Figuranti e claqueur di trasmissioni televisive: l’attività rientra tra le collaborazioni continuative interamente organizzate dal committente

Corrado Di Mattina
14 Marzo 2023

L'attività dei figuranti e claqueur, svolta nell'ambito di trasmissioni televisive, rientra tra le collaborazioni continuative etero-organizzate dal committente. Accede alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato, con esclusione di quella sui contratti a termine, pur non trattandosi di rapporto di lavoro subordinato e mantenendo, anzi, la propria natura autonoma.
Massima

L'applicazione dello statuto normativo della subordinazione alle collaborazioni organizzate dal committente ex art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 non implica un tertium genus tra rapporto di lavoro subordinato ed autonomo, né comporta la trasformazione della natura del rapporto, da autonoma a subordinata. Il rapporto di lavoro mantiene la sua identità, cambia solo l'apparato normativo applicabile, che è quello della subordinazione, ad eccezione della disciplina sui contratti a termine, in quanto determinerebbe una mutazione genetica del rapporto, da autonomo a subordinato.

Le attività lavorative eseguite con prestazioni di lavoro prevalentemente personale e in via continuativa rientrano nell'ambito delle collaborazioni coordinate etero-organizzate di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, se le modalità di esecuzione della prestazione sono organizzate dal committente e configurano un'effettiva integrazione del lavoratore nell'organizzazione produttiva del committente.

Il caso

Il provvedimento in commento origina da un giudizio instaurato su ricorso di un lavoratore che, affermando di aver svolto mansioni di claqueur per alcune trasmissioni televisive, sulla base di otto contratti d'opera ex art. 2222 c.c., stipulati con la committente a partire dal 26 giugno 2018 fino al 9 settembre 2019, ognuno con una propria e differente durata (due mesi e mezzo; tre mesi e mezzo; cinque mesi e mezzo; due da un giorno e due da un mese; l'ultimo, di quasi 5 mesi), affermando altresì di aver svolto la propria attività per vari programmi televisivi, alcuni in diretta ed altri registrati, con orario di lavoro prefissato dal committente, dal lunedì al venerdì di ogni settimana, chiedeva che fosse riconosciuta e dichiarata la natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato con la controparte. In via subordinata, chiedeva che l'attività lavorativa svolta fosse riconosciuta e dichiarata quale collaborazione etero-organizzata di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 e che fosse riconosciuta l'applicabilità alla stessa della disciplina sui contratti a termine, di cui gli artt. 19 e ss. del d.lgs. n. 81/2015, con accertamento della violazione delle norme sulle cause giustificative del termine, sui rinnovi e proroghe, con rivendicato diritto alla conversione del rapporto, in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, fin dalla sottoscrizione del primo contratto, oltre al risarcimento del danno ex art. 32 della legge n. 183/2010.

Chiedeva, inoltre, il riconoscimento del diritto alla corresponsione della retribuzione sulla base del CCNL applicato dalla convenuta, in conseguenza della natura subordinata del rapporto di lavoro, delle ferie maturate e del Tfr, delle mensilità supplementari e di ogni altro istituto previsto dal contratto collettivo di riferimento, nonché il pagamento di compensi lavorativi non corrisposti. Infine, in via subordinata, sulla base dell'asserito presupposto che la committente sarebbe soggetto dominante nel settore della produzione e programmazione radiotelevisiva, lamentando il rifiuto della stessa di rinnovargli il contratto a fronte della sua indisponibilità a sottoscrivere un accordo conciliativo avente ad oggetto la rinuncia a rivendicazioni lavoristiche derivanti dai rapporti contrattuali intercorsi, chiedeva che fosse riconosciuto che detta condotta rappresentasse una manifestazione di abuso di potere negoziale oltre che condotta ritorsiva, chiedendo conseguentemente la condanna di controparte al risarcimento del danno ovvero l'adozione di provvedimenti inibitori adeguati, per violazione dell'art. 9 della legge n. 192/1998.

A sostegno delle proprie rivendicazioni, il ricorrente sosteneva che fosse stato tenuto a recarsi quotidianamente presso gli studi televisivi della committente; ad utilizzare un badge di ingresso, differente rispetto a quello dei dipendenti, rilasciato dall'addetto alla sicurezza prima della partecipazione ai vari programmi televisivi, atto a marcare ora di entrata e di uscita dagli studi; che gli ispettori di produzione controllavano la sua presenza, che gli indicavano il posto dove collocarsi, da cui non poteva allontanarsi; che era tenuto ad applaudire secondo le indicazioni che gli venivano fornite dagli stessi (cd. “applausi a comando”); che era tenuto ad avvertire in caso di assenza e che veniva retribuito su base giornaliera, con una somma lorda predeterminata che veniva corrisposta con periodicità mensile o settimanale. Infine, sosteneva che la controparte avesse condizionato il pagamento delle spettanze alla firma di un accordo conciliativo di rinuncia totale ad ogni eventuale pretesa derivante dal rapporto contrattuale intercorrente e che, avendo rifiutato di sottoscrivere tale accorso, non sarebbe stato remunerato e che il rapporto non fosse più proseguito alla scadenza dell'ultimo contratto.

La Società resistente, nel costituirsi in giudizio, sosteneva che, per la riuscita dei propri programmi televisivi, era necessaria la sinergia di diverse figure professionali, tra cui quella dei figuranti/claqueurs per il riempimento della scena e per attività di accompagnamento sonoro dei passaggi maggiormente salienti delle trasmissioni televisive, esercitata a mezzo di applausi da effettuare sulla base di precise indicazioni della produzione. Dunque, sosteneva che il ricorrente avesse prestato tale tipo di attività, che la stessa avesse natura artistica, sebbene basica e ripetitiva, poiché era tenuto ad apparire in video e ad interagire, all'occorrenza, con i conduttori.

Eccepiva, nel chiedere il rigetto di tutte le domande avanzate dal ricorrente, che egli non fosse obbligato a partecipare ai programmi televisivi per i quali veniva convocato; che, a tal riguardo, potesse liberamente scegliere se parteciparvi o meno e che fosse tenuto solo ad avvisare in anticipo la produzione, in caso di sopraggiunta sua indisponibilità alla partecipazione al programma, affinché si potesse gestire l'assenza per tempo, con una sua sostituzione tempestiva; che mai alcun potere disciplinare era stato esercitato, neanche in occasione di assenze ad un programma a cui il ricorrente aveva garantito, in precedenza, la sua partecipazione.

L'istruttoria aveva accertato che, in effetti, il ricorrente, sottoscrivendo i vari contratti di lavoro autonomo, avesse offerto la propria disponibilità di massima ad eseguire l'attività di claqueur/figurante nelle varie singole trasmissioni, senza però obbligarsi a parteciparvi, ovvero di partecipare a tutte le puntate o ad alcune preventivamente individuate, essendo libero, di volta in volta, di accettare la convocazione per la singola trasmissione o meno, dovendo avere, in caso di indisponibilità, l'unica accortezza di comunicarla per tempo, per evitare disagi organizzativi alla produzione. Allo stesso modo era richiesto che, nel caso in cui non potesse presentarsi alle puntate televisive per le quali avesse manifestato il proprio consenso a parteciparvi, fosse tenuto solo a comunicare per tempo l'assenza, senza che ci fossero, però, in caso di mancata tempestiva comunicazione, reazioni disciplinari o nette prese di posizione, da parte della produzione, verso il lavoratore. Veniva accertato che mai veniva imposta la partecipazione alle varie puntate dei programmi televisivi di riferimento.

Il Giudice, ritenuta non provata la rivendicata subordinazione, rilevando che la prestazione del ricorrente fosse stata di carattere personale e continuativa, nonché etero-organizzata dal committente, che ne definiva – “con un'ingerenza pregnante” - ogni aspetto per la sua esecuzione (luogo di esecuzione e tempi di esecuzione: le trasmissioni, gli orari, lo studio televisivo dove recarsi, modalità della performance), accertava che l'attività lavorativa del ricorrente si inseriva ed integrava con l'organizzazione imprenditoriale del committente senza coordinamento stabilito di comune accordo, ma secondo modalità imposte da questi. Non vi era, per il lavoratore, alcuna autonomia, libertà di autodeterminazione e di auto-organizzarsi. L'autonomia del lavoratore, attribuita nel momento genetico del rapporto, fondante la facoltà di accettare o meno la singola convocazione del committente, svaniva nella fase funzionale, di esecuzione del rapporto.

All'esito di questo accertamento giudiziale, il rapporto di lavoro dedotto in causa veniva ricondotto nell'ambito della fattispecie di cui all'art. 2 d.lgs. n. 81/2015, ovvero qualificato come collaborazione coordinata e continuativa etero-organizzata. Venivano respinte tutte le domande del ricorrente, tranne quella relativa al pagamento di una prestazione lavorativa non pagata. In particolare, le richieste di accertamento della violazione delle norme sui contratti a termine, con conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato e di condanna al pagamento dell'indennità risarcitoria di legge venivano respinte sulla base del principio che l'art. 2 del d.lgs. n. 81/2015 si limita ad estendere le tutele del rapporto di lavoro subordinato a dei rapporti che, comunque, continuano a mantenere la propria natura, la quale rimane tecnicamente autonoma. Per il Giudice, applicando la disciplina dei contratti a termine, il rapporto si trasformerebbe in rapporto di lavoro subordinato.

Le questioni giuridiche

La decisione del Giudice del Lavoro di Roma si contraddistingue per aver affrontato una questione giuridica centrale in ambito giuslavoristico, ovvero quella della riqualificazione del rapporto di lavoro, la quale oggi assume rilievo sempre più significativo in conseguenza delle evoluzioni legislative e giurisprudenziali degli ultimi anni, ma soprattutto per le nuove tipologie di lavoro che in concreto la mutevole realtà del mercato del lavoro (e dei moderni meccanismi tecnologici di produzione dei beni e di fornitura dei servizi) pone all'attenzione, reclamando una disciplina che non sempre gli istituti tradizionali sanno offrire.

Nella vicenda in esame è preminente la classica dicotomia tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, interpretata con accurata analisi alla luce delle novità normative più recenti in materia di para-subordinazione ma, soprattutto, di collaborazioni continuative ed etero-organizzate, ex art. 2 del d.lgs. n. 81/2015.

La sentenza si contraddistingue per un approfondimento dettagliato delle varie tipologie contrattuali presenti nel nostro Ordinamento e dei meccanismi interpretativi sottesi alla corretta qualificazione dei rapporti di lavoro, esaminati alla luce delle evoluzioni della giurisprudenza e delle novità normative, valorizzando – quale base di partenza imprescindibile per l'interpretazione della fattispecie concreta – momento genetico, attinente all'accordo a monte tra le parti contraenti, nonché momento funzionale, attinente al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro, analizzati tenendo in considerazione gli orientamenti giurisprudenziali caratterizzanti gli stessi.

La dissertazione del Giudice è partita dal principio consolidato, per certi versi scontato, che, ai fini della corretta qualificazione giuridica di un rapporto di lavoro, non ci si debba fermare al nomen iuris del contratto, dovendosi accertare come in concreto esso sia stato eseguito, quale sia stata in concreto la sua natura sostanziale, giacché, come da sempre affermato in giurisprudenza, ogni attività umana economicamente valutabile può costituire oggetto sia di un rapporto di lavoro subordinato che autonomo (Cass. n. 23472/2007; Cass. n. 8574/1999, n. 4533/2000, n. 13778/2001, n. 17549/2003).

Precisato che, in presenza di un contratto scritto, dallo stesso non si possa prescindere e che l'onere della prova dell'effettiva natura del rapporto spetti al lavoratore (Cass. 23 luglio 2004, n. 1388), il Giudice si è addentrato in un'analisi particolareggiata del concetto di subordinazione, evidenziandone anche i tratti distintivi rispetto agli schemi contrattuali della para-subordinazione e del lavoro autonomo.

Il concetto di subordinazione è passato al filtro dell'art. 2094 c.c., incardinato sui principi di “dipendenza” e “direzione”, posti ad appannaggio dell'imprenditore, a carico del lavoratore, così da marcarne il primo tratto distintivo, dato dall'etero-direzione, frutto del potere direttivo datoriale. È l'imprenditore che determina le modalità di esecuzione della prestazione, il cui svolgimento è richiesto in maniera idonea a soddisfare i propri interessi.

In astratto, la distinzione tra lavoro subordinato ed autonomo è semplice, ossia netta, quando chiaro è, nel primo caso, il vincolo di subordinazione, così come, nell'altro caso, quando si abbia a che fare con un'obbligazione lavorativa coincidente con il compimento di una determinata opera o servizio, da svolgersi in completa autonomia. In alcune ipotesi concrete questa distinzione non si presenta così netta, come nei casi in cui il rapporto di lavoro si pone sul crinale che divide subordinazione ed autonomia, presentando, cioè, alcuni elementi propri della subordinazione, ma rimanendo autonomo.

Il Giudice ha evidenziato come, in questo caso, occorra rintracciare l'eventuale assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro, con suo stabile ed esclusivo inserimento nell'organizzazione aziendale, per poter ricondurre il rapporto nell'ambito della subordinazione. La sentenza, dunque, dà centralità all'assoggettamento del lavoratore, a detti poteri datoriali, individuando questo elemento quale criterio essenziale per distinguere il lavoro subordinato da quello autonomo. Interpretazione in linea con il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, che considera questo elemento come essenziale ai fini della subordinazione, distinguendolo da altri ritenuti indicativi della subordinazione in via sussidiaria e non decisiva, come l'assenza del rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione (con citazione di plurime sentenze, fino alla più recente Cass., Sez. Lav., 22 gennaio 2021, n. 1400). Peraltro, sul tema, è intervenuta recentemente una nuova sentenza di legittimità che ha valorizzato ulteriori indici sussidiari, quali l'oggetto generico della collaborazione indicato nel contratto di lavoro autonomo e la disponibilità ad operare nelle fasce orarie richieste (Cass., Sez. Lav., ord. 16 gennaio 2023, n. 1095)

Dunque, l'eterodirezione è il criterio essenziale, il quale sussiste quando il lavoratore è obbligato a conformarsi alle indicazioni che il datore di lavoro può impartirgli in merito alle modalità di esecuzione dell'attività lavorativa, secondo un potere che gli appartiene e tramite il quale può pretendere la prestazione confacente ai suoi interessi.

In relazione a tale aspetto, ciò che è interessante considerare - e la sentenza in commento lo ha ben evidenziato- è che tale elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive datoriali può assumere intensità differenziata, in conseguenza dell'autonomia tecnica della prestazione o del fatto che la prestazione tecnica debba coordinarsi con altra attività del datore di lavoro, in funzione della quale è svolta. In questo caso l'esercizio del potere direttivo non investirà precipuamente le concrete modalità di esecuzione della prestazione, bensì si esprimerà in altri fattori esterni alla stessa, ossia in vincoli di presenza e di orario, di controllo e di sottoposizione al potere gerarchico dell'imprenditore. In tali casi, concorreranno alla qualificazione ulteriori indici, quali la forma e la modalità di corresponsione della retribuzione.

Il Giudice, scendendo nello specifico della fattispecie esaminata, ha rilevato come essa sia, genericamente, rappresentabile al pari di quelle vicende in cui vi sia un accordo a monte, con cui le parti stabiliscono che l'una richiederà le energie dell'altra per singoli incarichi e che quest'ultima sarà libera di volta in volta di accettare o rifiutare, evidenziando che, per tale fattispecie, la questione della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro sia più dubbia, contrapponendosi al riguardo due indirizzi giurisprudenziali. Secondo l'indirizzo tradizionale, rilevante, ai fini della subordinazione, sarebbe l'assunzione, da parte del lavoratore, dell'obbligo contrattuale di porre a disposizione del datore di lavoro le proprie energie lavorative e di impiegarle con continuità, fedeltà e diligenza, secondo le direttive impartitegli dallo stesso, rendendole funzionali ai programmi produttivi, per il perseguimento dei fini datoriali.

Un indirizzo più recente, al contrario, ravvisa natura subordinata non solo in quei rapporti per i quali i lavoratori siano stabilmente occupati ma anche per quelli in cui essi abbiano la facoltà, di volta in volta, di accettare o meno il turno di lavoro predisposto, con onere, una volta accettato, nel caso di impossibilità sopravvenuta a svolgerlo, di avvertire tempestivamente il datore di lavoro per poter essere sostituito prontamente. Secondo tale tesi, tale facoltà non pregiudicherebbe la natura subordinata del rapporto, in quanto sarebbe meccanismo contrattuale esterno all'esecuzione della prestazione, sia sul piano logico che temporale (in quanto la precede), poiché è la prestazione in sé che rileva ai fini della subordinazione. È l'esecuzione della prestazione ad essere sottoposta al vaglio degli indici che ne disvelano tale natura, come potere di controllo, direttivo e disciplinare; peraltro, senza potersi neanche escludere che si possa instaurare, di volta in volta, anche per un giorno, un rapporto di lavoro subordinato.

Per il primo indirizzo, che, ai fini della sussistenza della subordinazione, valorizza il momento genetico, è preponderante l'accordo a monte. Se in forza di questo accordo è conferita al lavoratore la libertà di accettare o meno i singoli incarichi, mancherebbe il potere del datore di lavoro di obbligarlo alla prestazione. Quindi, il rapporto difetterebbe geneticamente di quel quid proprium della subordinazione, ossia del potere datoriale di imporre e pretendere la prestazione dal lavoratore (tesi seguita da Corte di Appello di Torino, n. 26/2019). Per il secondo orientamento, è preponderante, invece, il momento funzionale, cioè il concreto modo di svolgimento del rapporto, essendo il momento genetico al di fuori dell'esecuzione della prestazione.

Tracciato il piano interpretativo e giurisprudenziale del contratto di lavoro subordinato, il Giudice si è spinto oltre, evidenziando come tali orientamenti, tesi ad ampliare il concetto di subordinazione, per estenderne l'applicazione del relativo statuto normativo, debbano esser rivisti alla luce delle novità più recenti in materia di collaborazioni continuative etero-organizzate (art. 2 d.lgs. n. 81/2015), istituto che, contemplando una specifica norma di disciplina, permette di raggiungere lo stesso scopo rimediale, senza forzature interpretative della subordinazione.

Questo è il primo punto fermo della sentenza, a cui il Giudice ne affianca immediatamente un altro, che costituisce anche un tassello interpretativo del caso di specie: il lavoratore, che sia libero di rifiutare la prestazione, senza incorrere in un procedimento disciplinare e sanzioni o in altre conseguenze dirette o indirette, non è un lavoratore subordinato. Il Giudice, dunque, sposa l'orientamento giurisprudenziale tradizionale, conscio della forza normativa ed applicativa dell'art. 2 d.lgs. n. 81/2015.

Le soluzioni giuridiche

Il Giudice del Lavoro di Roma fa scorrere la propria decisione lungo un percorso argomentativo ampio, che, partendo dal caso di specie, arriva a tracciare un quadro completo delle tipologie contrattuali lavoristiche, con un focus particolareggiato sul concetto di subordinazione, con un esame puntuale del suo elemento essenziale rappresentato dall'etero-direzione, affrontato in chiave comparativa con il concetto di lavoro autonomo. Gli istituti sono analizzati tenendo conto dei differenti orientamenti della giurisprudenza e delle evoluzioni normative, con significativo risalto – dopo un breve cenno dei rapporti ex art. 409 c.p.c. - dato alle collaborazioni organizzate dal committente, di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 81/2015.

Il primo scrutinio giudiziale ha posto in risalto come la previsione contrattuale sulle modalità di coordinamento della prestazione sia elemento distintivo tra le varie tipologie di contratto rinvenibili al di fuori della subordinazione. Laddove il prestatore sia libero di organizzare in autonomia la propria prestazione, ricorrerà la fattispecie contrattuale di cui all'art. 2222 c.c.; quando il lavoratore sia tenuto a stabilire di comune accordo con il committente modalità, tempi e luogo della prestazione, ricorreranno le ipotesi di lavoro parasubordinato di cui all'art. 409 c.p.c.; quando, infine, il collaboratore è tenuto a fornire la propria prestazione secondo meccanismi etero-organizzati, imposti unilateralmente dal committente, si verterà nella fattispecie delle collaborazioni ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015.

Trattasi, queste ultime, di collaborazioni che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, anche mediante piattaforme digitali.

In particolar modo, tale ultimo istituto contrattuale è valorizzato da Giudice quale fattispecie capace di assicurare la tutela propria della subordinazione in quei rapporti che, costituitisi su una base pattizia di autonomia, nella concreta esecuzione perdono la propria matrice autonoma, connotandosi per una modalità di svolgimento della prestazione ad impronta etero-organizzata.

L'approdo finale del Giudice è che tali rapporti acquisiscano lo statuto normativo della subordinazione, beneficiando per estensione della sua gamma di tutele, senza però mutare identità e natura. Questi rapporti, cioè, non subiscono una trasformazione giuridica: rimangono autonomi, non diventano contratti di lavoro subordinato, acquisendone solo la disciplina.

In linea con la giurisprudenza di legittimità, è affermato il principio che tali collaborazioni non costituiscano un “tertium genus”, tra lavoro subordinato ed autonomo, con ciò evidenziando, altresì, che la previsione è da considerarsi norma di disciplina e non di fattispecie, in adesione con quanto statuito da Cass. Civ., n. 1663/2020, sentenza cardine nell'interpretazione della norma in commento. Non ha senso chiedersi se queste forme di collaborazione rientrino nella subordinazione o nell'ambito del lavoro autonomo, in quanto il legislatore, conscio della complessità e varietà delle nuove forme di lavoro e della difficoltà che la relativa indagine comporterebbe, ha previsto che ad esse si applichi l'intero statuto normativo della subordinazione, anche se in concreto non siano rapporti di lavoro subordinato (per Cass. Civ., n. 1663/2020 la disciplina del lavoro subordinato deve trovare applicazione integrale, con ogni suo istituto legale o contrattuale).

Proprio su questo aspetto la decisione del Tribunale capitolino presenta il suo passaggio interpretativo di maggior interesse, in quanto, nel pronunciarsi sulla domanda del ricorrente relativa alla violazione della normativa sul contratto a termine, di cui agli artt. 19 e ss. d.lgs. n. 81/2015, con conseguente conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, con condanna al pagamento dell'indennità risarcitoria di legge, l'ha respinta, ritenendo inapplicabile alle collaborazioni etero-organizzate dal committente la disciplina dei contratti a termine.

Il Giudice, nella consapevolezza che l'orientamento della Cassazione (Sentenza n. 1663/2020), cui aderisce, comporterebbe, a rigor di logica, anche l'inclusione della disciplina sui contratti a termine, nell'estensione dello statuto normativo della subordinazione alle collaborazioni ex art. 2 d.lgs. 81/2015, opera un distinguo e ne esclude l'applicabilità.

Sottrae le collaborazioni coordinate etero-organizzate alla normativa sui contratti a termine poiché, nella sua valutazione, tale normativa, con la previsione, in caso di sua violazione, della conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, presupporrebbe tra le parti la sussistenza di un contratto di lavoro subordinato, ipotesi non rinvenibile nel caso di specie, trattandosi di collaborazioni con un accordo a monte di natura autonoma. Inoltre, quale ulteriore ostacolo all'estensione delle norme sui contratti a termine vi è per il Giudice la considerazione che ciò comporterebbe la trasformazione della natura del rapporto, che diventerebbe subordinata, quando dovrebbe rimanere invariata, cioè autonoma, nel rispetto dell'art. 2 d.lgs. n. 81/2015.

L'approdo finale è quello di ritenere non compatibile l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 19 e ss. d.lgs. 81/2015 alle collaborazioni continuative etero-organizzate.

Osservazioni

La sentenza in commento affronta un tema certamente complesso in quanto ruota intorno all'istituto delle collaborazioni organizzate dal committente, di cui all'art. 2 del d.lgs. n. 81/2015, come modificato dalla l. n. 129/2019, fattispecie con cui il legislatore ha cercato di offrire copertura normativa e tutele piene a quelle nuove tipologie contrattuali, frutto dell'evoluzione del mercato del lavoro e dell'economia digitale, che sono emerse negli ultimi anni, ponendosi lungo il crinale tra lavoro subordinato e lavoro autonomo.

Lo scopo del legislatore è stato quello di contrastare le nuove forme di precariato, cercando di superare l'inadeguatezza degli istituti contrattuali classici, colmando un vuoto normativo sulla spinta anche dell'azione della giurisprudenza che ha riservato massima attenzione a tali fenomeni, in primis a quello dei cd. riders, categoria lavorativa emblematica della Gig-economy, le cui sorti sono divenute di grande attualità per l'ampiezza del fenomeno e per i suoi risvolti sociali ed economici.

Una vexata questio che tale è rimasta anche a seguito dell'intervento normativo ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015.

La ratio della norma è chiara: estendere le tutele del lavoro subordinato a quelle categorie di lavoratori autonomi soggetti alla completa etero-organizzazione dell'imprenditore; estendere tali tutele senza creare un terzo tipo contrattuale e senza volere che il rapporto di collaborazione si trasformi in rapporto di lavoro subordinato.

Nell'estensione del campo di applicazione della disciplina del lavoro subordinato, ferma la volontà di non trasformare la natura del rapporto, il legislatore non si è posto il problema della compatibilità delle norme sulla subordinazione con lo schema contrattuale delle collaborazioni, tant'è che la formulazione della norma non contiene alcuna clausola di salvezza in tal senso. Ne consegue un'interpretazione obbligata della norma, sebbene evidentemente radicale, troppo drastica, ossia quella per cui è da ritenersi applicabile l'intera disciplina del lavoro subordinato.

Peraltro, questa è la linea interpretativa emersa anche in sede amministrativa, oltre che giudiziaria, giacché il Ministero del Lavoro, con la Circolare n. 3/2016, ha affermato il principio dell'integrale applicabilità delle norme del lavoro subordinato, di fatto sposato anche dall'Ispettorato Nazionale del Lavoro, che, con la Circolare n. 7/2020, ha valutato alcuni istituti ispettivi ed alcune tutele lavoristiche ai fini della loro applicabilità alle collaborazioni ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015, scontrandosi, comunque, per alcune tematiche, con la intrinseca differenza che c'è tra tale modello contrattuale e quello della subordinazione. Tale complessa conciliabilità è emersa, soprattutto, in tema di tempi di lavoro e specificatamente in relazione ai limiti massimi dell'orario di lavoro, alle pause e ai riposi (ex d.lgs. n. 66/2003), risultando, per alcune forme di collaborazione proprio come quelle dei ciclo-fattorini (riders), una complessità difficilmente risolvibile.

Il problema della compatibilità, superabile a fronte della possibilità, caso per caso, di affrontare alcune difficoltà applicative, si pone in materia antinfortunistica, anti-discriminatoria, per alcune norme di tutela della libertà e dignità dei lavoratori di cui al Titolo I della legge n. 300/1970, in ordine alla tutela retributiva, nonché sul fronte previdenziale e contributivo.

Invero, proprio Cassazione n. 1663/2020, sentenza cardine – come detto – in materia, la quale ha tracciato un completo e significativo indirizzo interpretativo sulla qualificazione dell'attività dei raiders e, più in generale, sulla norma ex art. 2 d.lgs. n. 81/2015, tanto da orientare la giurisprudenza successiva ed il dibattito dottrinale, ha affermato che non possono escludersi situazioni in cui l'applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell'ambito dell'art. 2094 c.c.

Nel caso affrontato dalla sentenza in commento non è la fattispecie in sé ad essere incompatibile ontologicamente con l'integrale applicabilità della disciplina del lavoro subordinato, più nello specifico incompatibile con le norme sui contratti a tempo determinato ma emerge che è proprio tale disciplina ad essere incompatibile con l'intera categoria delle collaborazioni etero-organizzate.

Il Giudice capitolino sostiene questa interpretazione sistematica, sviluppandola attraverso due argomentazioni. In primis, afferma che “la disciplina normativa di cui al d.lgs. 81/2015 in tema di nullità del termine e di abuso della contrattazione a termine, che prevede la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato e la tutela indennitaria, presuppone pur sempre la sussistenza tra le parti di un contratto di lavoro subordinato, ciò che invece nel caso di specie è stato escluso”.

Però, questa considerazione, a parere di scrive, non è decisiva. Certamente la normativa sui contratti a termine, anche nella sua portata rimediale/sanzionatoria, si innesta sul corpo della disciplina del contratto a tempo indeterminato: data la regola ordinaria della durata indeterminata del contratto di lavoro subordinato, è ammesso che esso sia a termine, ma alle condizioni di cui agli artt. 19 e ss. d.lgs. n. 81/2015. Se assumiamo il principio -che è poi ha la sua fonte nella norma di legge – che alle collaborazioni continuative etero-organizzate vada applicata per interno la disciplina del contratto di lavoro subordinato, ne consegue, in ordine alla durata, che varrà la regola ordinaria, che peraltro apre il corpo normativo del d.lgs. n. 81/2015, nonché quella speciale di cui agli art. 19 e ss.

Peraltro, proprio l'assetto sistematico del d.lgs. n. 81/2015 indurrebbe a sostenere che la disciplina sui contratti a termine si applichi anche alle collaborazioni organizzate dal committente, di cui all'art. 2, unitamente a tutta l'altra disciplina relativa al lavoro subordinato. Tale corpo normativo si apre, all'art. 1, con la previsione che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisca la forma comune di rapporto di lavoro. Segue l'art. 2 che prevede che si applichi la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Data la generica previsione normativa e la collocazione sistematica della norma, verrebbe da ammettere l'applicabilità della disciplina della subordinazione in tema di durata dei rapporti.

Però sopraggiunge la riflessione che il Giudice di Roma ha formulato in seconda battuta, ossia che l'art. 2 d.lgs. n. 81/2015 si limita a stabilire l'estensione delle tutele del rapporto subordinato a rapporti che comunque continuano a mantenere la loro natura, la quale resta tecnicamente autonoma. Il ragionamento conclusivo del Giudice è che, applicando invece le norme sui contratti a termine, si finirebbe con il trasformare la natura del rapporto, in qualche modo violando la disposizione di cui al citato art. 2. Il che indurrebbe a ritenere non compatibile l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 19 e ss. d.lgs. n. 81/2015.

Volendo sviluppare ulteriormente il condivisibile approdo del Giudice, che si arresta a tale considerazione, vi è da osservare che, ritenuta applicabile e violata la normativa sull'apposizione del termine, con conseguente nullità dello stesso, rendendo il rapporto a tempo indeterminato, per effetto della conversione prevista dall'art. 19, il lavoratore diverrebbe stabilmente inserito nell'organizzazione aziendale dell'imprenditore, per una prestazione resa in via continuativa ed esclusiva, con un suo conseguente ed inevitabile assoggettamento al novero completo dei poteri datoriali, previsto dallo statuto normativo della subordinazione.

Questo, in prima battuta, ci porterebbe a considerare che ciò non avrebbe un riflesso solo sul rapporto di lavoro individuale (di carattere rimediale, a tutela dello specifico lavoratore), bensì anche sull'assetto organizzativo e produttivo datoriale, incidendo inevitabilmente sulla determinazione dell'organico aziendale e, dunque, sugli istituti normativi o contrattuali connessi alle soglie dimensionali dell'azienda, che è l'effetto che si determina con la riqualificazione del rapporto di lavoro autonomo in lavoro subordinato.

L'assoggettamento pieno ai poteri datoriali disattende e travolge, però, il momento genetico del rapporto, quello dove si costituisce e si radica la sua natura autonoma, per la facoltà attribuita pattiziamente al lavoratore di obbligarsi o meno alla prestazione. Tale accordo conferisce natura autonoma al rapporto lavorativo, poiché – come osservato in giurisprudenza – in tal modo difetta geneticamente il quid proprium della subordinazione e cioè il potere del datore di lavoro di obbligare il lavoratore ad eseguire la prestazione e l'obbligo di quest'ultimo di renderla. Ne consegue che se il committente acquisisse tutti i poteri assegnati al datore di lavoro, dalla disciplina sulla subordinazione, si impossesserebbe anche del potere di imporre la prestazione al lavoratore e di pretenderla conforme ad ogni propria richiesta, sottraendola alla disponibilità del lavoratore, ossia alla sua facoltà di eseguirla o meno. Facoltà che verrebbe persa, così da dover rilevare una mutazione genetica del rapporto, che avrebbe perso la sua natura autonoma, frutto dell'accordo a monte, per acquisire di fatto quella subordinata, ma in violazione chiara del disposto di cui all'art. 2 d.lgs. n. 81/2015.

In conclusione, non si può non osservare come la previsione normativa di cui all'art. 2 d.lgs. n. 81/2015, soprattutto per ciò che riguarda le collaborazioni etero-organizzate tramite piattaforma digitale, sia alquanto lacunosa, lasciando aperte alcune questioni interpretative che sono fonte di incertezza applicativa, creando problematiche ben intercettate dal dibattito dottrinale e che dividono la giurisprudenza di merito.

La norma, seppur apprezzabile nell'intento e nella funzione cui è protesa, manifesta un evidente grado di genericità, conseguenza evidentemente di un intervento legislativo frettoloso e non sistematico. Il punto non è rappresentato dalla mancanza di una clausola di compatibilità, che di per sé non risolverebbe del tutto i problemi interpretativi di cui è afflitta la norma, che si sconterebbero comunque sul piano della valutazione degli istituti legislativi e contrattuali della subordinazione applicabili, in quanto compatibili con la fattispecie delle collaborazioni etero-organizzate.

Il limite maggiore della norma in analisi, a parere di chi scrive, è che, nella sua genericità, non si dimostra adatta a contemplare i variegati modelli lavorativi che l'economia digitale ha fatto emergere negli ultimi anni. È la concezione del lavoro ad essere mutata; non è solo un problema di esatta qualificazione del rapporto di lavoro instaurato o questione affrontabile solo mutuando totalmente o parzialmente le tutele lavoristiche di un tipo di contrattuale, corrispondente ad altri modelli economici, com'è quello della subordinazione. Nell'economia digitale, il “lavoro” dell'individuo mantiene certamente una sua centralità, a volte più accentuata a volte meno, a seconda del settore di impresa, ma risulta rimodulato differentemente rispetto ai suoi schemi classici. Ciò che realmente ha rivoluzionato l'avvento del digitale è la modalità di fare impresa, in quanto ha determinato un cambio netto nei modelli organizzativi societari e dei processi di produzione dei beni e della fornitura dei servizi.

Questo ha avuto un'incidenza sul mondo del lavoro, dando vita a nuove dinamiche circa la modalità di svolgimento della prestazione, così da doversi chiedere se il diritto del lavoro debba calcare una nuova frontiera. Prendendo atto dell'evoluzione dei rapporti di lavoro, bisognerebbe interrogarsi se si stiano imponendo nuove forze negoziali sul fronte datoriale e se siano necessarie, conseguentemente, nuove e specifiche tutele lavoristiche, visto che la tecnologia ha sostanzialmente fatto superare concetti tradizionali di luogo, tempi e modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. È un problema di assetto normativo e contrattuale, oltre che di trattamento economico. E, da questa più ampia prospettiva valutativa, l'art. 2 d.lgs. n. 81/2015 appare con tutta la sua inadeguatezza.