Il litisconsorzio nel processo tributario in grado di appello
20 Marzo 2023
Massima
Sul litisconsorzio necessario nel processo tributario in appello, la Suprema Corte ha rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla operatività degli artt. 331 e 332 c.p.c(che disciplinano l'integrazione del contraddittorio in cause inscindibili o tra loro dipendenti e la notificazione dell'impugnazione nelle cause scindibili), in rapporto all' art. 53, comma 2, del d.lgs. 546/1992. Il caso
Avverso un avviso di accertamento per omesso pagamento di tributi, la società contribuente ha proposto ricorso, parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale. Tale decisione è stata impugnata in appello dalla Agenzia delle Entrate innanzi alla Commissione tributaria regionale, che ha ritenuto fondato il gravame, rigettando, inoltre, l'appello incidentale della società originaria ricorrente. Avverso tale pronuncia quest'ultima ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo la nullità del processo di secondo grado e della sentenza impugnata, nonché la mancata integrazione del contraddittorio, stante la violazione degli artt. 53 del d.lgs. n. 546/1992 e 331 cod. proc. civ. Sul punto, la ricorrente ha eccepito che l'appello non fosse stato notificato a tutte le parti del processo di primo grado e che la Commissione tributaria regionale, nonostante ne fosse stata specificatamente sollecitata, non avesse ordinato la necessaria integrazione del contraddittorio. Quanto sopra rilevava, anzitutto sotto il profilo della violazione dell'art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 (cd. codice del processo tributario), nonché con riguardo alla violazione dell'art. 331 c.p.c. e, infine, sotto l'ulteriore profilo della violazione dell'art. 54 d.lgs. n. 546/1992, volto ad assicurare la corretta proposizione dell'appello incidentale ed il conseguimento di un giudicato vincolante, anche nei confronti delle parti non evocate nel giudizio di secondo grado. La questione
La questione esaminata dalla Suprema Corte è quella relativa alle conseguenze della mancata osservanza dell'art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 – il quale prescrive che l'appello vada «proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado» – e, soprattutto se, nel giudizio tributario di secondo grado, siano, in relazione alla predetta norma, applicabili gli artt. 331 e 332 c.p.c. La normativa applicabile alla fattispecie è quella degli artt. 53 e 54 del d.lgs. n. 546/1992, che governano la proposizione dell'appello, la costituzione dell'appellato, nonché la proposizione dell'appello incidentale nel processo tributario. Si aggiunga che, l'art. 49 del medesimo d.lgs. n. 546/1992, specificatamente dettato in materia di impugnazione, prevede espressamente l'applicabilità, alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie, delle norme del codice di procedura civile dettate per il giudizio di appello, tra le quali, con riferimento alla fattispecie, gli artt. 331 e 332 c.p.c., che disciplinano rispettivamente l'integrazione del contraddittorio in cause inscindibili o tra loro dipendenti e la notificazione dell'impugnazione nelle cause scindibili. Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione ha rilevato che esistono due diversi orientamenti giurisprudenziali con riferimento al tema del litisconsorzio nel processo tributario in grado di appello, che sfociano in diverse discipline riguardo all'applicabilità degli artt. 331 e 332 c.p.c. Un primo orientamento, per il quale l'art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 - che impone all'appellante di notificare l'impugnazione a tutte le parti del giudizio di primo grado - determina un litisconsorzio necessario di natura processuale; ipotesi questa che si verifica quando la presenza di una pluralità di parti nel giudizio di primo grado deve necessariamente continuare a sussistere anche nel giudizio ai appello, onde evitare che, in sua mancanza, vi possano essere giudicati contrastanti tra soggetti che abbiano partecipato al medesimo giudizio di primo grado. Tale interpretazione riposta sulla necessaria partecipazione alla fase d'impugnazione, conseguenza questa della partecipazione di tutte le parti al giudizio di primo grado (Cass. civ. 19 agosto 2020, n. 28562; Cass. civ. 14 dicembre 2019, n. 33028; Cass. civ. 9 dicembre 2019, n. 32085). Da ciò deriverebbe l'applicabilità dell'art. 331 c.p.c., il quale prevede che, laddove la sentenza non sia stata impugnata nei confronti di tutte le parti, il giudice ordini l'integrazione del contradittorio, fissando il termine per la notifica. Pertanto, in forza di tale orientamento, l'omessa impugnazione della sentenza - nel processo tributario d'appello - nei confronti di tutte le parti non determina l'inammissibilità del gravame, ma fa sorgere la necessità per il giudice di ordinare l'integrazione del contraddittorio, ex art. 331 c.p.c., nei confronti della parte pretermessa, con la conseguenza che, laddove il giudice non emetta tale ordine, sarà nullo l'intero procedimento di impugnazione, nonché la relativa sentenza; e che la suddetta nullità rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità (Cass. civ. 30 ottobre 2018, n. 27616; Cass. civ. 27 maggio 2015, n. 10934). Tale impostazione si fonda, a ben guardare, sull'applicabilità al processo tributario dell'art. 331 c.p.c., a sua volta riferito all'ipotesi di cause inscindibili o dipendenti, e ne fa conseguire la necessità di ordinare il contraddittorio in forza di quanto dettato dall'art. 53, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, il quale, di per sé, non contiene, invece, alcuna indicazione applicativa sulla inscindibilità o dipendenza delle cause. Altro orientamento giurisprudenziale, che prende le mosse dal presupposto della scindibilità delle cause ex art. 332 c.p.c., ritiene, invece, che non sia affatto necessario disporre la notifica dell'appello e, conseguentemente, l'integrazione del contradittorio, nei confronti della parte che, pur presente nel giudizio di primo grado, si riveli estranea al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, senza, pertanto, che sussista, in tal caso, la violazione dell'art. 53, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 (Cass. civ. 5 novembre 2021, n. 31922; Cass. civ. 14 luglio 2021, n. 20038). Stando a tale impostazione, l'art. 53, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 non ha introdotto, nel processo tributario di appello, una ipotesi di litisconsorzio processuale applicabile indipendentemente dalla valutazione sulla scindibilità o meno delle cause, in quanto ciò escluderebbe l'applicazione dell'art. 332, comma 1, c.p.c. nel processo tributario. Conseguenza di tale orientamento è che, nella fattispecie di cui all'art. 332 c.p.c., non vi sia necessità di integrare il contraddittorio con riguardo alle parti pretermesse, rispetto alle quali sia decorso il termine per l'impugnazione (Cass. civ. 27 ottobre 2017, n. 25588) Osservazioni
La questione affrontata dalla Suprema Corte è quella di stabilire se l'art. 53, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992 si riferisca - come indicato da un orientamento giurisprudenziale - ad una fattispecie di litisconsorzio necessario di natura processuale, in presenza del quale è sempre e comunque necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo grado. Tale necessità si avrebbe, quindi, indipendentemente dalla valutazione sulla inscindibilità o meno e sulla dipendenza delle cause e quindi indipendentemente dalla applicabilità o meno degli artt. 331 e 332 c.p.c., con tutte le conseguenze che ne possono derivare, laddove l'integrazione del contraddittorio non venga ordinata, in ordine alla declaratoria di nullità dell'intero procedimento di impugnazione e della sentenza che lo abbia definito. Oppure - come, invece, ritenuto da altro orientamento della Cassazione - se la suddetta norma non faccia venir meno, nel processo tributario di appello, l'applicabilità degli artt. 331 e 332 c.p.c., con conseguente necessità ed obbligatorietà di integrare il contraddittorio solo nella ipotesi di cause inscindibili o dipendenti. In presenza, sul punto, di orientamenti giurisprudenziali diversi, la Suprema Corte ha quindi ravvisato la necessità, trattandosi di questione di diritto di particolare importanza, di rimettere gli atti ai sensi dell'art. 374, comma 2, c.p.c., perché le Sezioni Unite individuino una interpretazione univoca. Riferimenti
|