Se la sofferenza soggettiva degenera in patologia è risarcibile a titolo di danno biologico

09 Marzo 2023

Non è possibile la liquidazione del generico danno morale se la sofferenza viene già risarcita sotto forma di danno biologico.

In questo senso si è espressa la Terza Sezione della Cassazione Civile, nella sentenza n. 6443 depositata il 3 marzo 2023.

Il caso. Nel giudizio di primo grado il ctu aveva riconosciuto a favore di una danneggiata in un sinistro stradale un danno biologico consistente nella compromissione funzionale della caviglia, stimato in una percentuale del 3-4%, e un ulteriore pregiudizio psicologico da stress emotivo, anch'esso pari a 3-4 punti percentuali, concludendo, concludendo per una invalidità a titolo di danno biologico permanente nella misura del 7%. Il giudice di primo grado aveva liquidato il danno biologico nella misura del 7%, e oltre a ciò aveva liquidato anche il danno morale. Nel successivo giudizio di secondo grado da un lato era stato ricondotto il danno morale sofferto dalla danneggiata alla sofferenza (diventata patologia accertata) da stress emotivo, e dall'altro il danno biologico era stato valutato complessivamente in 4 punti percentuali. Tutto ciò nonostante il fatto che l'appello riguardasse la sola liquidazione del danno morale, senza cioè che l'appellante avesse fatto cenno alcuno alla liquidazione, del danno biologico, né alla sua misura. Si è quindi giunti in Cassazione, lamentando sia il vizio di ultrapetizione che la mancata liquidazione del danno morale ad opera del giudice d'appello.

Il giudice d'appello ha sbagliato a ridurre il danno biologico che non era contestato (ma ha ragione sul danno morale). La Terza Sezione ha anzitutto ritenuto fondato il motivo inerente il vizio di ultrapetizione in cui è incorso il giudice di secondo grado, rimodulando “d'ufficio” il danno biologico dal 7% al 4%. Ma la parte più interessante della pronuncia è quella relativa ai due motivi, dichiarati ambedue infondati, relativi al danno morale. Nel caso de quo, il ctu aveva riscontrato, quali conseguenze dell'evento di danno:

  1. una limitazione nella funzionalità della caviglia, valutata quale danno biologico nella misura del 3-4%;
  2. una lesione psichica, correlata al decesso nel medesimo sinistro di una cara amica della danneggiata, da cui era derivata una (modesta) quota di ansia che era stata valutata in ulteriori 3-4 punti percentuali.

Complessivamente, dunque, il ctu aveva stimato l'invalidità a titolo di danno biologico riportata dalla danneggiata nella misura del 7%. Se è stata pacificamente errata, secondo la Cassazione, la riduzione operata dal giudice di secondo grado del danno biologico in violazione del giudicato implicito formatosi sull'entità dello stesso, non altrettanto può dirsi della riconduzione al danno biologico del danno morale, dato che quest'ultimo era sfociato in patologia valutata dal ctu. Infatti, nel momento in cui la sofferenza soggettiva degeneri fino ad assumere una configurazione medicalmente accertabile alla stregua di una vera e propria lesione della propria integrità psicologica, non si deve più parlare di danno morale, bensì di vero e proprio danno biologico. Il danneggiato certamente può dimostrare l'eventuale compresenza di conseguenze dannose concretamente rilevabili sui diversi piani del danno morale e del danno biologico, ma è suo onere fornire la prova rigorosa sia della specifica diversità di tali conseguenze (al fine di evitare duplicazioni risarcitorie) che dell'effettiva compresenza di compromissione emotivo-affettiva e degenerazione patologica.

Dal punto di vista probatorio, ha concluso la Terza Sezione, «al riconoscimento di danni biologici di lieve entità corrisponderà un maggior rigore nell'allegazione e nella prova delle conseguenze dannose concretamente rivendicate, dovendo ritenersi normalmente assorbite, nel riscontrato danno biologico di natura psicologica di lieve entità (salva la rigorosa prova contraria), anche le conseguenze astrattamente considerabili sul piano del cd. danno morale».

(fonte: Diritto e giustizia.it)

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