Le maggioranze per l'approvazione del concordato in continuità aziendale

08 Marzo 2023

Con il presente articolo, l'Autore offre una esaustiva panoramica sulla peculiare disciplina della votazione e della approvazione del concordato in continuità - con particolare riferimento alle modalità di espressione del voto e alle maggioranze prescritte - come risultata dalle modifiche apportate dai diversi interventi correttivi al Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza.
Premessa

Gli interventi correttivi al Codice della Crisi, culminati nel D.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, che ha condotto alla sua versione definitiva, entrata in vigore lo scorso 15 luglio 2022, hanno apportato significative modifiche alla disciplina della votazione e della approvazione del concordato in continuità, che si differenzia in parte rispetto a quella prevista per i concordati liquidatori. Nella disciplina definitiva, si muove da una previsione generale che richiede l'unanimità di voto delle classi, per poi prevedere all'art. 112 una serie di situazioni nelle quali è comunque consentita l'omologa anche in caso di voto contrario. Queste ultime ipotesi concretizzano di fatto il passaggio dal criterio di priorità assoluta a quello di priorità relativa; l'intervento normativo tocca anche la disciplina nelle procedure di gruppo ed introduce norme specifiche per le procedure societarie che sembrano consentire il soddisfo anche dei soci dell'impresa in crisi.



Il quadro normativo

L'entrata in vigore del “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza” ha sancito, tra le tante modifiche alla disciplina concorsuale, anche un nuovo approccio ai meccanismi di adesione del ceto creditorio alle soluzioni alternative di definizione della crisi intervenendo, in particolare, sulle modalità di espressione del voto e sulle maggioranze prescritte per l'approvazione del concordato preventivo in continuità.

La disciplina della convocazione dei creditori al voto è dettata dal combinato disposto degli artt. 47, 104 e 107 CCII, cui si aggiunge all'art. 286 CCII una precisazione in tema di concordati di gruppo.

Per quel che concerne la previsione delle maggioranze prescritte ai fini dell'omologa, la norma generale è contenuta nell'art. 109 CCII che al quinto comma detta una disciplina specifica per il concordato in continuità, non solo imponendo il voto favorevole di tutte le classi, ma altresì la maggioranza “qualificata” dei due terzi qualora nelle singole classi non voti a favore almeno la maggioranza dei votanti, con l'ulteriore specificazione che chiama al voto anche tutti i creditori privilegiati non soddisfatti nei termini (centottanta giorni dall'omologazione che si riducono a trenta per il lavoratori) indicati dalla norma; la disposizione, peraltro, va letta unitamente all'art. 112 CCII, che riconosce al Tribunale la possibilità di omologare egualmente il concordato in presenza di una serie di condizioni, disciplina che quindi deroga, di fatto, al computo delle maggioranze.

Alle eccezioni alla regola che prescrive la maggioranza deve per certi versi anche ricondursi la previsione del cram downimposto dal comma 2-bis dell'art. 88 CCII per i debiti tributari e previdenziali, che comporta una vera e propria “inversione” del voto (o, se vogliamo, una sorta di “indifferenza” del voto negativo), atteso che alla luce dell'evoluzione normativa e giurisprudenziale pare ormai anacronistico negare che l'istituto consenta l'omologa non solo laddove sia omesso il voto, bensì anche in caso di voto espressamente contrario. Vero è che l'art. 88 principia con la previsione “Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità, dall'art. 112”, che potrebbe essere interpretata come limitazione del cram down fiscale ai soli concordati liquidatori, ma pare invece più coerente ritenere che, in tal modo, il legislatore abbia voluto proprio confermare che si fa luogo all'inversione del voto negativo anche nel concordato in continuità (il che, ad esempio, consentirà di ritenere approvato il concordato quando vi sia il voto negativo della sola classe in cui è iscritto il debito erariale falcidiato), salvo che per la sua approvazione valgono le restrizioni di cui all'art. 112 CCII (in tal senso: G. Andreani – A. Tubelli, Transazione fiscale nel codice della crisi, Milano, 2022, 147).

Sul computo delle maggioranze interviene anche l'art. 120-quater CCII inserito nel capo che disciplina gli strumenti di soluzione della crisi destinati alle società e che, in tale ambito, prevede anche la possibilità del voto dei soci, laddove è previsto che – ferma restando l'applicazione dell'art. 112 CCII – il concordato possa essere omologato in presenza di determinate condizioni correlate ai limiti entro i quali ai soci può essere destinata un'utilità tratta dalla ristrutturazione.

Infine, nella disciplina delle procedure di gruppo, le modalità di espressione del voto sono dettate all'art. 286 CCII, che prevede il voto contestuale, ma per masse separate.



Meccanismi di votazione e limitazioni di voto

Per quel che concerne le modalità con le quali viene espresso il voto, nei concordati scaturiti dalla riforma, anzitutto ed in generale, viene soppressa l'adunanza dei creditori: l'art. 47 c. 2 lett. c CCII prevede che il Tribunale fissi semplicemente la data iniziale e quella finale per l'espressione del voto, indicandone le modalità, che devono garantire il rispetto del contraddittorio e favorire la partecipazione: il riferimento alla possibilità di utilizzare strumenti messi a disposizione da terzi potrebbe far ipotizzare che si possa anche tenere una sorta d'adunanza virtuale, ma è arduo conciliare tale ipotesi con la precipua modalità di espressione del voto dettata dall'art. 107 CCII.

Alla convocazione dei creditori provvede il Commissario Giudiziale ai sensi dell'art. 104 CCII e la disciplina del voto - contenuta appunto nell'art. 107 CCII che all'ottavo comma prescrive espressamente il voto a mezzo posta elettronica - si incentra su una dinamica tipicamente processuale, peraltro caratterizzata da termini piuttosto stretti (non soggetti a sospensione feriale, come precisa il nono comma): l'invio da parte del Commissario delle proposte e dell'elenco dei creditori ammessi al voto è fissato a quindici giorni prima del termine iniziale del voto, laddove per le contestazioni del debitore, dei creditori e degli altri soggetti coinvolti nel concordato è fissato a dieci giorni prima dell'avvio del voto; posto che, poi, il Commissario deposita la propria relazione sette giorni prima della “data iniziale”, ci si chiede quale sia il termine espressamente concesso al debitore per replicare alle contestazioni, tanto più che a quest'ultimo è anche destinata la comunicazione dei provvedimenti del Giudice delegato prevista dal settimo comma.

Da segnalare altresì la previsione dettata per i concordati di gruppo, nei quali l'unicità della procedura si estende alla votazione, che l'art. 286 CCII prevede si svolga in forma “contestuale”, ma mantenendo la separazione delle masse, di modo che non sussiste, di contro, una specifica disciplina delle maggioranze: essendo previsto il voto separato per i creditori delle singole entità coinvolte nel concordato di gruppo (il che potrebbe comportare, anche se l'ipotesi non è prevista, deroghe alla contestualità ove si renda necessario un rinvio delle operazioni di voto nella singola impresa) e che questo venga omologato se approvato dai creditori delle singole imprese che hanno presentato il concordato, si dovrà semplicemente applicare alle masse distinte di creditori la regola contenuta nell'art. 109 CCII (con le opportunità consentite dai commi 2, 3 e 4 dell'art. 112 per i concordati in continuità, stante il richiamo espresso introdotto al comma 4-bis dell'art. 285).

Per quel che concerne, invece, l'individuazione dei creditori il cui voto concorre validamente a formare le maggioranze prescritte, il sesto comma dell'art. 109 CCII riprende le esclusioni dal voto “classiche” previste a carico del coniuge e dei parenti dell'imprenditore, cui si aggiungono le esclusioni per la società controllante e le controllate o soggette a comune controllo; quest'ultima previsione viene resa più severa dall'art. 286 in tema di concordato di gruppo, laddove sono tout court escluse dal voto le imprese del gruppo titolari di crediti nei confronti dell'impresa ammessa alla procedura”. L'art. 109 CCII introduce, infine, una situazione ostativa più generale – che si deve ritenere introduca, pervero, un criterio valutativo da applicare mediante un esame attuato in concreto, caso per caso - in forza della quale “sono inoltre esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto d'interessi”.

L'esclusione dal voto delle società del gruppo genera, tuttavia, una perplessità: come vedremo tra breve, una delle novità del Codice della Crisi è costituita dall'innovativa scelta del legislatore di “dare voce” alla posizione dei soci delle società in crisi (ai quali già nella versione originaria dell'art. 285 era attribuito il diritto di opporsi all'omologa nei concordati in relazione alla censura di operazioni intra-gruppo), sino addirittura a prevedere con l'ultimo correttivo situazioni in cui ai soci è consentito di perseguire un soddisfo economico dalla procedura, nonostante la falcidia subita dai creditori. A fronte di questa posizione decisamente meno defilata, quindi, lascia dubbiosi la previsione dell'art. 109 che vieta l'espressione del voto alle società che controllano la debitrice (e quindi ne sono socie), nonché alle società collegate tramite vincoli di controllo.

Forse, nell'ottica di consentire a tutti i soci di interloquire - ai fini di un apporto costruttivo e “di buona fede” (concetto pur ribadito con il recepimento anche del D.L. 118/2021) - su scelte che, a maggior ragione in funzione delle nuove previsioni, in qualche misura li riguardano, sarebbe stato più logico sfruttare l'ultima previsione estensiva, che esclude dal voto chiunque si trovi in effettiva situazione di conflitto di interessi, evitando di ribadire la “presunzione di conflitto” dalla quale trae origine l'esclusione tout court dal voto di quella particolare categoria di soci rappresentata dalle società in posizione apicale e più diffusamente delle società del medesimo gruppo legate da rapporti di controllo; in tal senso, considerata l'attribuzione di un ruolo partecipativo ai soci, che traspare ad esempio dall'art. 120-ter CCII che consente espressamente che costoro vadano a formare classi ed esprimano il voto, sarebbe stato forse auspicabile lasciare che l'ammissione al voto o meno delle società del gruppo venisse valutata in base alla situazione concreta che presenti il rischio del perseguimento di interessi in contrasto con quelli della massa dei creditori. Ciò a meno di proporre una interpretazione “ardita” dell'ultimo comma dell'art. 109 CCII, che si occupa, però, dell'esclusione dal voto dei creditori che abbiano presentato la proposta di concordato: nella interpretazione più lineare si dovrebbe ritenere che il comma sia interamente riferito a tale tipologia di votanti, escludendo dal voto anche le società che controllino l'impresa che presenta il concordato, salvo che tali soggetti vengano ricompresi in un'apposita classe separata; scindendo, invece, le due espressioni, si potrebbe ipotizzare che il legislatore abbia voluto in generale consentire il voto alle società “del gruppo”- siano cioè esse collegate ai creditori che presentano la proposta ovvero alla stessa società debitrice che propone il concordato -, purchè in tal caso quei creditori vadano a formare una classe distinta. Tuttavia, rilevato che - nonostante le innovazioni introdotte dai correttivi a favore dell'attribuzione di un ruolo ai soci - il testo del sesto e del settimo comma dell'art. 109 è rimasto invariato, parrebbe ribadito l'orientamento restrittivo sinora seguito con riguardo al fenomeno del controllo societario nelle norme e nell'interpretazione giurisprudenziale in tema di esclusione dal voto concordatario di quella categoria di soci costituita dalle società controllanti (e collegate).



Approvazione del concordato in continuità: regola generale

Nell'ambito della riforma della disciplina del voto, il D.lgs. 83/2022 è intervenuto anche e soprattutto sulle disposizioni che fissano le condizioni per l'approvazione del concordato in continuità, per il quale il legislatore ha adottato un meccanismo piuttosto complesso, muovendo da un primo sbarramento alquanto severo, contenuto nel quinto comma dell'art. 109 CCII, laddove si prevede che per l'approvazione di un concordato in continuità aziendale è necessario il voto favorevole di tutte le classi: è la prima volta che viene prescritta l'unanimità, seppure del voto per classi, perché possa essere omologato un concordato preventivo. La norma precisa altresì (anche se era intuitivo alla luce dell'equiparazione del silenzio a voto negativo) che nelle singole classi occorre voti a favore la maggioranza dei creditori inseriti in quella classe aventi diritto al voto.

L'unica concessione che emerge dalla nuova disciplina – evidentemente volta a scoraggiare il disinteresse dei creditori o forse a correggere gli effetti negativi della confermata necessità del “voto espresso” (che è stata preferita alla reintroduzione della possibilità di ricorrere a meccanismi di “silenzio-assenso” – confermato invece dall'art. 244 CCII nel concordato della liquidazione giudiziale –, salve le ipotesi di cram down coattivo di cui diremo) – è la previsione in forza della quale per l'approvazione della singola classe può essere sufficiente il voto dei due terzi degli effettivi votanti; tuttavia, è comunque previsto che, per la validità dell'approvazione, debba esprimere il proprio voto almeno la maggioranza dei creditori inseriti nella singola classe (in sostanza, occorre quantomeno l'assenso di un terzo dei creditori che formano la classe).

Nel contempo, l'art. 109 CCII risolve il problema dell'accesso al voto dei creditori privilegiati, di fatto imponendo un ulteriore vincolo indiretto all'approvazione: sono, infatti, esclusi dal voto solo quei creditori che vengano interamente soddisfatti in danaro (il che implica che qualsiasi forma di soddisfo diversa da quella monetaria imporrà l'inserimento dei privilegiati in una classe) entro centottanta giorni dall'omologa del concordato, fermo restando che deve essere mantenuta la garanzia sui beni gravati dalla prelazione, sino alla liquidazione dei medesimi. Il termine di soddisfo scende a soli trenta giorni per i crediti assistiti dal privilegio previsto dall'art. 2751-bis n. 1 c.c.: a conferma di un palese favor per tale categoria di creditori, i crediti dei lavoratori non soddisfatti entro un mese dall'omologa vengono considerati non soddisfatti per intero, votando per il valore equivalente al sacrificio.

Per l'effetto di questa disciplina, in definitiva, tutti i creditori muniti di diritto di prelazione che si considerano non integralmente soddisfatti votano, dunque, previo inserimento in una classe distinta, previsione che assume una peculiare rilevanza proprio se rapportata all'imposizione (quantomeno in prima battuta) dell'adesione di tutte le classi alla proposta concordataria quale condizione per l'omologa.



Segue: le possibilità alternative di omologa

A mitigare il rigore imposto dalla ora commentata previsione dell'art. 109 CCII, se non viene raggiunta l'unanimità delle classi, il concordato in continuità può essere egualmente omologato, ma occorre affidarsi al complesso giudizio disciplinato dal successivo art. 112 CCII, che fonda la possibilità di superare il dissenso (espresso o presunto) dei creditori, ma nel contempo limita, in ogni caso, l'automatismo ipotizzabile tra approvazione ed omologa.

Tale disposizione conferma, infatti, che nel concordato in continuità la proposta viene omologata “per direttissima” solo se ottiene il consenso di tutte le classi, ma – si noti, a completamento dell'art. 109 e, quindi, nonostante il raggiungimento di quella maggioranza unanime, che di per sé potrebbe non essere sufficiente – impone altresì che si verifichino altre due condizioni, ovvero che il Tribunale non ravvisi (ancora una volta) la manifesta inidoneità del piano a garantire il superamento dell'insolvenza (espressione pervero generica, posto che non è precipuamente riferita né alla prosecuzione dell'attività né al soddisfo dei creditori), nonché specificamente che la richiesta (eventuale) di nuovi finanziamenti sia strettamente coerente con il piano e non pregiudichi gli altri creditori (il legislatore aggiunge “ingiustamente”, senza chiarire se e quali ragioni - da ricollegare forse a altri vantaggi indiretti per il ceto creditorio; dubito invece che rilevi, ad esempio, l'interesse dei lavoratori - rendano equo il sacrificio).

Per contro, la disposizione consente, laddove una o più classi siano dissenzienti, di giungere comunque all'omologa, ma solo se vengano rispettate altre quattro condizioni, tre delle quali riguardano il contenuto della proposta ed una attinente all'espressione del consenso:

  • anzitutto, è necessario che il valore di liquidazione venga distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; la disposizione, letta a contrariis ribadisce, quindi, la possibilità di una libera distribuzione solo del “supero” rispetto al valore dell'attivo liquidato ed, in particolare, degli apporti esterni; tale condizione, evidentemente, è solo in apparenza di agevole interpretazione, laddove questa postula di individuare con esattezza cosa si intenda per valore di liquidazione: ad esempio, se si tratti di un “sinonimo” di valore ottenibile da una liquidazione giudiziale (comprensivo in ipotesi del presumibile esito di azioni revocatorie e di responsabilità: v. M. Binelli, L'omologazione del concordato in continuità non approvato, in sito DC, 2022) o se sia un valore legato alla mera valorizzazione del patrimonio concordatario, di modo che, ad esempio, non costituiranno di per sè valore eccedente la liquidazione i flussi di cassa derivanti dalla continuità, qualora - e nella misura in cui - la prosecuzione dell'attività “bruci” in parte il valore dei beni liquidabili in capo all'impresa in crisi, ma si potrebbe, per converso, considerare forse eccedenza il maggior valore che potrà ricavarsi dai beni grazie al loro utilizzo in continuità;
  • inoltre, anche l'attribuzione del valore che eccede quello di liquidazione non è del tutto libera, poiché la norma impone che esso sia distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore; viene così confermato il passaggio ad un criterio di “priorità relativa”, anche se l'espressione utilizzata non è, pervero, del tutto chiara: parrebbe che la valutazione prevista sia riferita ad un raffronto compiuto in forma aggregata sulla sorte di tutti i creditori inseriti in classi dissenzienti (sul punto, la Relazione Illustrativa nulla dice); peraltro, la disposizione fa salvo “quanto previsto dall'articolo 84, comma 7”, richiamo che conferma che il soddisfo dei crediti assistiti dal privilegio previsto dall'art. 2751 n. 1 c.c. deve in ogni caso avvenire anche sul realizzo eccedente il valore di liquidazione;
  • altra condizione è che nessun creditore riceva un soddisfo superiore all'importo del credito vantato, previsione tutto sommato apparentemente tautologica, che peraltro potrebbe essere dettata dalla volontà di prevenire mercati di voto (situazione che potrebbe valere, ad esempio, anche per l'offerta di pagare ad una classe chirografaria gli interessi maturati in corso di procedura, in teoria non dovuti, per ottenerne il consenso) e che potrebbe avere una applicazione peculiare quando taluni creditori possano giovarsi di garanzie prestate da terzi;
  • in ogni caso, la proposta concordataria dovrà essere approvata dalla maggioranza delle classi; non solo, ma tale consenso maggioritario sarà decisivo solo se almeno una classe sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione (evidentemente non soddisfatti integralmente, chè altrimenti non voterebbero); in alternativa, la proposta potrà essere omologata solo se approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero stati almeno in parte soddisfatti se anche il valore eccedente quello di liquidazione fosse distribuito rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione.

Proprio l'ultima previsione ora riportata comporta un esame più complicato: tutto sommato si sarebbe potuto ritenere comprensibile che – in presenza delle sopra indicate prime tre condizioni sostanziali – potesse ritenersi sufficiente l'approvazione della maggioranza delle classi per omologare il concordato.

Viceversa, il legislatore ha ritenuto di porre ancora altri “paletti” all'omologa: in forza della lett. d) del secondo comma dell'art. 112 CCII, infatti, non basterebbe, ad esempio, l'approvazione di due classi di chirografi, se ve ne fosse una terza dissenziente formata da privilegiati degradati in tutto o in parte, ma occorre che almeno una delle classi favorevoli sia appunto formata da creditori privilegiati (non soddisfatti per l'intero in danaro ma anche, si noti, semplicemente non pagati nei limiti temporali di legge in relazione al disposto dal quinto comma dell'art. 109) ed in mancanza occorrerà comunque almeno il voto favorevole di una classe di creditori che sarebbero soddisfatti almeno in parte se anche il valore eccedente quello di liquidazione venisse anch'esso distribuito nel rispetto delle cause di prelazione.

Sul punto, peraltro, la frase finale è quella meno chiara, laddove è previsto che l'ulteriore condizione operi in mancanza, senza che la norma precisi se ciò significhi che debbano non essere presenti classi di creditori privilegiati o se l'omologa può avvenire anche se nessuna classe di privilegiati, in ipotesi esistente, ha votato a favore; la norma prevede solo che, verificandosi il mancato consenso di almeno una classe privilegiata, il concordato può essere omologato se voti a favore una classe formata da creditori che verrebbero soddisfatti (almeno in parte) qualora l'intero attivo – comprensivo delle risorse esterne o comunque di quanto eccede il “valore di liquidazione” – venisse distribuito secondo le regole della graduazione; si intuisce per esclusione che si dovrebbe, quindi, trattare di una classe di creditori non assistiti da prelazione e – anche se non è specificato – si deve ritenere che il soddisfo almeno parziale sia riferito alla distribuzione del valore eccedente quello di liquidazione (chè non si concepirebbe una classe altrimenti totalmente priva di soddisfo, a meno di ipotizzare che siano chiamati al voto creditori postergati), ma non è chiaro se siano appunto ricomprese nel concetto anche eventuali classi postergate (che peraltro difficilmente poi potrebbero essere comunque soddisfatte anche utilizzando il “supero”), di modo che non è del tutto chiaro neppure in quali situazioni in effetti il giudizio comparativo valga a “sanare” una distribuzione penalizzante delle risorse attive.

Alla luce di un esame complessivo della complessa disciplina che emerge dal combinato disposto degli artt. 109 e 112 CCII, quindi, sembra che l'intento del legislatore sia stato quello di premiare le proposte concordatarie che, pur favorendo talune classi mediante l'uso della porzione attiva che eccede il valore di liquidazione, abbiano comunque trovato consenso in seno proprio a quei creditori meno fortunati (o che, forse, ipotizzano di trarre dalla prosecuzione dell'attività un vantaggio indiretto consistente nella “prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”, come oggi espressamente contemplato nell'art. 84). In altre parole, al di là delle aperture di principio, sembra che il passaggio ad un sistema fondato sulla “priorità relativa” non sia in fondo troppo gradito al legislatore, ma che tale deroga alla graduazione venga accettata solo se avallata dal voto favorevole di almeno una classe di creditori ai quali tale deroga ai principi di graduazione “assoluta” potrebbe recare pregiudizio.

La valutazione circa l'omologabilità del concordato muta e si “ammorbidisce”, viceversa, se il Tribunale sia chiamato a decidere sull'opposizione di un singolo creditore: in questo caso, il criterio discretivo dettato dal terzo comma dell'art. 112 CCII resta quello “classico” del raffronto con l'esito che l'opponente – e ci pare che la dizione scelta (“il credito”) deponga per una valutazione riferita alla posizione atomistica – trarrebbe da una liquidazione giudiziale.



La norma sulle maggioranze nelle procedure societarie

Sulla regolamentazione dei concordati, ed in particolare di quelli in continuità, è destinata ad influire anche la nuova disciplina specifica degli “strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza” (questa la nuova dizione scelta dal correttivo) riferiti alle società dettata agli artt. da 120-bis a 120 quinquies del Codice della Crisi dal D.lgs. 83/2022.

Si tratta di norme che si caratterizzano per l'innovativa concessione di diritti di interferenza sulle procedure a favore dei soci: la decisione sull'ingresso in procedura spetta, infatti, agli amministratori, ma questi devono informare i soci i quali possono (con minoranza qualificata del 10%) formulare una proposta concorrente e, ai sensi dell'art. 120-ter CCII, possono altresì andare a formare una classe (o addirittura più classi, facoltà peraltro limitata all'ipotesi in cui vi siano diverse categorie di soci).

Ma, al di là dei diritti partecipativi formali, la rilevante novità è costituita dalla previsione dell'art. 120-ter CCII, che ammette a voto i soci (tra l'altro, prevedendo per costoro, in via eccezionale, che il silenzio equivalga a voto favorevole) e dell'art. 120-quater CCII: in questo caso, la presenza e l'interesse dei soci nella procedura influisce anche sull'omologa, laddove quella disposizione di fatto consente e detta una precipua disciplina per l'ipotesi di destinazione di un soddisfo ai soci anteriori. Con la doverosa precisazione che, nell'interpretazione prevalente, per utilità riservata ai soci si deve intendere unicamente quella costituita dai risultati positivi della ristrutturazione – e quindi in termini di ottenimento, all'esito del concordato, di un valore partecipativo residuo - e non la concessione di diritti su una parte dell'attivo concordatario destinato ai creditori. Tant'è che la norma chiarisce poi che per valore riservato ai soci si intende il valore effettivo che acquisiranno le partecipazioni - o eventuali strumenti che consentano a costoro di acquisirne - all'esito dell'omologazione, dedotto peraltro (opportunamente, poiché in tal caso si tratterebbe in sostanza di una sorta di restituzione di apporti di nuova finanza) quanto i soci abbiano apportato ai fini della ristrutturazione sotto forma di conferimenti o di versamenti a fondo perduto (ovvero, per le sole imprese minori, in qualsiasi forma).

Si deve ritenere che il legislatore abbia voluto qui riferirsi all'avvio di una procedura in continuità “purissima” che comporta non solo l'ingresso di nuovi soci ma anche, si intuisce, la conservazione della struttura aziendale precedente con l'intervento della compagine societaria già presente al momento dell'avvio della procedura; in tal senso, la nuova norma in tema di omologa di procedure societarie è chiarissima nell'ipotizzare che l'esito favorevole della ristrutturazione possa giovare anche ai soci anteriori, il che sovverte la visione classica che vede i diritti di costoro sacrificati in linea di massima al soddisfo dei creditori, ma pone dei limiti che hanno indotto taluno (F. Platania, La nuova disciplina dei vantaggi attribuiti ai soci nel concordato preventivo, in www.ilFallimentarista.it, 2022) ad ipotizzare – ad evitare che venga meno il presupposto per l'omologa in mancanza dei requisiti dettati dall'art. 120-quater CCII - il rimedio alternativo della assegnazione ai creditori (ad esempio con la creazione di un trust) anche del valore partecipativo.

Vero è che la disposizione precisa da subito la primazia della “diga” costituita dalla prevalenza del disposto dell'art. 112 CCII, che si applica in ogni caso, ma nel prosieguo del primo comma viene previsto un complesso meccanismo volto a verificare se sia suscettibile di omologa un piano che preveda appunto il soddisfo dei soci. Anzitutto, il riferimento alle “classi dissenzienti” conferma che in caso di votazione favorevole delle classi, il sacrificio di quei creditori a favore di un soddisfo dei soci sarebbe ammesso; viceversa, nel caso di dissenso, occorre verificare – con una sorta di “riunione fittizia”, per citare l'istituto successorio - se destinando ai creditori il valore che si vorrebbe riconoscere ai soci, i soggetti contrari (rectius gli appartenenti a ciascuna delle classi dissenzienti) ricevano un trattamento almeno paritario rispetto alle classi con il medesimo rango e migliore rispetto alle classi di rango inferiore.

Evidentemente, a mio parere, si tratta di una valutazione complessa e per certi versi non comune: il primo criterio discretivo è costituito da un mero rapporto con il trattamento di categorie di creditori paritetiche o inferiori; si attua, quindi, una “prova di resistenza” riferita alle sole classi dissenzienti, fondata sul computo di quanto spetterebbe a costoro se il soddisfo riconosciuto ai soci venisse “ridistribuito”: con un'applicazione estesa della regola di priorità relativa, in quel caso il concordato verrà omologato se comunque la classe dissenziente riceva un trattamento pari a quello riservato alle classi di pari grado e migliore di quelle inferiori (il che avviene, ad esempio, se la proposta favorevole ai soci penalizzi classi paritarie a quella dissenziente, che tuttavia votino ugualmente a favore); tale approccio, a ben vedere, valorizza il consenso delle classi che votano a favore, alle quali è di fatto consentito anche di vincolare i dissenzienti quando – anche facendo rientrare nel patrimonio destinato ai creditori ciò che viene destinato ai soci – le classi contrarie vengano “trattate” alla stregua di quelle favorevoli loro pari e se i dissenzienti ricevano un trattamento migliore rispetto a classi meno privilegiate.

Il legislatore si premura anche di disciplinare il caso in cui non vi siano classi di rango pari o inferiore a quelle dissenzienti (ipotesi pervero poco probabile nella pratica, che si verificherà forse solo in caso di dissenso di una classe chirografaria “superato” dal voto favorevole delle altre classi, tutte assistite da privilegi prevalenti): in tal caso, il concordato potrà comunque essere omologato a condizione che il valore destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente risulti superiore a quello complessivamente riservato ai soci. A ben vedere, si tratta della previsione meno comprensibile, poiché compara semplicemente il soddisfo dei creditori con il trattamento riservato ai soci (che costituisce in fondo un'eccezione): pur comprendendo che la disposizione intende favorire l'intervento dei vecchi soci a supportare il concordato che consenta il salvataggio dell'impresa in crisi (già peraltro tutelato dalla “detrazione” degli apporti dal computo del valore loro riservato), forse in questo caso il parametro del raffronto con l'esito di una liquidazione giudiziale non sarebbe stato deleterio.

Il criterio comparativo con il soddisfo derivante da una eventuale liquidazione giudiziale viene adottato, viceversa, dal legislatore solo in relazione alla facoltà concessa ai soci – e si tratta di un'ulteriore facoltà di interferenza consentita ora a tale categoria di stakeholders – di proporre opposizione all'omologa: in tal caso, potrà essere fatto valere esclusivamente il pregiudizio subito dai soci rispetto all'alternativa liquidatoria.

Come se non fosse già sufficientemente complessa l'interpretazione in merito ai limiti ed alle modalità concrete di applicazione dell'art. 120-quater CCII, il Secondo Correttivo ha anche introdotto un ultimo comma in forza del quale “Le disposizioni di questo articolo si applicano, in quanto compatibili, all'omologazione del concordato in continuità aziendale presentato dagli imprenditori individuali o collettivi diversi dalle società e dai professionisti”, con una valenza estensiva che non risulta del tutto chiara, poiché ci pare evidente che disposizioni come quella in esame difficilmente potrebbero essere applicabili al di fuori della crisi di soggetti che svolgano l'attività in forma collettiva o almeno aggregata: si può, in tal senso, ipotizzare che la norma possa senz'altro trovare applicazione con riguardo ai consorzi ed alle associazioni non riconosciute (anche alla luce della conferma giurisprudenziale sulla loro assoggettabilità a procedure concorsuali: v. ad esempio App. Venezia, 15 aprile 2020, in DC, 2022), ma non è chiaro se e quali disposizioni possano trovare invece un'applicazione estensiva in procedure individuali.



L'approvazione del concordato nelle procedure di gruppo

A fronte della precisione con la quale il legislatore ha previsto le modalità di omologazione nelle norme sinora esaminate, meno attenzione è stata dedicata ad una delle innovazioni a mio avviso più rilevanti del Codice della crisi, ovvero alle procedure di gruppo.

L'unica disposizione introdotta dal secondo correttivo è quella volta a statuire che la diversa disciplina delle maggioranze dettata dall'art. 112 CCII influisce anche sulla approvazione dei concordati di gruppo, posto che all'art. 285 CCII si aggiunge un comma che si limita a prevedere che “Nell'ipotesi di cui al comma 1, secondo periodo, il tribunale omologa il concordato secondo quanto previsto dall'articolo 112, commi 2, 3 e 4”. Con la precisazione che, in forza della previsione del primo comma dell'art. 285 CCII, si applica all'intera procedura di gruppo la disciplina del concordato in continuità quando risulta che il soddisfo tratto dai flussi complessivi derivanti dalla continuità diretta o indiretta prevale su quello tratto dai flussi complessivi derivanti dalla liquidazione.

Anche se ciò non è previsto espressamente dal comma 4-bis, combinando le due disposizioni, parrebbe doversi inferire che, per il principio di prevalenza di cui al primo comma dell'art. 285, anche alle procedure delle imprese per le quali è prevista la liquidazione debba applicarsi in toto la disciplina dei concordati in continuità e quindi le disposizioni più rigide degli artt. 109 e 112 CCII ai fini del computo delle maggioranze.

La disposizione dell'art. 285 CCII, inoltre, nel richiamare gli alinea dell'art. 112 CCII riferiti ai concordati in continuità, omette di aggiungere ulteriori precisazioni a chiarire se e come quella disciplina debba adattarsi alle peculiarità delle procedure di gruppo e senza affrontare una questione non irrilevante, costituita dalle modalità di distribuzione (in ipotesi in deroga alla regola della separazione delle masse attive) all'interno del concordato di gruppo delle risorse eccedenti il valore di liquidazione (sul punto, v. D. Galletti, La gestione della crisi attraverso la direzione e coordinamento: appunti sulle compensazioni “concordatarie” infragruppo per la ricostruzione del sistema, in DF, 2022, I, 639).

In ogni caso, il mero richiamo alla disciplina appare alquanto oscuro, posto che il legislatore non ha ritenuto, in particolare, di chiarire espressamente se la valutazione che consente comunque l'omologa del concordato debba essere esclusivamente riferita alla singola impresa in procedura o se possano essere anche in questo caso effettuate valutazioni “cumulative” quantomeno in virtù di vantaggi compensativi (la cui rilevanza è stata ribadita proprio dal secondo correttivo, per le operazioni intra-gruppo previste dall'art. 285 CCII).

In assenza di una disposizione derogativa espressa, parrebbe logico teorizzare la prevalenza del criterio, tuttora riaffermato dall'art. 284 CCII, della separazione delle masse attive e passive, che induce a concludere che la valutazione in merito alla possibilità di superare il dissenso di una o più classi debba avvenire considerando atomisticamente i valori riferiti alla singola impresa coinvolta nelle procedure di gruppo.



In conclusione

Come ho già avuto modo di osservare, la scelta di un particolare rigore ai fini dell'approvazione del concordato in continuità potrebbe apparire legittima se si consideri – con preoccupazione che emerge dalla Riforma (e che giustifica, ad esempio, la “contrazione” della prededuzione per i compensi professionali ed il ritorno giurisprudenziale all'imposizione di un vincolo di funzionalità sancito da Cass., Sez. Unite, 31 dicembre 2021, n. 42093, in Ilcaso.it, 2022) - che la prosecuzione dell'attività posta a tutela della posizione di stakeholders diversi dai creditori non dovrebbe comportare un pregiudizio proprio per questi ultimi soggetti - che tuttora il legislatore ritiene che ogni procedura dovrebbe comunque primariamente tutelare -, costretti a fare spesso i conti con l'incremento della prededuzione e penalizzati dall'esito spesso “in perdita” dei periodi di continuità diretta.

Per contro, la scelta di consentire di superare il dissenso di parte dei creditori pare coerente con l'esigenza di evitare che gli effetti favorevoli della continuità aziendale possano essere vanificati da prese di posizione preconcette di talune categorie di creditori che, in modo miope, non intravedano la vantaggiosità della soluzione proposta (il cram down erariale – a mente anche delle considerazioni della Corte UE - si fonda di fatto su tale considerazione).

Non si possono non esprimere comunque perplessità sulla complessità delle valutazioni imposte, ma anche consentite, al Tribunale per giungere all'omologa nonostante il dissenso: per un verso, infatti, il meccanismo di “priorità relativa” finisce per penalizzare il voto anche di classi di creditori - i quali, in realtà, potrebbero perseguire semplicemente la possibilità di un miglior risultato auspicato dall'esito alternativo di una procedura di liquidazione giudiziale - che in sostanza “subiscono” gli effetti del consenso di quegli altri creditori i quali, pur se penalizzati al pari o più di loro, hanno comunque scelto di confidare nella soluzione concordataria; d'altro canto, si viene così a creare il presupposto per l'attribuzione di notevoli poteri discrezionali in capo agli organi giudiziari, con il rischio di creare situazioni di disparità di applicazione concreta della nuova normativa, a seconda del foro presso il quale verranno avviate le procedure e, quindi, generando un margine di incertezza per le imprese che vogliano accedere alla soluzione concordataria in continuità, che già di per sé presenta oggettive difficoltà in funzione dei più rigidi presupposti formali e sostanziali dettati dall'art. 84 CCII.



Guida all'approfondimento

Per i richiami con riguardo alla nuova disciplina del concordato in continuità mi permetto di rinviare a P. Bosticco, Le modifiche al concordato in continuità nel nuovo Codice della crisi alla luce del “decreto correttivo bis”, in www.ilFallimentarista.it, 2022).

Sui meccanismi di votazione riformati, v. F. Lamanna, Il Codice della crisi e dell'insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022; G. Bozza, Il sistema delle votazioni nei concordati tra presente e futuro, in DC, 2022; S. Della Rocca – F. Grieco Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Padova, 2022, 234 ss.; G.B. Nardecchia, Il voto nel concordato preventivo, in DC, 2022; E. Ricciardiello, I lineamenti del nuovo concordato preventivo, in DF, 2022, I, 1156; R. Ricciardiello, Il nuovo concordato preventivo “in pillole”, in Ilcaso.it, 2022.

Sull'inversione del voto negativo per i crediti erariali si veda la giurisprudenza formatasi in applicazione del “nuovo” testo dell'art. 180 l.fall.; cfr. da ultimo, Trib. Pistoia, 16 marzo 2022, in Fallim., 2022, 854; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 11 gennaio 2022, in Fallim., 2022, 579; Trib. Como, 1° dicembre 2021, in DC, 2022; App. Catania, 18 luglio 2022, in unijuris.it (con riguardo all'accordo di ristrutturazione); in dottrina, v. G. Andreani – A. Tubelli, Transazione fiscale nel codice della crisi, Milano, 2022, 127 ss., G. D'Attorre, La ristrutturazione “coattiva” dei debiti fiscali e contributivi negli adr e nel concordato preventivo, in Fallim., 2021, 153 ss.; G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati liquidatori e in continuità aziendale, in DC, 2022; L. Fuzio, I crediti tributari nelle procedure di composizione della crisi, nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, ivi, 2022; F. Lamanna, Il cram-down fiscale-contributivo e gli accordi di ristrutturazione “ad efficacia estesa”, in www.ilFallimentarista, 26 gennaio 2023.

Sulla regola generale per l'approvazione del concordato in continuità e sulla necessaria ammissione al voto dei creditori privilegiati: F. Lamanna, Il Codice della crisi e dell'insolvenza dopo il secondo correttivo, cit.; F. Lamanna, Legittimazione al voto dei creditori interessati nel concordato preventivo e modalità di pagamento dei creditori privilegiati, in www.ilFallimentarista, 3 gennaio 2023; G. Bozza, Le maggioranze, cit., S. Sanzo (a cura di), Il codice della crisi dopo il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, Bologna, 2022, 354; F. Aliprandi – E. Monzeglio – A. Turchi, Voto e maggioranze nel nuovo concordato in continuità: una prima lettura con diversi punti interrogativi, in Ilcaso.it, 2022.

Con riferimento specifico alla disciplina del nuovo art. 112 del Codice della Crisi, così come poi è scaturita dal secondo correttivo, v. F. Lamanna, Il Codice della crisi e dell'insolvenza dopo il secondo correttivo, cit.; A. Auricchio, G. Covino, L. Jeantet, P. Vallino, Absolute e relative priority rule a confronto nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in www.ilFallimentarista.it ; G. Acciaro - G. Turchi, Le regole di distribuzione del patrimonio tra passato e futuro, in Ilcaso.it, 2022; M. Binelli, L'omologazione del concordato in continuità non approvato, cit.; P. Bosticco, “Nuovo” concordato in continuità nel Codice della crisi: i meccanismi di votazione e le maggioranze per l'omologa, in www.ilFallimentarista.it, 2022; G. Fichera, Il giudizio di omologazione nei concordati, cit.;A. Sica – L. Rossi, I nuovi criteri di approvazione delle procedure di concordato preventivo introdotti dal CCI, in www.ilFallimentarista.it, 2022; V. Zanichelli, Commento a prima lettura del decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 82 pubblicato in G.U. il 1 luglio 2022, in DC, 2022.

Sul nuovo ruolo attribuito ai soci dal correttivo e sulla disciplina del fenomeno di gruppo: P. Bosticco, I gruppi di società nel Codice della crisi di impresa, Milano, 2022, 233 ss.; M. Callegari, Frammenti di disciplina dei gruppi nel codice della crisi alla luce del decreto correttivo e dello schema di decreto insolvency, in Ilcaso.it, 2022; M. Fabiani, L'avvio del codice della crisi, in DC, 2022; D. Galletti, Regole di priorità e distribuzione del plusvalore concordatario: due passi indietro ed un'occasione importante perduta, in www.ilFallimentarista.it , 2022; F. Lamanna, Priorità assoluta e relativa nel concordato preventivo secondo il Codice della crisi, in www.ilFallimentarista, 6 febbraio 2023; B. Maffei Alberti, La nuova disciplina dei gruppi di imprese, in o Ilcaso.it, 2022; G.P. Macagno, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore di continuità, in DC, 2022; M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, ivi, 2022; F. Platania, La nuova disciplina dei vantaggi attribuiti ai soci, cit.; E. Ricciardiello, I lineamenti del nuovo concordato preventivo, in DF, 2022, I, 1127 ss.; G. Sansone, Soci, amministratori e creditori nella ristrutturazione “negoziata” dell'impresa societaria in crisi, in www.ilFallimentarista.it, 31 ottobre 2022; M. Spadaro, Il concordato delle società, in DC, 2022.



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