Niente possibilità di riparazione in caso di bancarotta preferenziale ma non se ne capisce il perché

17 Marzo 2023

La Corte di cassazione, sezione V penale, con decisione che parrebbe non essere in linea con la recente giurisprudenza, esclude la possibilità di rinvenire un'ipotesi di “bancarotta riparata” in un caso di pagamento preferenziale di un debito mediante l'istituto della compensazione ex art. 56 l. fall., ritenendo che l'evento del reato di bancarotta preferenziale, consistente nell'alterazione della par condicio, si verifichi nel momento stesso in cui viene accordata preferenza a taluno dei creditori, a scapito degli altri.
Massime

Con riferimento al delitto di bancarotta preferenziale, non può operare l'ipotesi della cd. bancarotta "riparata" in quanto la restituzione della somma o della merce ricevuta dal fallito, se costituisce un elemento che può attenuare o riparare il danno cagionato dal reato, già consumato al momento stesso della dichiarazione di fallimento, non è, però, giuridicamente rilevante al punto da poter scriminare il reato stesso, poiché l'evento del reato di bancarotta preferenziale consiste nell'alterazione della par condicio, nascente nei creditori col sorgere dello stato d'insolvenza, alterazione che si verifica nel momento stesso in cui viene accordata preferenza a taluno dei creditori, a scapito degli altri.

La compensazione volontaria, pur consentita dagli artt. 1252 cod. civ. e 56 legge fall., può integrare il delitto di cui all'art. 216, comma 3, legge fall. nei casi in cui l'accordo sia raggiunto durante la fase di insolvenza e sia finalizzato a favorire alcuni creditori con danno per gli altri.



Il caso

In sede di giudizio di merito, l'amministratore di una società fallita veniva dichiarato colpevole del delitto di bancarotta preferenziale.

Con ricorso per cassazione si contestava la rilevanza riconosciuta alla circostanza che l'imputato avesse utilizzato, per il pagamento dei debiti aziendali, l'istituto della compensazione ex art. 56 l. fall. Secondo la difesa, la compensazione non è meccanismo di per sé illegale in caso di dissesto della società, qualora non vi siano danni conseguenti per i creditori diversi da colui che ha usufruito della compensazione e, per l'appunto, nel caso di specie la compensazione non avrebbe modificato lo stato patrimoniale della società.

In secondo luogo, la difesa richiedeva di riconoscere la sussistenza, nel caso di specie, dell'ipotesi della cd. "bancarotta riparata", per mancanza dell'elemento materiale del reato, costituito dall'aggravio del dissesto e da qualsiasi danno patrimoniale.

Da ultimo, si lamentava la carenza di motivazione con riferimento all'elemento soggettivo del reato, richiamandosi, quali indicatori contrari alla sussistenza del coefficiente doloso, inteso come consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico e patrimoniale derivante dalla preferenza accordata ad uno di essi, la posizione marginale dell'imputato nell'amministrazione della società e l'assenza di competenze giuridiche da parte sua.



La questione

Il delitto di bancarotta preferenziale è diretto a sanzionare o comunque a disciplinare una situazione che frequentemente si verifica nella fase di decozione dell'impresa che precede la dichiarazione di fallimento. In tali convulsi momenti, in cui l'orizzonte temporale delle scelte dell'amministratore è assai limitato, l'imprenditore procede talora al pagamento di singoli creditori a seconda delle richieste di costoro, senza porsi il problema delle modalità con cui potrebbe avvenire il riparto fallimentare, e senza rispettare l'esistenza di eventuali cause di prelazione o di privilegio. In questo modo, tuttavia, entrano in conflitto due interessi ugualmente degni di tutela, quello dei creditori pagati dal fallito e quello dei creditori non ancora soddisfatti: indubbiamente, il contrasto fra queste due categorie di soggetti costituisce una conseguenza fisiologica dell'operare dell'imprese commerciali, ma semprechè l'alterazione dei rapporti fra i creditori dell'impresa non discenda da una condotta intenzionale e volontaria del debitore e la tensione fra i componenti del ceto creditorio non sia il risultato di una sua consapevole scelta.

La norma - art. 216, comma 3, R.D. n. 267 del 1942 - prevede due modalità di condotta per la lesione della par condicio creditorum. La prima ipotesi è l'effettuazione di pagamenti, espressione interpretata, per assicurare un maggior ambito di prensione della previsione punitiva, in senso molto ampio, escludendosi ogni rilevanza ai caratteri del credito soddisfatto (che può essere o meno liquido, esigibile e scaduto, così come è ritenuto irrilevante il momento in cui lo stesso è venuto in essere, potendo risalire anche a prima che si sia manifestato lo stato d'insolvenza, né avendo importanza la normalità o anormalità dei mezzi utilizzati).

Dubbia è la rilevanza dei pagamenti contestuali all'esecuzione, che è quanto frequentemente si verifica quando un'impresa attraversa uno stato di crisi noto alle controparti, le quali per ovvie ragioni acconsentono a proseguire il rapporto contrattuale con la prima fornendogli quanto necessario per la prosecuzione dell'attività nella prospettiva di un suo risanamento, ma il tutto subordinatamente al pagamento contestuale all'acquisto e consegna dei beni richiesti. Posto che la sussistenza del reato presuppone uno stato di insolvenza imminente, situazione che nell'ipotesi che si sta considerando è palese e anche ammessa dall'imprenditore, e stante la circostanza che i crediti in questione sicuramente non godono di alcun regime di privilegio o di prelazione, nulla parrebbe opporsi ad un'applicazione della disposizione incriminatrice in tali circostanze; ciò nonostante, la dottrina prevalente esclude la rilevanza dei comportamenti in esame e ciò in quanto la stessa normativa fallimentare esclude la revocabilità dei pagamenti eseguiti contestualmente alla nascita del rapporto obbligatorio (CONTI, Diritto penale commerciale, II, Torino 1991, 188; PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, in Commentario Scialoja – Branca. Legge fallimentare, a cura di Galgano, Bologna – Roma 1995, 122; PERINI – DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova 2001, 268).

Si tenga presente, comunque, che non sussiste una “preferenza” del debitore, penalmente rilevante, laddove lo stesso si sia limitato a procedere al pagamento dei creditori che ne abbiano fatto richiesta, senza che sia conseguito un danno per gli altri soggetti. In sostanza, non c'è preferenza se il vantaggio di cui il creditore ha usufruito si è concretato in una mera anticipazione del pagamento rispetto ai creditori rimanenti; si ha preferenza solo se il pagamento al singolo determini un mancato soddisfacimento, totale o parziale, delle altre posizioni creditorie (CHIARAVIGLIO, Il favoreggiamento del creditore nel diritto penale concorsuale, Milano 2020, 12).

Il perfezionamento del reato di bancarotta preferenziale richiede un atteggiamento psicologico di dolo specifico, che deve dirigersi verso due obiettivi esterni alla condotta: da un lato, il favoreggiamento di uno o più creditori; dall'altro, la lesione degli interessi degli altri (NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, Milano 1955, 242. Contra, parlando di dolo intenzionale, in quanto il danno dei creditori ed il favoreggiamento di alcuni fra costoro sono componenti del fatto e non eventi ulteriori ad esso, COCCO, La bancarotta preferenziale, Napoli 1987, 231; PROSDOCIMI, Dolo eventualis, Milano 1993, 175. La distinzione è rilevante in quanto a seguire la seconda posizione sicuramente il reato in parola non sussisterebbe nel caso dei cd. pagamenti di salvataggio, di cui si dirà più avanti).

La dottrina e la giurisprudenza assolutamente prevalenti interpretano tale disposizione nel senso che solo il favoreggiamento deve rientrare nel fuoco della volontà dell'agente, mentre il danno degli altri creditori può essere oggetto di un dolo eventuale, non essendo necessario che tale pregiudizio sia voluto direttamente dall'agente, purché tale conseguenza sia stata prevista e consentita, ovvero ne sia stata accettata l'eventualità (Cass., sez. V, 26 agosto 2015, n. 35707; Cass., sez. V, 08 novembre 2016, n. 46689). Il tema non presenta spunti problematici qualora la condotta utilizzata sia consistita nella simulazione di cause di prelazione: la simulazione è condotta intrinsecamente fraudolenta, e la stessa struttura del fatto, essendo le cause di prelazione destinate ad operare in sede di riparto coattivo a tutto ed esclusivo vantaggio del titolare, esclude si possa dubitare della sussistenza in capo all'agente, oltre che della volontà di favoreggiamento, anche di un diretto intento di danno degli altri creditori.

Maggiormente problematico è invece l'esame dell'elemento soggettivo nel caso in cui il delitto sia stato posto in essere a mezzo di pagamenti preferenziali, posto che in questo caso ci si trova di fronte ad un'attività intrinsecamente lecita, che costituisce violazione di una norma penale solo se accompagnata da un determinato atteggiamento della volontà da parte del debitore; diventa, quindi, di fondamentale importanza comprendere se anche l'intento di danneggiare i creditori debba o meno essere oggetto di un dolo specifico. Contrariamente all'opinione dominante, alcuni autori ritengono che solo riconoscendo rilevanza a tale ulteriore direzione della volontà sia possibile discriminare fra pagamenti leciti e pagamenti illeciti effettuati in una fase di crisi economica dell'impresa: secondo tale tesi, nel periodo di insolvenza dell'azienda qualsiasi pagamento effettuato a favore di un singolo creditore può cagionare un danno per gli altri soggetti rientranti nella medesima categoria, per cui o si ritengono vietate tutte le forme di adempimento di obbligazioni nella fase d'insolvenza dell'azienda, o si riconosce rilievo penale a tali pagamenti solo quando effettuati con l'intento, oltre che di favorire il singolo beneficiario (ovviamente necessariamente insito nella stessa scelta di operare il pagamento e quindi scarsamente selettivo nella individuazione delle condotte penalmente rilevanti), di danneggiare i rimanenti creditori (PEDRAZZI, Reati commessi dal fallito, cit., 125).

La tesi da ultimo esposta valorizza adeguatamente la funzione dell'elemento psicologico quale elemento differenziale fra comportamenti leciti e condotte punibili (CHIARAVIGLIO, Il favoreggiamento del creditore, cit., 348) e si presenta conforme all'atteggiamento soggettivo effettivamente rinvenibile in capo al soggetto che opera un pagamento preferenziale: pare, invero, difficile sostenere che ci si possa rappresentare di favorire, nell'ambito di una schiera di soggetti, taluno di loro, senza, correlativamente e quale conseguenza del beneficio arrecato, danneggiare gli altri, e d'altronde di regola il beneficio del creditore favorito è appunto rappresentato dal solo fatto di essere soddisfatto a differenza degli altri (nel senso che l'espressione “favorire” esprima un concetto di relazione, per cui si sarebbe in presenza di un unico fatto riguardato da due ottiche diverse, quella del creditore favorito e quella dei creditori danneggiati, DE SIMONE, La bancarotta preferenziale, in CARLETTI, Diritto penale commerciale, I, Reati nel fallimento e nella altre procedure concorsuali, in Giurisprudenza sistematica di diritto penale, diretta da Bricola e Zagrebelsky, Torino 1990, 173. Nel senso che, ai fini della valutazione del dolo richiesto dalla norma incriminatrice, è del tutto irrilevante l'assenza di ragioni personali che abbiano indotto a trattare il creditore preferito diversamente dagli altri, Cass., sez. V, 8 novembre 2016, n. 46689; Cass., sez. V, 30 giugno 2016, n. 46689, secondo cui il delitto in parola sussiste anche nel caso in cui il pagamento preferenziale non sia stato determinato da particolari ragioni intese a favorire il creditore beneficiario e anche nel caso in cui l'intento che animava l'imprenditore era quello di accogliere le esigenze ritenute più meritevoli; tramite la condotta di pagamenti preferenziali, infatti, l'imprenditore sostituisce criteri fissati normativamente per il riparto con parametri diversi, così consapevolmente preferendo alcuni creditori in luogo di altri).

Il profilo su cui l'esame dell'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale ha maggiore incidenza è però quello della rilevanza penale dei cd. “pagamenti a scopo di salvataggio” ovvero prestazioni effettuate con l'intento di allontanare la possibilità di fallimento nella convinzione di riuscire nel futuro a superare la crisi finanziaria. In proposito, la recente giurisprudenza – in accordo con la dottrina e superando precedenti e più rigorosi orientamenti - nega la rilevanza penale di tale scelta per mancanza dell'elemento psicologico (Cass., sez. V, 3 gennaio 2020, n. 81; Cass., sez. V, 26 agosto 2015, n. 35707), salvo il caso in cui nel corso degli anni l'imprenditore continui ad adempiere le sue obbligazioni nei confronti di fornitori ed istituti di credito (i quali, in caso di inadempimento, facilmente potrebbero ottenere il fallimento dell'azienda), omettendo invece qualsiasi pagamento nei confronti di INPS, Agenzia delle entrate ecc. (evidentemente sapendo che gli enti previdenziali ed erariali si muoveranno con molto ritardo per ottenere il dovuto), così che, una volta dichiarato il fallimento, la massa creditoria sarà composta in assoluta prevalenza dagli enti previdenziali ed erariali che vedranno anche completamente insoddisfatte le proprie pretese: in tale circostanza all'imprenditore viene contestato - accanto alle fattispecie criminose di cui D.Lgs. n. 74 del 2000 ed ai reati previsti in materia previdenziale e di sostituto d'imposta, anche - il delitto di bancarotta preferenziale (Cass., sez. V, 26 settembre 2013, n. 48802).

Chiaramente, la tesi che riconosce – se non la legittimità, quanto meno – la penale irrilevanza dei pagamenti effettuati nel desiderio di evitare il fallimento della propria azienda, pur se condivisibile e condivisa dalla maggioranza della dottrina (con ragioni che vanno dall'assenza di un dovere di fallire in capo all'imprenditore - PERINI – DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit. 286 -, all'assenza del dolo richiesto dalla norma – MANGANO, Disciplina penale del fallimento, Milano 1993, 57 -, alla presenza eventualmente di un atteggiamento colposo in capo all'imprenditore – CONTI, Diritto penale commerciale, cit., 192), si fonda su un evidente presupposto, ovvero la circostanza che l'imprenditore creda effettivamente nelle prospettive di salvataggio dell'impresa: solo se è fondata tale convinzione si potrà sostenere che la condotta del debitore, pur se poneva in pericolo gli interessi degli altri creditori avvantaggiando al contempo uno di loro, non era assistita dal dolo specifico richiesto dall'art. 216, comma 3, R.D. n. 267 del 1942.

Con riferimento alla cd. “bancarotta riparata”, la Corte di legittimità è divisa sull'effetto e sulla rilevanza che le condotte restitutorie e riparatorie hanno rispetto all'applicabilità ed alla sussistenza della fattispecie di bancarotta fraudolenta. In alcune pronunce si legge che “non è integrato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216 comma 1° n. 1 L.F.) nel caso in cui la somma sottratta dalle casse sociali, riportata da relativa annotazione contabile, sia incontrovertibilmente riversata nella sua integralità – dai soci che l'avevano prelevata – nelle casse della società prima della dichiarazione di fallimento; infatti, ancorché il delitto di bancarotta abbia natura di reato di pericolo, per l'individuazione del relativo momento consumativo deve aversi riguardo alla dichiarazione giudiziale di fallimento e non già all'atto antidoveroso, con la conseguenza che la valutazione del pregiudizio ai creditori deve essere valutata al momento di tale dichiarazione e non a quello della storica commissione della condotta” (Cass., sez. V, 26 gennaio 2006, n. 7212), ma non mancano pronunce secondo cui “in tema di bancarotta fraudolenta, la sottrazione dei beni si perfeziona nel momento del loro distacco dal patrimonio della società, con la conseguenza che il pagamento integrale dei crediti ammessi al passivo costituisce un posterius che non riveste alcuna incidenza sulla fattispecie giuridica in questione ormai perfetta” (Cass., sez. V, 16 marzo 2005, n. 17384).

La perdurante rilevanza penale delle condotte di bancarotta, peraltro, risulta sostenuta anche da alcuni autori secondo cui, pur in presenza di una successiva restituzione dei beni, al momento del fallimento permane comunque quella lesione patrimoniale senza la quale le precedenti condotte perdono ogni attualità di significato e, di conseguenza, ogni rilievo penale.



La decisione della Cassazione

Il ricorso è stato dichiarato nella specie inammissibile perché manifestamente infondato, sotto due diversi profili.

Anzitutto, con riferimento alla tematica della “bancarotta riparata”, la Cassazione - dopo aver evidenziato come nel ricorso non fosse precisato quale condotta sarebbe stata di "riparazione" e quando sarebbe avvenuta, dovendo l'amministratore provare l'esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (Cass., sez. V, 24 novembre 2017, n. 57759) - esclude che la cd. “bancarotta riparata” possa essere ipotesi che ricorre in presenza di pagamenti preferenziali. Con l'espressione in discorso, infatti, si fa riferimento alla circostanza in cui non sussiste l'elemento materiale del reato, in quanto la sottrazione dei beni risulta essere stata in seguito annullata da un'attività di segno contrario, che abbia reintegrato il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, evitando così che il pericolo per la garanzia dei creditori derivante dalla precedente condotta distrattiva acquisisca effettiva concretezza (Cass., sez. V, 20 ottobre 2015, n. 4790; Cass., sez. V, 7 luglio 2015, n. 50289). Ciò posto, la Cassazione esclude che si possano rinvenire ipotesi di bancarotta "riparata" in caso di delitto di bancarotta preferenziale in quanto la restituzione della somma o della merce, se costituisce un elemento che può attenuare o riparare il danno cagionato dal reato, già consumato al momento stesso della dichiarazione di fallimento, non è, però, giuridicamente rilevante al punto da potere scriminare il reato stesso, poiché l'evento del reato di bancarotta preferenziale consiste nell'alterazione della par condicio, nascente nei creditori col sorgere dello stato d'insolvenza; alterazione che si verifica nel momento stesso in cui viene accordata preferenza a taluno dei creditori, a scapito degli altri.

In sostanza, considerando la specificità del pericolo di lesione degli interessi creditori che caratterizza la fattispecie incriminatrice di bancarotta preferenziale, non vi è spazio per configurare l'insussistenza del reato di cui all'art. 216, comma terzo, l. fall., tentando la riparazione o l'attenuazione del danno cagionato dal reato, che si realizza già con l'alterazione della par condicio tra i creditori della società in decozione, al momento della dichiarazione del fallimento. D'altronde, se il senso della ragione scriminante individuata nella "riparazione" del danno distrattivo è quello di evitare che il pericolo per la garanzia dei creditori acquisisca effettiva concretezza, fissando come dead line finale la dichiarazione di fallimento, oltre la quale ogni tentativo di riparare il danno perde il proprio senso, non vi è differenza alcuna tra le ipotesi di bancarotta previste dall'art. 216 I. fall., poiché occorre, in ogni caso, che il pericolo o il danno provocato siano riparati prima della sentenza di fallimento.

Quanto alla possibilità di commettere il reato di bancarotta preferenziale facendo ricorso alla compensazione, la decisione conferma che la compensazione volontaria, pur consentita dagli artt. 1252 cod. civ. e 56 legge fall., può integrare il delitto di cui all'art. 216, comma 3, legge fall. nei casi in cui l'accordo sia raggiunto durante la fase di insolvenza e sia finalizzato a favorire alcuni creditori con danno per gli altri (Cass., sez. V, 26 aprile 2022, n. 26412).

Questa conclusione consente alla Corte anche di esaminare il profilo dell'elemento soggettivo – la cui sussistenza il ricorrente contesta richiamando, quali indicatori contrari alla sussistenza del coefficiente doloso, inteso come consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico e patrimoniale derivante dalla preferenza accordata ad uno di essi, la posizione marginale dell'imputato nell'amministrazione della società e l'assenza di competenze giuridiche da parte sua –, che è costituito dal dolo specifico, ravvisabile ogni qualvolta l'atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a favorire un creditore, riflettendosi contemporaneamente, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per altri.

Nel caso di specie, infatti, l'intento di favorire alcuni creditori rispetto ad altri è ricostruito in maniera molto chiara dalle pronunce di merito e desunto dai legami, anche di natura familiare, che univano la fallita e la società creditrice beneficiata dal pagamento preferenziale del proprio credito.



Considerazioni conclusive

La sentenza della Cassazione non pare pienamente condivisibile nella parte in cui –in termini confusi – esclude la possibilità di rinvenire un'ipotesi di “bancarotta riparata” in caso di pagamenti preferenziali o di condotte di alterazione dell'ordine di soddisfazione dei creditori stabilito dalla legge nel rispetto del principio della par condicio che siano consistite (non nella simulazione di cause di prelazione, ma solo) nell'effettuazione di prestazioni obbligatorie consistenti nel versamento di somme di denaro ad alcuni dei creditori sociali, privilegiati illecitamente rispetto ad altri.

In relazione a questa fattispecie di reato, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la stessa si consuma solo con la dichiarazione di fallimento (Cass., sez. V, 14 ottobre 2014, Grillo) e d'altronde è solo con l'apertura della procedura concorsuale che è ipotizzabile – a parare di chi scrive - un vulnus alla cosiddetta par condicio creditorum - nozione che prima della dichiarazione di insolvenza non ha alcuna rilevanza. Detto altrimenti, ciascun imprenditore è assolutamente libero di scegliere autonomamente le modalità e l'ordine con cui pagare i vari creditori sociali, venendo meno tale discrezionalità solo con l'apertura della procedura fallimentare, la cui disciplina in tema di cause di privilegio e sussistenza di diritti reali di garanzia può rendere penalmente rilevante l'antecedente effettuazione di pagamenti fatti dal fallito a scopo preferenziale.

Se quanto detto sopra è corretto, ne discende allora che eventuali condotte riparatrici dell'imprenditore effettuate prima della dichiarazione di fallimento in relazione a precedenti fatti di bancarotta preferenziale hanno efficacia assoluta nell'escluderne la rilevanza penale. Infatti, se l'imprenditore reimmette autonomamente - senza cioè coinvolgere in tale attività di distribuzione il creditore favorito - nel patrimonio dell'impresa una somma di denaro corrispondente al valore versato in precedenza al creditore, la procedura concorsuale sarà senz'altro favorita da tale comportamento, posto che la massa fallimentare, al momento della dichiarazione d'insolvenza, avrà una consistenza analoga a quella che avrebbe avuto laddove non fosse stato effettuato il pagamento preferenziale, ma al contempo sulla stessa non graverà l'onere dell'adempimento dell'obbligazione al cui soddisfacimento ha provveduto autonomamente, con il proprio patrimonio, l'imprenditore fallito.

Di contro, se l'imprenditore convince in qualche modo il creditore a restituire, prima della richiesta di fallimento, le somme ricevute a titolo di pagamento, ebbene il curatore potrà procedere ad un corretto riparto dell'attivo fra diversi creditori senza alcuna illecita violazione della par condicio, atteso che la lesione che a tale bene giuridico avrebbe potuto arrecare il precedente pagamento è stata in radice eliminata con l'accordo in base al quale il creditore favorito ha proceduto alla restituzione delle somme ricevute illecitamente.



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