Omologa forzosa di un accordo di ristrutturazione dei debiti: ratio dell’istituto e idoneità della proposta

La Redazione
10 Marzo 2023

Il Tribunale di Lecce rigetta un ricorso per l'omologa forzosa di un accordo di ristrutturazione dei debiti cui non aveva prestato adesione l'Amministrazione finanziaria creditrice, avendo quest'ultima riscontrato una non convenienza dell'accordo stesso rispetto alla alternativa fallimentare. Il decreto rappresenta, dunque, per il Tribunale, l'occasione di ribadire i principi sui quali si fonda il c.d. cram down fiscale.

Con un provvedimento del 17 ottobre 2022, il Tribunale di Lecce si è espresso rigettando il ricorso di una società che chiedeva l'omologa forzosa (c.d. cram down) di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Di seguito si espongono la vicenda e i principi di diritto applicati dal Tribunale.

La società Alfa presentava un ricorso per l'omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Tale accordo veniva giustificato, principalmente, dalla stipulazione di un preliminare di vendita con una società terza (promissaria acquirente), avente ad oggetto gli immobili di proprietà della debitrice e dei soci illimitatamente responsabili, per un importo complessivo pari ad euro 1.200.000, denaro che sarebbe stato impiegato per pagare parte dei debiti della Alfa. Il prezzo di vendita era stato concordato sulla base di una perizia della debitrice che aveva stimato il valore dei suddetti immobili attorno ad euro 1.100.000.

Occorre precisare che, rappresentando il debito nei confronti dell'Amministrazione finanziaria e degli Enti di previdenza circa il 58% dell'esposizione debitoria complessiva, l'adesione da parte di tale categoria creditizia alla proposta di accordo risultava decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale indicata dall'art. 182-bis l. fall. per l'omologa.

Tanto l'Amministrazione finanziaria, quanto gli Enti di previdenza comunicavano al Tribunale la propria non adesione alla proposta di transazione contenuta nell'accordo.

Tale mancata adesione portava, dunque, la società debitrice a richiedere al Tribunale l'omologa forzosa dell'accordo (c.d. cram down), previa nomina di un c.t.u. che valutasse l'effettivo valore degli immobili. L'Agenzia delle Entrate aveva infatti motivato la propria non adesione alla proposta transattiva sostenendo che il patrimonio immobiliare fosse stato sottostimato rispetto al valore reale di mercato.

Si provvedeva, pertanto, a far eseguire nuova stima del patrimonio immobiliare, dalla quale emergeva un valore superiore – circa euro 1.500.000 – rispetto a quello risultante dalla stima del c.t.p.

Il Tribunale ha rigettato il ricorso, motivando la propria risoluzione con diverse argomentazioni.

In primo luogo, la proposta di accordo originaria – fondandosi su una perizia di stima immobiliare risultata “al ribasso” rispetto ai valori reali di mercato – non assicura la veridicità dei dati esposti nella proposta e non è idonea a garantire i creditori e a consentire al Tribunale l'esercizio consapevole del cram down.

In secondo luogo, non sussisterebbero i presupposti per l'omologa forzosa. La ratio di tale strumento è, infatti, quella di superare una inerzia ingiustificata e irragionevole da parte dell'Amministrazione finanziaria, cosa che non può avvenire quando questa si esprima con voto contrario all'omologa, tantopiù se il dissenso è ben motivato;

Ancora, evidenzia il Tribunale come appaia preferibile, rispetto all'omologa dell'accordo, la soluzione alternativa della liquidatoria fallimentare. Tra l'altro, in particolare, i Giudici rammentano che, dovendosi considerare in concreto (e non in astratto) i risultati ragionevolmente ottenibili dal creditore che dovesse subire il cram down, occorre prendere in considerazione il fatto che in sede fallimentare è possibile (e ragionevole) valutare anche la sussistenza dei presupposti per la proposizione di azioni revocatorie, di responsabilità, di recupero crediti, tutte volte ad incrementare l'attivo liquidabile in favore dei creditori (ivi compreso quello pubblico).

A questo fine – ovvero dell'esame “in concreto” della proposta – segnalano i Giudici come debba considerarsi che l'Amministrazione dissenziente vedrebbe, nell'eventualità dell'omologa, ridotto il proprio credito all'1,79% di quello originale. Tale percentuale di soddisfazione del credito erariale risulta inferiore rispetto a quella prospettabile in caso di liquidazione fallimentare, tenuto conto del maggior valore di stima risultante dalla c.t.u.

Per tali e tante ragioni, il Tribunale rigetta il ricorso per l'omologa forzosa.

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