Patologie psichiche da stress, mobbing e costrittività organizzativa sul lavoro: per la Cassazione sono malattie professionali
09 Marzo 2023
Massima
Nell'ambito del sistema assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica. Il caso
1- La Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, negava la tutela sociale al lavoratore che aveva denunciato all'Inail la patologia nevrosi d'ansia derivata da un demansionamento subito, poiché in base all' art. 3, d.P.R. n. 1124/1965
2 - La Corte di Appello, come anche il Tribunale, respingeva la domanda di un lavoratore tesa ad ottenere l'indennizzabilità della malattia professionale “disturbo dell'adattamento con umore depresso ed ansia compatibili con situazione lavorativa anamnesticamente avversativa” poiché il danno psichico per situazioni di costrittività organizzativa non è indennizzabile dall'Inail dopo l'annullamento da parte del Consiglio di Stato della circolare INAIL n. 71 del 17 dicembre 2003 e d.m. n. 134/2004. Con ricorso per cassazione il lavoratore ha chiesto l'annullamento della sentenza in quanto la Corte di Appello avrebbe ingiustamente negato l'indennizzabilità della malattia professionale non tabellata di natura psichica dipendente dal cosiddetto stress lavorativo, riconosciuta anche in base al D.M. gennaio 2008 non annullato dalla sentenza n. 1576/2009 del Consiglio di Stato.
3 - La Corte di Appello, come anche il Tribunale, respingeva la domanda di un lavoratore tesa ad ottenere l'indennizzabilità della malattia professionale “disturbo post traumatico da stress cronico con depressione e ansia miste a causa del mobbing praticato dal datore di lavoro, poiché “in base al D.P.R. n. 1124 del 1965 art. 3, la copertura assicurativa opera solo per le tecnopatie conseguenti alle lavorazioni indicate nell'art. 1 e non per quelle dipese da modalità organizzative del rapporto di lavoro”. Con ricorso per cassazione il lavoratore ha chiesto l'annullamento della sentenza della Corte di Appello che ha subordinato la tutela alla presenza del nesso di causalità tra la malattia e una specifica lavorazione, nonostante sia oramai ammesso l'indennizzo anche per malattie non tabellate, per le quali sia dimostrata la loro origine professionale. La soluzione giuridica
La Suprema Corte, all'esito della trattazione di tre distinti ricorsi per cassazione, avvenuta nella medesima udienza dell'8 giugno 2022, pubblica tre ordinanze con cui annulla le sentenze di merito che si erano espresse negativamente riguardo la tutela sociale delle patologie derivate da costrittività organizzativa, richiamando in particolare il contenuto di due sentenze di legittimità (pubblicate successivamente a quelle di merito poi annullate), con cui era stato affermato che la malattia professionale è indennizzabile anche quando non sia contratta in seguito a specifiche lavorazioni, ma derivi dall'organizzazione del lavoro e dalle sue modalità di esplicazione ( Cass. n. 5066/2018 Cass. n. 8948/2020
Secondo Cassazione n. 29515/2022, infatti, ciò che conta è che la malattia derivi dal fatto oggettivo dell'esecuzione della prestazione in un determinato ambiente di lavoro, seppur non sia specifica conseguenza dalla prestazione lavorativa.
Cass. n. 29611/2022 osserva, inoltre, che la tutela assicurativa interviene non soltanto in presenza di un rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche quando l'infortunio sia derivato dall'esposizione ad un rischio specifico improprio, non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione, ma collegato con la prestazione stessa, come quello derivato da attività prodromiche, da attività di prevenzione, da atti di locomozione interna, da pause fisiologiche o da attività sindacali (Cass. n. 13882/16; Cass. n. 7313/2016; Cass. n. 27829/2009; Cass. n. 10317/2006; Cass. n. 16417/2005; Cass. n. 7633/2004; Cass. n. 3765/2004; Cass. n. 131/1990; Cass. n. 12652/1998; Cass. n. 10298/2000; Cass. n. 3363/2001; Cass. n. 9556/2001; Cass. n. 1944/2002; Cass. n. 6894/2002; Cass. n. 5841/2002; Cass. n. 5354/2002).
Sono indennizzabili, chiarisce ancora Cassazione n. 29611/2022, tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l'art. 28, comma 1 del tu. 81/2008).
La conclusione a cui pervengono le tre ordinanze è in sostanza che ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all'INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata.
Si tratta, precisa Cassazione n. 29611/2022, di una soluzione coerente al fondamento della tutela assicurativa, “il quale ai sensi dell'art. 38 Cost., deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell'art. 38 non ha per oggetto l'eventualità che l'infortunio si verifichi, ma l'infortunio in sé”, posto che “oggetto della tutela dell'art. 38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela" (Corte cost. 2 marzo 1991, n. 100). Osservazioni
Si può considerare consolidato l'orientamento giurisprudenziale di legittimità che ammette alla tutela sociale contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali le patologie determinate dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro, che si aggiungono a quelle derivate dai tradizionali rischi chimici, fisici e biologici, che l'INAIL tutela da tempo.
Nel 1986 l'Organizzazione Internazionale del Lavoro ha definito i rischi psicosociali, come quei rischi che generano “una interazione tra contenuto del lavoro, gestione, organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e organizzative e tra competenze ed esigenze dei lavoratori dipendenti”.
Si tratta, allora, di patologie che scaturiscono dall'organizzazione aziendale delle attività lavorative, come, ad esempio, da stress lavoro correlato, da mobbing o da costrittività organizzativa.Secondo una definizione fornita dal National Institute for Occupational Safety and Health “lo stress dovuto al lavoro può essere definito come un insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifesta quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse o esigenze del lavoratore. Lo stress connesso al lavoro può influire negativamente sulle condizioni di salute e provocare persino infortuni” (NIOSH, Stress at work, 1999). Nell'Accordo quadro sul valore dello stress lavorativo e sulle politiche da adottare per prevenirlo, sottoscritto nel 2004 dalle quattro maggiori organizzazioni europee rappresentative delle parti sociali (ETUC, UNICE, UEAPME e il CEEP), lo stress è definito come “una condizione, accompagnata da sofferenze o disfunzioni fisiche, psichiche, psicologiche o sociali, che scaturisce dalla sensazione individuale di non essere in grado di rispondere alle richieste o di non essere all'altezza delle aspettative” (art. 3 dell'Accordo).
Per mobbing, in assenza di una definizione normativa, si intende normalmente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica.
Ai fini della sua configurabilità devono ricorrere: “a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psicofisica e/o nella propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi” (Cass. 11 dicembre 2019, n. 32381).
Per quanto riguarda la costrittività organizzativa, l'INAIL ne ha elencato, in termini esemplificativi, alcune ipotesi, come la marginalizzazione dalla attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata, la mancata assegnazione degli strumenti di lavoro, i ripetuti trasferimenti ingiustificati, la prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto, la prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici, l'impedimento sistematico e strutturale all'accesso a notizie, l'inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l'ordinaria attività di lavoro, l'esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale, l'esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo (circolare 17 dicembre 2003, n. 71).
L'Autorità giudiziaria amministrativa, come si è ricordato nella descrizione del caso, ha annullato sia la circolare summenzionata sia il decreto ministeriale 27 aprile 2004, contenente l'elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi dell'art. 139, DPR n. 1124/65; ciò non ha impedito all'Istituto di continuare ad indennizzare le tecnopatie derivate dalle disfunzioni dell'organizzazione del lavoro riportate dal lavoratore assicurato, attualmente inserite negli elenchi di cui al D.M. 10 giugno 2014 (GU 12 settembre 2014, n. 212), trattandosi di malattie professionali non tabellate, il cui accesso alla tutela è subordinato alla dimostrazione, in termini di ragionevole certezza o di rilevante grado di probabilità (Cass. 10 aprile 2018, n. 8773), della loro connessione causale con lo stress lavoro-correlato.
La Corte di Cassazione, pertanto, non poteva che annullare le sentenze delle Corti territoriali, proprio perché fondate sul principio del rischio professionale, inteso come rischio proprio dell'impresa, oramai superato dal fondamento costituzionale della tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, entrambi assunti dall'art. 38 Cost. come eventi generatori di un bisogno socialmente rilevante, tutelabili per il semplice fatto che siano stati causati dal lavoro in sé e per sé considerato.
Dunque tutte le malattie professionali, anche quelle non contenute nelle tabelle di cui agli artt. 3 e 211, d.P.R. n. 1124/65, come quelle derivate dallo stress, dal mobbing o da episodi di costrittività organizzativa, sono indennizzabili se il lavoratore ne dimostri l'origine professionale (art. 10, comma 4, D.lgs. n. 38/2000). |