Riforma processo civile: la revocazione civile di sentenze contrarie alla CEDU
15 Marzo 2023
Introduzione
L'art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, ai suoi commi 28 e 29, introduce un nuovo mezzo di impugnazione straordinaria, disciplinato dall'art. 391-quater c.p.c. e mediante le corrispondenti integrazioni degli artt. 362 e 397 c.p.c.; ne è pure modificata, dal comma 12 dell'art. 1, la norma sostanziale dell'art. 2652 c.c.; e si è infine introdotto l'obbligo per l'Agente del Governo davanti alla Corte europea di informare della pendenza del giudizio davanti ad essa il pubblico ministero e tutte le parti del processo che ha dato luogo alla sentenza sottoposta al suo esame. Le sentenze della Corte EDU sono vincolanti per gli Stati e, tuttavia, non spetta a questa indicare le misure per dare loro esecuzione, restando riservata agli Stati la scelta dei mezzi e dei modi, fermo l'obbligo di porre fine alla violazione e, ove possibile, di porre il ricorrente nella situazione in cui si sarebbe trovato se la violazione non si fosse verificata. Sull'esecuzione delle sentenze della Corte vigila il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (composto, com'è noto, dai Ministri degli Esteri o dai loro Rappresentanti permanenti a Strasburgo dei Paesi membri, allo stato, dopo la cessazione della appartenenza della Federazione Russa all'organizzazione, in numero di 46), col supporto del Department for the Execution of Judgments of the European Court of Human Rights (DEJ), il quale pubblica un suo rapporto annuale. In conseguenza della novella, le decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato possono essere impugnate per revocazione quando il loro “contenuto” è stato dichiarato dalla Corte di Strasburgo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli (art. 362, comma 3, c.p.c.), nel caso in cui ricorrano le seguenti condizioni (art. 391-quater, comma 1, c.p.c.): 1) la violazione accertata dalla Corte europea ha pregiudicato un diritto di stato della persona; 2) l'equa indennità eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell'art. 41 della Convenzione non è idonea a compensare le conseguenze della violazione. Il ricorso, a cui è legittimato pure il procuratore generale presso la Corte di cassazione, si propone nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea ai sensi del regolamento di quest'ultima; in esito, per il richiamo al capoverso dell'art. 391-ter c.p.c., la Corte di cassazione decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto; altrimenti, pronunciata la revocazione ovvero dichiarata ammissibile l'opposizione di terzo, rinvia la causa al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. L'accoglimento della revocazione non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi di buona fede che non hanno partecipato al giudizio svoltosi innanzi alla Corte europea; e, proprio a loro garanzia, è previsto un onere di trascrizione delle domande, se riferite ai diritti menzionati nell'art. 2643 c.c., di revocazione contro le sentenze soggette a trascrizione per le cause previste dall'articolo 391-quater c.p.c., con la precisazione che la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda. Si tratta di un nuovo mezzo di impugnazione, da qualificarsi straordinario, dai contorni non proprio ben definiti: intanto, nell'esercizio della delega, il legislatore delegato se ne è avvalso selettivamente, poiché la legge delega (come noto, la l. 26 novembre 2021, n. 206), al comma 10 del suo art. 1, consentiva al governo di introdurre una nuova fattispecie di revocazione (ferma restando l'esigenza di evitare la duplicità di ristori) per il caso in cui, una volta formatosi il giudicato, il contenuto della sentenza sia successivamente dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ovvero a uno dei suoi Protocolli e non sia possibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente. Ma, se non era prevista alcuna limitazione dell'oggetto della sentenza revocabile, il legislatore delegato ha invece optato per un sensibile contenimento, circoscrivendo l'istituto alle ipotesi di lesioni di diritti dello stato delle persone e finendo col conformarlo, quasi testualmente, al suo omologo francese, in cui quel rimedio è dato dal neointrodotto art. 452-1 del Code de l'organisation judiciaire quale réexamen della decisione civile definitiva resa en matière d'état des personnes. Il nuovo istituto è istituzionalmente limitato a tutti i giudici ordinari in virtù del tenore del capoverso dell'art. 362 c.p.c., sicché la sua estensione a quelli speciali, primi fra tutti quelli amministrativi, parrebbe esclusa per il carattere speciale di tale disposizione. L'intervento può dirsi la prima diretta manipolazione del codice di rito dall'entrata in vigore della Convenzione europea (che, com'è noto, in Italia è stata ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848) al fine di adeguare l'ordinamento processuale nazionale civile agli obblighi internazionali assunti dallo Stato di conformazione alle decisioni della Corte, posto in linea generale dall'art. 46 della Convenzione stessa. Tale intervento è definito dalla relazione illustrativa al decreto delegato come in linea con i solleciti da tempo impartiti al legislatore dalla Corte costituzionale in tema di possibile riapertura dei processi civili, al fine di assicurare una effettiva restitutio in integrum, ove ancora materialmente o giuridicamente possibile, se il contenuto del relativo giudicato implichi una violazione dei diritti garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, accertata dalla Corte di Strasburgo e non suscettibile di essere ristorata tramite tutela risarcitoria (o comunque per equivalente). È anzi ravvisata una continuità con le indicazioni della Corte costituzionale su questo tema (Sentenze nn. 93/2018 e 123/2017), riprese anche da recenti ulteriori sentenze della Corte EDU (Corte EDU, 1a sez., BEG spa c. Italia del 20 maggio 2021, caso n. 5312/11, punti 162 s.); ed anzi l'intervento viene prospettato quale adempimento della Raccomandazione R. 2000-2 del 19 gennaio 2000 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa (sia pure, senza enfatizzare il relativo dato, appena ventidue anni dopo …): la quale, pur non essendo vincolante, è particolarmente importante per la ricostruzione della portata della giurisprudenza convenzionale e per la sua funzione orientativa. Vi si afferma che l'obbligo conformativo può “in certe circostanze” ricomprendere misure individuali diverse dall'equo indennizzo e che “in circostanze eccezionali” il riesame del caso o la riapertura dei processi si è dimostrata la misura più adeguata, se non l'unica, per raggiungere la restitutio in integrum (e, quindi, l'effettiva e concreta salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali tutelate dallo strumento convenzionale). La Consulta aveva escluso che, nelle materie diverse da quella penale, dalla giurisprudenza convenzionale emergesse, allo stato, l'esistenza di un obbligo generale di adottare la misura ripristinatoria della riapertura del processo: la decisione di prevederla o meno è rimessa agli Stati contraenti, pur essendo incoraggiati a provvedere in tal senso, con la dovuta attenzione per i vari e confliggenti interessi in gioco. Anzi, persisteva l'orientamento della Corte di Strasburgo sulla non obbligatorietà di un generalizzato obbligo di previsione di riapertura dei processi, mentre particolare cautela mostravano gli Stati contraenti della Convenzione nella stessa introduzione di tali rimedi. L'esigenza di tutela di principi generali come quelli del giudicato e dei terzi coinvolti dalla decisione della Corte europea è stata pertanto alla base della altrettanto grande cautela con cui la necessità di riadeguamento dell'ordinamento nazionale alle pronunce della Corte di Strasburgo è stata infine recepita. Infatti, non esistendo allo stato un meccanismo processuale che consentisse la riapertura del processo civile, la legge delega, al comma 10, lettera a) aveva previsto l'introduzione di un nuovo caso di revocazione, limitato alle sentenze emesse all'esito del processo civile (tale essendo il campo di intervento riformatore della legge delega stessa) e che, in fase attuativa, è stato declinato in un'ipotesi speciale di revocazione con proprie caratteristiche processuali che tengono conto della particolarità del rimedio. La riconduzione del rimedio alla revocazione
Senza la pretesa di un compiuto esame dell'istituto della revocazione, per il quale si rinvia alle trattazioni istituzionali ed alla vastissima elaborazione dottrinale sul punto, deve qui essere sufficiente ricordare che la revocazione è, nell'ambito del diritto processuale civile, in genere qualificata come mezzo di impugnazione straordinario (tranne due ipotesi ricondotte comunque al medesimo nomen iuris), a critica vincolata ed a carattere eccezionale, in quanto ammesso per un numero ristretto di motivi specifici ed anche contro un provvedimento assistito dalla cosa giudicata formale, a duplice fase (rescindente e rescissoria). Connotato comune a tutte le impugnazioni straordinarie, ai limitati fini qui di interesse, può ravvisarsi nella loro finalizzazione a porre rimedio a situazioni eccezionali, in cui alcuni determinati tipi di errore - nonostante il regolare funzionamento del sistema, appunto ordinario, di rimedi e controlli assicurato in via ordinaria - non potevano essere o comunque non sono stati evitati, se non altro alla luce di quanto era a disposizione dei soggetti coinvolti e del giudice, nel momento in cui il processo stava seguendo il suo corso ordinario. Si tratta quindi di impugnazioni definite straordinarie, siccome estranee od esterne all'ordine della successione dei gradi di giudizio, normalmente strutturato su due gradi di merito (benché il secondo non abbia alcuna copertura costituzionale) e su di uno, immancabile per discrezionale scelta della Carta fondamentale, di legittimità. È pertanto coerente con il sistema la riconduzione di un rimedio eccezionale, idoneo a superare il giudicato formale e sostanziale per fatti indipendenti dalla decisione legittimamente esaminabile nello sviluppo ordinario del giudizio civile, all'istituto della revocazione della sentenza: la sentenza (o altra decisione giudiziale) nazionale definitiva in tanto ed allora può definirsi viziata per contrarietà alle disposizioni della Convenzione in quanto e quando è dalla Corte europea accertata la violazione di queste e quando quest'ultima, per mezzo della sentenza nazionale, è divenuta definitiva: il fatto nuovo e sopravvenuto della pronuncia della Corte europea costituisce quindi riconoscimento di un vizio intrinseco della decisione giudiziale nazionale, cioè la sua contrarietà alla disciplina convenzionale; e, in quanto tale, riconoscibile in modo palese non appena depositata o comunicata la sentenza della Corte di Strasburgo in base alla sua lettura, idoneo a giustificare la revocazione della pronuncia nazionale con un termine decorrente appunto da quel deposito o dalla sua comunicazione. I presupposti
In base al tenore testuale delle norme sulla nuova figura di revocazione i presupposti sono: a) una decisione passata in giudicato, resa dai giudici ordinari; b) un “contenuto” della decisione dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo contrario alla Convenzione o ad uno dei suoi Protocolli: vale a dire, un giudicato che, statuendo sulla specifica controversia definita con la decisione, ha implicato appunto una siffatta violazione, come tale accertata dalla Corte in estrinsecazione della sua consueta giurisdizione sui singoli casi sottoposti al suo esame; c) la lesione, nonostante una più ampia ed articolata previsione ipotizzata nel corso dei lavori preparatori, esclusivamente di un “diritto di stato della persona”, giustificata - nella relazione ministeriale - dal rilievo che, “per questi diritti, infatti, il rimedio risarcitorio, in quanto finalizzato ad attribuire un'utilità economica alternativa, spesso si rivela non del tutto satisfattivo”; e tuttavia si tratta di un'espressione che non può dirsi, nell'ordinamento giuridico nazionale, di significato sufficientemente univoco e determinato, tale da poter essere propriamente utilizzata in una disposizione del codice di rito: altro, infatti, sono gli stati, altro i diritti; vi sono stati di diritto pubblico (es. cittadinanza) e stati di diritto privato (es. posizioni familiari); rispetto a questi ultimi è dubbio se i “diritti di stato” possano essere distinti dai diritti della personalità e appare altresì incerta la riferibilità dei “diritti di stato” alle persone giuridiche; d) l'inidoneità dell'equa indennità, eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell'art. 41 della Convenzione, a compensare le conseguenze della violazione: con il coinvolgimento di istituti - quali la compensazione delle conseguenze - da sottoporre a delicata opera di armonizzazione con quelli nazionali in tema di risarcimento, come pure con introduzione di un giudizio di congruità e piena idoneità di tale compensazione che, normalmente, attiene al mero fatto e quindi sarebbe altrimenti precluso in sede di legittimità. Il procedimento
La disciplina sul procedimento si articola su poche norme, ricondotte al giudizio di legittimità: e per le quali è stata necessaria una modificazione anche di altre norme, estranee al codice di rito, per la funzionalità delle relative previsioni all'istituto ed ai suoi effetti. Il ricorso per revocazione si propone entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea ai sensi del regolamento della Corte stessa, per ragioni di coerenza con il termine generale previsto dall'art. 325 c.p.c.: è un termine perentorio, come tutti quelli in tema di impugnazioni, la cui violazione preclude per sempre la proposizione del rimedio. Il ricorso con cui è proposta la revocazione è soggetto a trascrizione nei casi in cui abbia ad oggetto uno dei diritti menzionati nell'art. 2643 c.c., secondo il disposto dell'art. 2652, comma 1, c.c., ribadito dal nuovo n. 6-bis dell'art. 2690 c.c.; in applicazione dei principi generali in materia di trascrizione, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda. Ancora, secondo il modificato capoverso dell'art. 2658 c.c., in tali evenienze la parte che chiede la trascrizione presenta copia conforme dell'atto che la contiene munita di attestazione della data del suo deposito presso l'ufficio giudiziario. Infine, la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda di revocazione nei casi disciplinati dall'art. 391-quater c.p.c. prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda. La competenza per la fase rescindente è concentrata in capo alla Corte di cassazione, a prescindere dall'identità del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e quindi in deroga alla regola generale che affida proprio a tale giudice il compito di rimuovere il vizio: tanto avviene al dichiarato fine di perseguire la maggiore uniformità interpretativa possibile nella valutazione delle circostanze nelle quali ammettere un eccezionale sovvertimento del giudicato. La Corte deve pronunciare sempre in pubblica udienza, con una valutazione ope legis della particolare rilevanza della causa e, in particolare, della relativa questione di diritto (secondo la nuova previsione del primo comma dell'art. 375 c.p.c.); e nulla impedisce una devoluzione della questione, se ritenuta anche una questione di massima di particolare importanza, alla cognizione delle sezioni unite, ai sensi dell'art. 374 cpv. c.p.c.: ciò che, verosimilmente, potrà accadere anche solo per la definizione dell'ambito (cioè, di quali siano i “diritti di stato della persona” per i quali è data l'impugnazione straordinaria in parola) e per la delimitazione degli altri presupposti, purché con valutazioni suscettibili di generalizzazione e non legate alla sola rilevanza soggettiva della controversia. Vanno quindi applicare le norme generali in tema di ricorso per cassazione, comprese quelle riformulate dalla novella del d.lgs. 149/22 in tema di requisiti di contenuto-forma e deposito (con le relative sanzioni di improcedibilità e di inammissibilità) e quelle sull'introduzione del giudizio di legittimità, indistintamente considerate ed a prescindere dal soggetto che vi dà impulso. Occorrerà una procura speciale, successiva alla pronuncia della Corte europea, mentre la notifica potrà aver luogo solo nei confronti della controparte di persona, apparendo di difficile applicabilità, per il tempo verosimilmente intercorso, la previsione generale che abilita alla notifica presso il procuratore già costituito entro l'anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata (art. 330, comma 3, c.p.c.). Soprattutto, è la formulazione del ricorso quella a cui prestare particolare attenzione, potendo soccorrere al riguardo l'elaborazione giurisprudenziale in merito all'ipotesi di revocazione già ammessa e regolata dall'art. 391-bis c.p.c. (con riferimento al caso di revocazione ordinaria di cui al n. 4 dell'art. 395 c.p.c.), da coordinarsi con la rinnovata esigenza di specificità nell'indicazione del motivo e di chiarezza e sinteticità dell'esposizione del complesso iter processuale, comprensivo stavolta pure di una sentenza sovranazionale. Quanto alla legittimazione attiva, già si è detto che la legge delega vincolava il legislatore delegato a prevederla in capo alle parti del processo svoltosi innanzi a tale Corte, ai loro eredi o aventi causa ed al pubblico ministero, con ciò evidentemente escludendo la legittimazione attiva di coloro che, parti del processo concluso con la sentenza revocanda, non siano stati parti nel processo davanti alla Corte europea (e non necessariamente le sole controparti, ben potendo esservi stati litisconsorti, necessari o meno, delle parti vittoriose); una simile norma non è espressamente stata formulata: e dovrebbero soccorrere quindi gli ordinari principi in tema di impugnazioni straordinarie, che legittimano, però, tutte le parti del processo concluso con la pronuncia di cui si chiede la revocazione. Del resto, se non altro de futuro alle parti del processo concluso con la sentenza oggetto della pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo deve essere stato dato avviso, dall'agente del Governo, della pendenza del procedimento promosso innanzi a quest'ultima, stavolta in attuazione puntuale della legge delega, vista l'aggiunta, all'art. 15 del d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla l. 1° dicembre 2018, n. 132, di un comma 0.1-bis. Infine, la legittimazione del pubblico ministero presso l'ufficio unitariamente competente sul territorio nazionale (cioè il procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione) è espressamente prevista dal neointrodotto ultimo comma dell'art. 397 c.p.c.: e bene si giustifica non solo e non tanto in ragione dell'ampia formulazione del principio di delega sul punto, quanto piuttosto dell'interesse superiore dell'ordinamento alla rimozione in ogni caso delle conseguenze di una violazione della Convenzione da parte di una decisione del giudice ordinario, accertata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Nessun problema si configura quanto alla legittimazione passiva, ravvisabile senz'altro in capo alle controparti del processo concluso con la sentenza oggetto di revocazione; come in ogni giudizio di revocazione, ad esso devono partecipare gli stessi soggetti che avevano preso parte al processo conclusosi con la pronuncia che ne è oggetto; pertanto, anche nel giudizio in esame deve disporsi di ufficio l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari (tra cui gli eredi di una delle parti del giudizio concluso con la sentenza oggetto di revocazione). E la mancata ottemperanza all'ordine di integrazione del contraddittorio potrà dar luogo alla inammissibilità dell'impugnazione, ex art. 331 c.p.c. Come ogni giudizio di revocazione, si è in presenza di due fasi, quella rescindente e quella rescissoria: nella prima si valuta la sussistenza dei presupposti per la caducazione della sentenza impugnata e solo se tale valutazione si conclude in senso positivo si può passare alla seconda. Non si ravvisano peculiarità, se non quella tratteggiata del rischio di carattere sostanzialmente fattuale della valutazione dell'adeguatezza compensativa dell'equa compensazione, nella formulazione del giudizio di legittimità su quella sussistenza e, quindi, ai fini della pronuncia in fase rescindente. È dubbio se, per la peculiarità del caso, ove la sentenza impugnata sia stata resa da un giudice diverso dalla Corte di cassazione, questa debba tecnicamente pronunciarne la cassazione ovvero revocarla: quest'ultima pronuncia è propria del giudice che ha emesso la stessa sentenza quando la riconosce viziata, ma non della Corte di legittimità, che cassa - e cioè annulla - le sentenze (od equiparati provvedimenti) rese da altro giudice. La fase rescissoria, poi, resta vincolata - al pari di quella di ogni altra revocazione - all'affermazione della sussistenza dei presupposti per la revocazione e, quindi, nella specie, della violazione della disciplina convenzionale: sicché quest'ultima non solo dovrà essere eliminata, ma ovviamente non dovrà essere reiterata, con obbligo di conformazione del giudicante equiparabile a quello del giudice del rinvio. Nessun dubbio sulla costituzionalità dell'istituto, visto che è la stessa legge ad imporre al giudicante - a determinate condizioni e nel rispetto di peculiari regole procedurali - di attenersi a quanto altrove stabilito. La stessa fase rescissoria si svolgerà davanti alla medesima Corte di cassazione quando non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto; in caso contrario, essa è devoluta al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata. Per la varietà degli esiti prospettabili in astratto, è impossibile qui prefigurare le alternative possibili all'esito della fase rescissoria: che dovrebbero potere giungere alla rivisitazione ab ovo dell'intera controversia ed all'integrale rinnovazione dell'iter processuale, con restituzione delle parti nelle condizioni in cui si trovavano e nei poteri e prerogative di cui disponevano prima del momento in cui la violazione è stata commessa, onde potere espletare la rispettiva attività senza che la violazione stessa sia perpetrata. Deve quindi, tra tutti, ritenersi doverosa una nuova valutazione delle istanze istruttorie, prima che del merito, ma pure una loro riformulazione complessiva, se del caso orientata al superamento della violazione della normativa convenzionale; dovrebbe restare fermo soltanto il divieto di mutare il thema decidendum e probabilmente il petitum, salve le sole modifiche rese necessarie dalla pronuncia della Corte europea per evitare la reiterazione della violazione; ma non sarebbe certamente nuova una domanda di restituzioni o di ripristino, visto che anzi le une o l'altro conseguono appunto all'accertamento della violazione e della sua incidenza sui “diritti dello stato delle persone”. Sono espressamente regolati, per l'incidenza sulla circolazione dei diritti, solo gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione e della sentenza di accoglimento, sancendosi, in applicazione di principi generali, quale conseguenza dell'ottemperanza all'onere di trascrivere l'una e l'altra, la prevalenza degli effetti favorevoli della revocazione sulle formalità eseguite contro il convenuto successivamente alla trascrizione della domanda. Amplissima la casistica che potrebbe presentarsi, ma pur sempre in dipendenza dalla maggiore o minore ampiezza della nozione di “diritto di stato della persona” ammesso a tutela con la nuova fattispecie di revocazione in esame: anche per le ricadute a cascata sulla validità degli atti negoziali posti in essere da colui nei cui confronti la violazione della disciplina convenzionale sia stata commessa ed in dipendenza della sentenza oggetto di revocazione. E sul punto la tutela dei diritti dei terzi è assicurata quanto meno dagli stretti termini di rilevanza della pubblicità delle domande volte all'inefficacia - a qualunque titolo invocabile - degli atti di disposizione. È vero che i tempi per conseguire la tutela in sede convenzionale sono tali che una trascrizione della domanda di revocazione potrebbe intervenire tardivamente: ma non vi era, verosimilmente, altra strada e troppo invasivi sarebbero stati diversi strumenti di anticipazione della tutela per colui che lamenti la violazione ai suoi danni della disciplina convenzionale. Piuttosto, il criterio direttivo dettato dalla legge delega, alla lett. b) del comma 10 del suo art. 1, chiaramente esigeva la salvezza di tutti i diritti, vale a dire di qualunque specie e non soltanto di quelli elencati nella disciplina delle trascrizioni ed iscrizioni, acquisiti dai terzi in buona fede che non hanno partecipato al processo svoltosi innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo; e a tanto si preoccupa di dare attuazione l'ultimo comma dell'art. 391-quater c.p.c., che appunto, con disposizione generale, recepisce e formula una disposizione di identico tenore testuale. Se si coordina la norma con quella che pone a carico dell'agente del Governo presso la Corte europea dei diritti dell'uomo di dare avviso della pendenza del procedimento relativo alla sentenza poi suscettibile di revocazione anche alle parti del relativo processo, dovrebbe concludersi che terzo di buona fede è certamente l'estraneo a quest'ultimo, ma pure la parte del medesimo la quale non sia stata messa, senza sua colpa, in condizioni di prendere parte al procedimento dinanzi alla Corte europea. È dubbio, però, che possa dirsi tutelato dalla salvezza dei diritti nel frattempo acquisiti il terzo che non ha partecipato a tale procedimento, ma per specifica scelta processuale, cioè per consapevole rinuncia ad una legittima facoltà, esercitabile in base al regolamento di quella Corte, di prendervi parte. Per l'ampiezza della relativa nozione, deve condividersi il rilievo della relazione ministeriale secondo cui la buona fede dovrà valutarsi anche quanto al comportamento dei terzi rispetto al processo convenzionale, dovendosi escludere in presenza di indici che facciano presumere negligenza o deliberata intenzione di sottrarsi alle conseguenze dell'eventuale successiva fase di revocazione del giudicato nazionale. Riferimenti minimi
In generale:
In precedenza, tra molti:
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