La clausola arbitrale è applicabile all’amministratore di fatto
14 Marzo 2023
Massima
La clausola arbitrale inserita in uno statuto è applicabile anche nei confronti di chi è chiamato a rispondere del proprio operato in forza delle funzioni effettivamente svolte all'interno della struttura organizzativa societaria, in quanto con il concetto di amministratore di fatto si indica tanto chi sia stato nominato in modo invalido, oppure abbia incominciato ad esercitare le funzioni prima della formale nomina e dell'accettazione, quanto chi, invece, abbia usurpato le funzioni ad altri, ed abbia gestito o si sia comportato come rappresentante della società senza averne i poteri. Il caso
La quaestio juris sottoposta al giudizio della Corte di legittimità muove dalla doglianza sollevata dal ricorrente secondo cui, il lodo avrebbe pronunciato fuori dai limiti della convenzione di arbitrato, decidendo il merito della controversia in ordine al suo presunto e contestato ruolo di amministratore di fatto ricoperto in seno ad una società nei cui confronti, era stato esercitato un diritto di prelazione sulla partecipazione societaria, divenuta oggetto di controversia con le restanti parti in causa. La questione
Il ricorrente denuncia l'esorbitanza del lodo, ex art. 829, n. 4, c.p.c., rispetto ai limiti della clausola arbitrale, dettata per dirimere le controversie tra i soci ovvero tra i soci e la società, gli amministratori, i liquidatori od i sindaci, laddove ha pronunciato sulle contestate responsabilità del medesimo, quale amministratore di fatto della società nei cui confronti, era stato esercitato un diritto di prelazione sulla partecipazione societaria, divenuta oggetto di controversia con le restanti parti in causa, per effetto della domanda di risarcimento del danno conseguente al compimento degli atti di gestione che avevano comportato la diminuzione del valore della suddetta partecipazione. Le soluzioni giuridiche
In ordine a tale quaestio, la Cassazione rigetta il ricorso muovendo dalla considerazione che la questione dell'identificazione dell'oggetto della clausola compromissoria, e, quindi, delle controversie nascenti dal contratto che, le parti, nell'esercizio della loro autonomia privata, hanno inteso compromettere in arbitri, e cioè dell'ambito oggettivo del potere decisorio degli stessi arbitri, si configura come una questione, non di competenza ma, di merito, la cui soluzione richiede l'interpretazione della clausola secondo i canoni ermeneutici che la governano di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., cosicché, una volta che gli arbitri hanno fissato, mediante l'interpretazione della suddetta clausola, l'ambito oggettivo di essa e, quindi, del loro potere decisorio, il relativo dictum, proprio in quanto ha previamente definito i confini della clausola stessa, non è impugnabile per nullità ai sensi dell'art. 829, comma 1, n. 4), c.p.c., per avere, cioè, pronunciato fuori dei limiti del compromesso o della clausola compromissoria, bensì unicamente ai sensi del combinato disposto degli artt. 829, comma 1, n. 5), c.p.c., e 823, comma 2, n. 3), c.p.c., vale a dire nel solo caso in cui la motivazione sul punto in esame risulti radicalmente inidonea alla comprensione dell'iter logico-giuridico seguito dal collegio arbitrale o all'individuazione della ratio decidendi del lodo, ovvero, ai sensi dell'art. 829, comma 2, c.p.c., per violazione o falsa applicazione delle regole ermeneutiche codicistiche. Osservazioni
La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ribadisce il principio di diritto secondo cui l'amministratore di fatto è soggetto alla responsabilità prevista per l'amministratore nominato dai soci, trattandosi di una figura in grado di rivestire pienamente un rapporto organico all'interno della struttura organizzativa della società, sulla cui scorta, è anch'egli destinatario delle previsioni statutarie riferite alla clausola arbitrale che, a mente dell'art. 808 quater c.p.c. nel dubbio, si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la medesima convenzione si riferisce. Tale conclusione si rivela coerente con il principio – ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità – secondo cui l'amministratore di fatto è soggetto alla responsabilità prevista per l'amministratore ai sensi dell'art. 2392 e ss. c.c. (Cass. civ., sez. I, 8 ottobre 2020, n. 21730; Cass. civ., sez. I., 18 settembre 2017 n. 21567; Cass. civ., sez. I; 1° marzo 2016, n. 4045; Cass. civ., sez. V, 5 febbraio 2014, n. 2586; Cass. civ., sez. I, 12 marzo 2008, n. 6719; Cass. civ., sez. I, 6 marzo 1999, n. 1925). In particolare, con la pronuncia che si annota, si evidenzia che l'arbitro in sede di emanazione del lodo aveva ampiamente motivato sull'estensione del proprio potere decisorio anche con riguardo all'amministratore di fatto, al pari di un amministratore nominato dall'assemblea, stante l'ampia portata della clausola compromissoria in tale senso, osservando che trattandosi di arbitrato societario, l'operatività della clausola non è legata all'approvazione scritta della stessa,essendo richiesta la sola accettazione dell'incarico. Del resto, come osservato nella sentenza in commento, la collocazione del patto compromissorio nel contesto dell'atto costitutivo della società non può escludere che l'autonomia privata si esprima allo scopo di destinare alla competenza degli arbitri la decisione di talune tipologie di controversie societarie. Al riguardo, l'ambito di applicazione dell'arbitrato societario, pur essendo delimitato dalla legge sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, in realtà finisce per considerare un'ampio margine di variabilità nella selezione delle controversie devolvibili agli arbitri, come peraltro si evince dal fatto che la richiamata variabilità dell'ambito applicativo dell'arbitrato societario consente che una rilevante parte delle controversie societarie – quelle promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti, non resti sottratta alla competenza arbitrale, pur rifuggendo in parte dal novero dei diritti relativi al rapporto sociale. I giudici di legittimità, pervengono a tale conclusione – concernente l'individuazione dei confini della clausola arbitrale contenuta nello statuto societario, ricomprendendovi anche le controversie risarcitorie promosse nei confronti del c.d. amministratore di fatto – dopo avere sgomberato il campo dalle preliminari doglianze riferite nel ricorso introduttivo del giudizio circa la dedotta applicabilità nella fattispecie scrutinata dell'art. 829 c.p.c. nella previgente formulazione, atteso che a seguito della riforma legislativa attuatasi col d.lgs. n. 40/2006, l'impugnazione del lodo per violazione di norme diritto sostanziale è, sul piano generale, esclusa. Infatti, contrariamente alla previgente formulazione, la deduzione di errores in iudicando è attualmente consentita soltanto se sia espressamente disposta dalle parti o dalla legge, ovvero qualora ricorra un'ipotesi di contrarietà della decisione all'ordine pubblico. La pronuncia che si annota, ribadisce l'insegnamento a suo tempo espresso dalle Sezioni unite (Cass. civ., sez. un., 9 maggio 2016, n. 9284), affermando che, l'art. 829, comma 3, c.p.c., come riformulato dall'art. 24 del d.lgs. n. 40/2006 si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all'art. 27 del d.lgs. n. 40/2006 cit. a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l'entrata in vigore della novella, per stabilire quale sia la legge la cui espressa previsione – ai sensi del vigente testo dell'art. 829, comma 3, c.p.c. – può rendere ammissibile l'impugnazione del lodo arbitrale anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, precisando altresì che ove sia ammissibile l'impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, occorre avere riguardo alla normativa vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato. Ciò premesso, l'orientamento ribadito dalla pronuncia in commento, trova conferma anche nell'ormai noto restyling apportato dal legislatore delegato con l'art. 3, comma 55, del d.lgs. n. 149/2022 in sede di attuazione della legge di delega n. 206/2021 per la riforma della giustizia civile. La Riforma Cartabia ha infatti inserito la disciplina dell'arbitrato societario all'interno del codice di procedura civile dedicandogli 4 nuovi articoli, anche se a ben vedere, si tratta più propriamente di modifiche di coordinamento in materia di arbitrato societario. L'anzidetta disposizione normativa di nuovo conio, nel disporre che al Libro IV, Titolo VIII, del codice di procedura civile, dopo il Capo VI, è inserito il Capo VI-bis rubricato dell'arbitrato societario, all'art. 838-bis – oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutarie – prevede che gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell'art. 2325-bis c.c. possono, mediante una clausola compromissoria ad hoc, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune, ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. La stessa norma citata, enuncia altresì che gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola in parola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tale caso, essa, a seguito dell'accettazione dell'incarico, è vincolante per costoro. Appare così evidente come il legislatore delegato abbia sostanzialmente recepito nell'impianto codicistico l'orientamento emerso nella precedente giurisprudenza di legittimità sul punto specifico qui considerato. Aggiungasi che nella stessa ottica va letto l'art. 838-quinquies c.p.c. sulla risoluzione di contrasti sulla gestione di società, il quale, con riferimento agli atti costitutivi delle società a responsabilità limitata e delle società di persone, prevede che essi possono anche contenere clausole con le quali si deferiscono ad uno o più terzi i contrasti tra coloro che hanno il potere di amministrazione in ordine alle decisioni da adottare nella gestione della società. Riferimenti
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