L'ordinanza in commento affronta un tema interessante, sul quale non si rinvengono precedenti di legittimità con specifico riferimento all'espropriazione presso terzi, relativo alla titolarità del credito per compensi, dovuto per prestazioni svolte in favore di terzi, del professionista che faccia parte di un'associazione professionale.
Nella specie, le società terze pignorate avevano reso dichiarazione negativa proprio sul presupposto che tutti i rapporti contrattuali erano stati da loro intrattenuti con lo studio associato e non con il singolo professionista. Nei due gradi di giudizio, i Giudici di merito avevano valorizzato il contenuto dello statuto dell'associazione nonché i contratti stipulati con le società terze che, da un lato, prevedevano che all'associazione spettasse la facoltà di riscossione dei crediti degli associati e, dall'altro, che la remunerazione per la carica fosse dovuta all'associazione. Da questi elementi traevano la conclusione che le società pignorate fossero debitrici dell'associazione e non del singolo associato. Tuttavia, la Suprema Corte pone l'accento su alcune circostanze di decisiva importanza. La prima è relativa alla natura personale dell'incarico di membro del collegio sindacale che, in base all'art. 2397 c.c., può essere svolto esclusivamente da una persona fisica, con la conseguenza che il diritto al compenso per prestazione d'opera professionale non può che spettare al sindaco, ferma restando la facoltà di trasferire il credito a terzi. La seconda riguarda invece la facoltà, per l'associazione, di esigere i crediti spettanti ai propri associati; detta possibilità, infatti, secondo i giudici di legittimità concorre con quella del titolare effettivo (ovvero il socio) e non priva quest'ultimo del proprio diritto di credito. Secondo la Corte di cassazione, infatti, il mero trasferimento della legittimazione all'esercizio od all'incasso non è opponibile al creditor creditoris, a differenza della cessione del credito che muta la titolarità soggettiva. I patti interni all'associazione, concernenti l'obbligo per il socio di versare i compensi in favore dell'associazione, costituiscono «un obbligo interno vincolante i soli membri dell'associazione, come tale inopponibile ai creditori del singolo associato, per l'ovvio divieto di stipulare contratti de iure tertii. Ed infatti chi promette di versare al promissario quanto dovuto al promittente da un proprio debitore non rende il promissario creditore di quest'ultimo». Il trasferimento dei compensi, da parte del professionista in favore dell'associazione, è cosa ben diversa dalla cessione del credito che presuppone un atto formale in tal senso. I giudici di legittimità si preoccupano anche di precisare che non attinenti alla fattispecie sono i principi giurisprudenziali richiamati dai resistenti e di recente ulteriormente ribaditi con la decisione Cass. civ., sez. II, ord., 26 gennaio 2022, n. 2332 che ha precisato che «Lo studio professionale associato, ancorché privo di personalità giuridica, rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, con la conseguenza che il giudice di merito, che sia chiamato a delibare in ordine alla legittimazione attiva dello studio professionale, ove accerti che gli accordi tra gli associati prevedono l'attribuibilità degli incarichi professionali anche all'associazione e la spettanza ad essa dei compensi per gli incarichi conferiti ai soci, è tenuto ad individuare il soggetto cui, a prescindere dalla procura "ad litem", sia stato conferito l'incarico professionale, oltre a verificare, sulla base del contenuto degli accordi tra i singoli associati per la disciplina dell'attività comune, l'eventuale attribuzione all'associazione del potere di rappresentanza del singolo associato cui l'incarico sia stato direttamente conferito». Precisa la Corte, infatti, che le decisioni richiamate si limitano ad affermare che la legittimazione dell'associazione ad esigere i crediti dell'associato verso terzo spetta se essa «stipula il contratto e ne delega l'esecuzione» all'associato, e sempre che il giudice di merito «accerti tale circostanza». Ma come detto, nella specie, l'incarico svolto dal professionista non è avvenuto per una mera delega di esecuzione ma per attribuzione diretta e ciò in quanto l'incarico in sé di sindaco, per espressa previsione codicistica, non avrebbe comunque potuto essere svolto da un soggetto diverso dalla persona fisica.