risultare maggiormente attrattivo degli investimenti stranieri [basta pensare che nel 2021 l'Italia ha attratto il 4% della quota di mercato degli investimenti internazionali in Europa, a fronte del 21% di detta quota della Francia e del 6% della Spagna. (Fonte: EY Europe Attractiveness Survey 2022. In particolare, gli investimenti diretti esteri (ide) nel 2021 in Italia sono stati 207, mentre in Francia sono stati 1.221 e in Spagna sono stati 361)], considerando oltretutto che una recente indagine [Fonte: EY Europe Attractiveness Survey 2022. In specie, la “incertezza regolatoria” è il principale limite agli investimenti stranieri in Italia (69%), cui fanno seguito il “rischio contenzioso” (65%) e l'“eccessivo carico burocratico” (56%)] individua la “incertezza regolatoria” come il principale ostacolo agli investimenti in Italia per gli operatori stranieri intervistati.
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