Ostativa all'ammissione al passivo e rilevabile d'ufficio la mancanza di data certa

Fabio Signorelli
14 Marzo 2023

La Suprema Corte, nel respingere tutte le eccezioni proposte dalla banca, con la pronuncia in esame ha ribadito il proprio consolidato orientamento in materia, risalente alla sentenza a Sezioni Unite del 2013, al quale è stato dato seguito in modo fermo e deciso.
Le massime

Nei confronti del creditore che proponga istanza di ammissione al passivo del fallimento, in ragione di un suo preteso credito, il curatore è terzo e non parte, con la conseguente applicabilità dei limiti probatori indicati nell'art. 2704 c.c. La mancanza di data certa nelle scritture prodotte si configura come fatto impeditivo all'accoglimento della domanda oggetto di eccezione in senso lato, in quanto tale rilevabile anche d'ufficio dal giudice. Il rilievo di ufficio dell'eccezione determina la necessità di disporre la relativa comunicazione alle parti per eventuali osservazioni e richieste e subordina la decisione nel merito all'effettuazione del detto adempimento.

L'art. 2710 c.c., che conferisce efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa, ai libri regolarmente tenuti, non trova applicazione nei confronti del curatore del fallimento il quale agisca non in via di successione di un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua funzione di gestione del patrimonio del medesimo, non potendo egli, in tale sua veste, essere annoverato tra i soggetti considerati dalla norma in questione, operante soltanto tra imprenditori che assumono la qualità di controparti nei rapporti di impresa.

Il caso

Il giudice delegato al fallimento di una società non ammetteva allo stato passivo della procedura il credito vantato da un istituto di credito sia a titolo di saldo debitore di un contratto di conto corrente sia per il residuo debito derivante da un finanziamento. In sede di opposizione allo stato passivo, il tribunale rigettava le pretese della banca sulla base di due determinati ragioni.

La prima riguardava la mancanza di data certa, anteriore all'apertura della procedura, della documentazione prodotta in giudizio dal creditore istante e, in quanto tale, non opponibile al fallimento.

La seconda era relativa al mancato assolvimento dell'onere della prova da parte della banca, che si era limitata a produrre copia degli estratti conto anziché tutta la documentazione idonea a giustificare ogni singola operazione rappresentata dagli estratti conto. La banca ricorreva per cassazione prospettando ben diciassette motivi di doglianza.

La questione e le soluzioni giuridiche

V'è subito da precisare che la corte di cassazione, nel respingere tutte le eccezioni proposte dalla banca, ha ribadito il proprio consolidato orientamento in materia, risalente alla nota sentenza a Sezioni Unite del 2013 (meglio indicata in epigrafe), al quale è stato dato seguito in modo fermo e deciso.

Non appare, forse, inutile ricordare che, in quella sede, i Supremi giudici avevano dato atto che dall'esame della dottrina e della giurisprudenza fino ad allora formatesi, in tema di data certa, si erano manifestati tre diversi indirizzi:

i) il primo, che attribuiva all'elemento della data certa il valore di elemento costitutivo del diritto di partecipazione al concorso, in quanto tale con onere di dimostrazione a carico dell'istante;

ii) un secondo, che configurava la mancanza di data certa come fatto impeditivo del diritto azionato, deducibile esclusivamente dal curatore quale parte controinteressata, e quindi suscettibile di ingresso nel processo esclusivamente a seguito di specifica eccezione di quest'ultimo;

iii) un terzo, infine, che, facendo derivare dalla detta mancanza l'assenza dei fatti costitutivi del diritto azionato, la qualificava come eccezione in senso lato, per tanto rilevabile d'ufficio dal giudice.

La corte ebbe altresì modo di precisare che la valutazione in ordine all'applicabilità o meno del disposto dell'art. 2704 c.c. al curatore presupponeva l'identificazione della sua qualità come parte o come terzo nel rapporto controverso, giungendo alla conclusione che, ai fini della delibazione della domanda di ammissione al passivo del fallimento proposta dal creditore, il curatore fosse da considerarsi terzo rispetto agli atti compiuto dal fallito, prendendo in considerazione le norme di cui agli artt. 44 e 52 l. fall., che darebbero luogo ad un conflitto giuridico fra creditori anteriori e posteriori al fallimento, risolvibile soltanto applicando la norma più rigorosa rappresentata, appunto, dall'art. 2704 c.c.

Alla mancanza di data certa si aggiungeva, inoltre, l'ulteriore problema derivante dal fatto che le scritture contabili fornite dall'istituto di credito non potevano avere, come invece pretesamente sostenuto dalla banca, l'efficacia probatoria di cui agli artt. 2709 e 2710 c.c., che riguardano soltanto i rapporti tra imprenditori.

A questo punto appare necessario qualche chiarimento.

L'art. 2709 c.c. prescrive che “i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l'imprenditore.

Tuttavia, chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto”. Tale norma prende in considerazione, quali mezzi di prova, documenti (libri ed altre scritture contabili) normalmente privi di sottoscrizione, ma soggetti ad una serie di prescrizioni formali, tenuti dalle imprese soggette a registrazione. Il fondamento della norma viene ravvisato nella regola d'esperienza in base alla quale, normalmente, nessuno predispone in una documentazione dati a proprio carico non corrispondenti al vero. Non è previsto, ai fini della valenza probatoria, che la predetta documentazione debba anche essere regolarmente tenuta, come invece è espressamente richiesto dall'articolo successivo.

La norma in esame, ancorché non possa essere equiparata alla confessione stragiudiziale (anche solo per l'ovvio motivo che manca l'animus confitendi), presenta, tuttavia, un fondamento analogo a quello della confessione, posto che, in entrambi i casi, il mezzo di prova si basa su dichiarazioni provenienti dalla parte contro la quale possono essere utilizzate e, per entrambe, vale la regola dell'inscindibilità, atteso il fatto che, sempre in entrambe le ipotesi, l'interprete deve compiere una ricognizione complessiva delle scritture e delle dichiarazioni della parte, per cui esse possono valere solo nella loro interezza, considerandosi vere non solo quelle dichiarazioni e quelle registrazioni sfavorevoli all'imprenditore, ma anche quelle, eventualmente, favorevoli.

Il successivo art. 2710 c.c. precisa che “i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori, per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa”.

In altri termini, i libri contabili, sempreché siano regolarmente tenuti, possono fare prova, questa volta <anche a favore>, nelle controversie tra imprenditori, limitatamente ai rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa. È bene precisare che l'uso dell'espressione “possono fare prova”, piuttosto di quella “fanno prova”, lascia chiaramente intendere che la loro corretta valutazione è rimessa al libero apprezzamento del giudice (e, dunque, tecnicamente, non si può parlare di prova piena, ma di mero indizio). Presupposto della disposizione in esame è il normale riscontro delle poste tra i libri contabili degli imprenditori in lite tra loro. In caso di corrispondenza, il problema, ovviamente non si pone, mentre, in caso di divergenza, il giudice potrà tenere conto delle risultanze dei libri regolarmente tenuti.

La giurisprudenza ha così valorizzato la distinzione tra curatore agente quale portatore di un diritto trovato nel fallimento, che subentra, così, nella medesima posizione processuale e sostanziale del fallito (in tal caso operando a suo favore l'efficacia probatoria delle scritture contabili) e curatore agente, invece, nella sua funzione istituzionale di gestione del patrimonio del fallito (con esclusione di detta efficacia probatoria), insegnando che l'art. 2710 c.c. non va letto né interpretato secondo un parametro soggettivo, ma secondo un parametro oggettivo, con la conseguenza che l'elemento dirimente è il rapporto sostanziale oggettivamente d'impresa per i soggetti originariamente parti dello stesso, indipendentemente dalla coincidenza attuale dei due soggetti.

Non ha allora alcuna importanza che il curatore agisca in una veste piuttosto che nell'altra, dovendosi solo verificare che si tratti di un rapporto d'impresa tra (originari) imprenditori ai quali si dovrà applicare la regola dell'inscindibilità delle scritture contabili, per la quale, come visto, il curatore non può essere considerato terzo.

Conclusivamente, la sentenza in rassegna riafferma, da una parte, la posizione di terzietà del curatore nei giudizi d'accertamento del passivo ed in quelli in cui eserciti le azioni che derivino dal fallimento (come, ad esempio, l'azione revocatoria fallimentare) e, dall'altra parte, l'inopponibilità allo stesso curatore di quelle scritture che non siano munite di data certa, ai sensi dell'art. 2704 c.c.

Guida all'approfondimento

S. Patti, Prova documentale, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 1996, 112; A. A. Dolmetta, La data certa. Conflitto tra creditori e disciplina dell'impresa, Milano, 1986, 147; A. Nigro, Le scritture contabili, in L'impresa, in Tratt. dir. comm. diretto da F. Galgano, Padova, II, 1978, 241.

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