Licenziamento collettivo “a bacino ristretto”: ibridazione del criterio della fungibilità professionale mediante il fattore geografico ed economico

Teresa Zappia
21 Marzo 2023

I criteri di scelta dei lavoratori da licenziare possono essere applicati anche solo in relazione agli occupati presso determinate unità produttive, rilevando la distanza territoriale e gli esborsi collegati agli oneri economici necessari per la formazione indispensabile.
Massima

Sebbene l'individuazione dei lavoratori da licenziare debba avvenire in relazione all'intero complesso aziendale, la delimitazione dell'ambito di applicazione dei criteri di scelta è consentita quando dipenda dalle stesse ragioni tecniche, produttive e organizzative determinanti l'esubero, potendo costituire un elemento condizionante anche la distanza territoriale tra le diverse sedi e la necessità di procedere alla doverosa formazione, con conseguente rallentamento della produttività aziendale.

Fatto

La Corte di Appello rigettava il reclamo della lavoratrice avverso la sentenza del Tribunale con la quale era stata esclusa la illegittimità del recesso datoriale all'esito di una procedura di licenziamento collettivo.

La decisione veniva impugnata innanzi alla Corte di Cassazione. La ricorrente lamentava l'insufficienza della comunicazione di cui al comma 9 dell'art. 4 L. n. 223/1991 in ordine alle modalità di attuazione dei criteri di scelta, nonché la violazione dei suddetti criteri in quanto alcune lavoratrici madri, ricomprese nell'elenco dei dipendenti da licenziare nel termine dei 120 giorni dalla conclusione della procedura, sarebbero state trasferite, pur avendo un punteggio inferiore alla ricorrente.

Veniva censurata la sentenza impugnata anche per aver ritenuto che i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, diversi da quelli legali, possano essere comunicati sin dalla dichiarazione di apertura della procedura di licenziamento collettivo. Ad avviso della ricorrente, infatti, si finirebbe in tal modo per far coincidere la procedura di informazione e consultazione con quella di selezione del personale da licenziare. Ad avviso della lavoratrice, infine, la scelta avrebbe dovuto interessare l'intero complesso aziendale.

La questione

La limitazione del licenziamento collettivo ad alcune unità produttive può essere giustificata anche in ragione della distanza territoriale tra le sedi del complesso aziendale?

La soluzione della Corte

Il ricorso è stato rigettato. Richiamando l'orientamento giurisprudenziale in materia, la Corte ha rammentato che la procedimentalizzazione dei licenziamenti collettivi - derivanti dall'esercizio non censurabile della libertà di impresa garantita dall'art. 41 Cost. - ha la sola funzione di consentire il controllo sindacale sulla effettività della determinazione datoriale. Il controllo, pertanto, è devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione, mentre il giudice, in sede contenziosa, non è chiamato ad esaminare gli specifici motivi di riduzione del personale, ma solo la correttezza procedurale dell'operazione, compresa la sussistenza dell'imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso.

La Corte ha, pertanto, ritenuto inammissibili le censure tese a contestare specifiche violazioni delle prescrizioni normative citate senza fornire la prova di maliziose elusioni dei poteri di controllo delle organizzazioni sindacali e delle procedure di mobilità, con discriminazioni tra i lavoratori. In sede di legittimità, infatti, non potrebbe essere chiesta un'indagine sulla presenza di "effettive" esigenze di riduzione o trasformazione dell'attività produttiva.

In relazione alle doglianze sulla incompletezza della comunicazione ex art. 4 L. n. 223/1991, la Corte ha ritenuto congrua la motivazione del giudice di appello, non potendo essere sindacato in risultato interpretativo in sé.

Quanto alla dedotta individuazione, già in sede di comunicazione di apertura, dei dipendenti destinatari del licenziamento, la Corte ha rilevato che tale situazione è ravvisabile nell'ipotesi - non ricorrente nel caso trattato - di una comunicazione datoriale contenente soltanto i nomi dei licenziandi e le relative qualifiche, indicando solo marginalmente i motivi tecnici determinanti la riduzione del personale, con conseguente incidenza sul potere di controllo riconosciuto alle OO.SS. Nella fattispecie trattata, invece, erano stati positivamente confrontati i contenuti della comunicazione con le finalità informative cui per Legge essa è preordinata.

Le ulteriori deduzioni fondate su circostanze di fatto (ad esempio il mantenimento in servizio delle lavoratrici madri trasferite) sono state dichiarate inammissibili in quanto, a fronte delle argomentazioni della Corte territoriale, non era stata chiarita la cornice giuridica nelle quale le deduzioni medesime erano state inquadrate, il che doveva ritenersi adempimento indispensabile al fine di comprendere la reale portata delle doglianze e di verificarne la decisività.

Quanto alla limitazione della platea degli esuberi a singole unità produttive anziché in riferimento all'intero complesso aziendale, la Corte di Cassazione ha condiviso la motivazione della decisione impugnata, ritenendo legittima tale delimitazione in considerazione dell'ambito del progetto di ristrutturazione aziendale e delle ragioni tecnico-produttive esposte nella comunicazione iniziale, evidenziando che l'art. 5 co. 1 L. n. 223/1991, prima di imporre l'osservanza dei criteri di scelta, richiama le esigenze tecnico- produttive ed organizzative quale criterio per valutare il nesso di causalità tra la decisione dell'imprenditore di ridurre il personale e quella di licenziare i lavoratori entro un determinato ambito aziendale.

Nella suddetta verifica era stata condizionante anche la distanza geografica tra le unità produttive soppresse o ridimensionate e le altre unità, ritenuta espressione di un indice di infungibilità delle posizioni lavorative, tale da legittimare e rendere ragionevole la delimitazione della platea dei licenziandi alle sole sedi nelle quali si era verificata la situazione di crisi. Nella comunicazione di apertura della procedura, infatti, erano state analiticamente indicate le ragioni che non consentivano di estendere l'ambito della comparazione al personale con mansioni omogenee impiegato presso unità produttive non toccate dal progetto di ristrutturazione e ridimensionamento aziendale. Ciò rendeva giustificata la scelta operata, tenuto anche conto che il potenziale coinvolgimento di tutti i dipendenti con mansioni omogenee avrebbe richiesto ulteriori esborsi collegati agli oneri economici necessari per l'indispensabile formazione, con rallentamento dei tempi di produttività.

Nel caso di specie, la Corte d'appello aveva accertato la conclusione di un accordo della società datrice con le organizzazioni sindacali sulla limitazione di applicazione dei criteri legali alle sole sedi da sopprimere. Sul punto i giudici di legittimità hanno rammentato che, sebbene al datore sia imposta una valutazione globale, non può escludersi che il risultato comparativo possa essere quello di accordare prevalenza alle esigenze tecnico-produttive, essendo questo il criterio più coerente con le finalità perseguite attraverso la riduzione del personale, purché tale scelta trovi giustificazione in fattori obiettivi, la cui esistenza sia provata in concreto dal datore e non sottenda intenti elusivi o ragioni discriminatorie.

L'accordo suddetto non era stato ritenuto né discriminatorio, né contrario a ragionevolezza, giudicandosi legittima la delimitazione della platea dei lavoratori da licenziare in quanto coerente con le ragioni esposte nella comunicazione di apertura, nonché frutto di una scelta improntata a criteri di ragionevolezza e congruità fondata su fattori obiettivi riconducibili in sintesi agli insostenibili costi e tempi richiesti dal coinvolgimento nella procedura collettiva di tutto il personale.

Osservazioni

La decisione in commento affronta nuovamente il problema della legittimità, nell'ambito di un licenziamento collettivo, della limitazione della scelta datoriale ad alcune soltanto delle unità produttive costituenti l'intero complesso aziendale, qualora le ragioni determinanti l'esubero siano riferibili soltanto a tali unità.

Esaminando il dato normativo, è possibile constatare come l'art. 5 della L. n. 223/1991 operi un doppio richiamo alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative: nella individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità e nei criteri legali, operanti laddove non ne siano individuati diversi in accordo con le oo.ss. La funzione selettiva assegnata in sede negoziale alle esigenze summenzionate ben potrebbe verificarsi qualora vi sia un progetto di ristrutturazione aziendale che si riferisca esclusivamente e genuinamente, ossia non in modo artificioso, ad un solo settore o unità produttiva. A ciò dovrebbe aggiungersi la sussistenza di una specifica ragione oggettiva che renda impraticabile una considerazione complessiva dell'azienda, ad esempio l'infungibilità professionale dei lavoratori interessati rispetto a quelli operanti presso altre sedi.

Pertanto, seguendo il duplice richiamo di cui all'art. 5 prefato, determinata sulla base del piano di ristrutturazione localizzato la porzione di azienda da sopprimere o ridimensionare, l'individuazione dei lavoratori destinatari del licenziamento potrà essere orientata dalle medesime ragioni tecnico-produttive e organizzative, in quanto indicate come criteri di scelta, senza coinvolgere l'intero organico (c.d. ricaduta soggettiva dell'esigenza oggettiva).

Nei licenziamenti c.d. “a bacino ristretto”, però, sebbene sia presupposta una ristrutturazione localizzata, non sempre il licenziamento collettivo può essere limitato anche sotto il profilo soggettivo, ben potendo interessare i lavoratori impiegati nell'intero complesso aziendale in ragione della fungibilità in concreto delle loro posizioni, salvo che venga dimostrata da parte del datore l'impraticabilità obbiettiva di una comparazione. Diversamente, infatti, si rinverrebbe un concreto rischio di licenziamenti fondati su una decisione unilaterale e potenzialmente discriminatoria del datore stesso. Ciò che deve essere garantito, dunque, anche nella limitazione soggettiva, è che la scelta sia connotata da oggettiva ragionevolezza, nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza, intesi come regola di equilibrata conciliazione dei conflittuali interessi delle parti.

Nella comunicazione di cui all'art. 4, co. 3, L. n. 223/1991, dunque, il datore è tenuto ad indicare in modo specifico le ragioni che rendono impraticabili misure diverse dai programmati licenziamenti “a bacino ristretto”, con l'onere di provare l'effettiva sussistenza delle stesse ragioni, non potendo la riduzione del personale essere subordinata al mero dato fattuale dell'adibizione del singolo lavoratore all'unità produttiva soppressa o ridotta, trascurandosi il possesso di professionalità equivalenti a quella di addetti ad altre sedi. La comparazione dei lavoratori da licenziare, infatti, deve essere effettuata, in presenza di professionalità fungibili e omogenee nelle diverse unità produttive dell'azienda, tra tutti i dipendenti appartenenti all'intero complesso aziendale.

Sul punto ci si è chiesti se la distanza tra le sedi, comportando il necessario trasferimento del/i lavoratore/i interessato/i dal licenziamento, possa o meno costituire un motivo “oggettivo e ragionevole” della limitazione soggettiva. In merito sono rinvenibili due orientamenti.

Secondo la prima tesi giurisprudenziale (caso Ericsson), il datore deve indicare nella summenzionata comunicazione anche le ragioni per cui non ritenga di procedere al trasferimento presso altre unità produttive del personale in esubero, consentendo alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Non potrebbe assumere rilievo, ai fini dell'esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità, addetti alle sedi non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la sola circostanza che il mantenimento in servizio esigerebbe il trasferimento dei dipendenti con aggravio di costi per l'azienda e interferenza sull'assetto organizzativo. Tra i parametri di cui all'art. 5, L. n. 223/1991, infatti, non è contemplata la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale o la dislocazione territoriale delle sedi, rispondendo la regola legale all'esigenza di assicurare che i procedimenti di ristrutturazione delle imprese abbiano il minor impatto sociale possibile. D'altronde, non potrebbe aprioristicamente escludersi che il lavoratore, destinatario del provvedimento di trasferimento, preferisca una diversa dislocazione alla perdita del posto di lavoro (da ultimo: Cass., n. 5155/2023).

Seguendo, invece, la seconda posizione ermeneutica (filone Almaviva, del quale è conferma la decisione in commento) la delimitazione dell'ambito di comparazione alla sola sede soppressa/riorganizzata si renderebbe necessaria qualora l'infungibilità delle professionalità interessate sia desumibile dalla distanza geografica tra le diverse unità produttive e dalla necessità di attuare "interventi formativi, organizzativi e logistici", determinanti notevoli esborsi per la parte datoriale.

La domanda che ci si pone, pertanto, è questa: possono la necessità di procedere a trasferimenti (anche in blocco) dei lavoratori e la esigenza di provvedere all'indispensabile loro formazione ritenersi ragioni idonee a fondare una legittima delimitazione dell'area di comparazione del personale impiegato?

Ad avviso di chi scrive, solo la peculiarità dell'inquadramento professionale e la specificità delle mansioni svolte dai dipendenti potrebbero concretamente giustificare la limitazione soggettiva della procedura di licenziamento ad una determinata unità. La diversa collocazione geografica delle sedi, dunque, non potrebbe costituire di per sé solo un indice di infungibilità delle posizioni lavorative, potendo tale ragione rilevare solo ove risulti l'infungibilità delle professionalità in esubero, tenuto anche conto che il dipendente ben potrebbe preferire la dislocazione alla perdita del lavoro (Cass. n. 18847/2016 e n. 8474/2005). In ordine al problema degli esborsi derivanti dalla dislocazione territoriale, dal quale deriverebbe la conclusione dell'insostituibilità del personale, esso costituirebbe un'argomentazione estranea alla voluntas legis, quale chiaramente desumibile dal tenore testuale dell'articolo 5 L. n. 223/1991 che non include espressamente, tra i parametri valutabili, anche la sopravvenienza di costi aggiuntivi connessi al trasferimento di personale. In tale ottica si dovrebbe attribuire un peso rilevante, ai fini del giudizio di legittimità del licenziamento, alla circostanza che la comparazione tra i lavoratori interessati abbia tenuto in debita considerazione anche la disponibilità dei singoli a prestare servizio in diversi settori o in altre sedi.

Si osserva, inoltre, che anche laddove i criteri di scelta siano stati stabiliti d'accordo con le oo.ss., la giurisprudenza ha escluso che la mera appartenenza del lavoratore all'unità soppressa possa costituire elemento rilevante ex se in quanto, sebbene suddetti criteri possano essere difformi da quelli legali, essi devono comunque rispondere a requisiti di obiettività e razionalità, proprio perché l'accordo adempie a una funzione regolamentare delegata dalla legge. Si esclude, quindi, che il contradditorio con le rappresentanze sindacali possa, di per sé solo, connotare di razionalità il criterio individuato, automaticamente legittimando la limitazione dell'ambito della scelta ad alcune sedi e non all'intero complesso aziendale.

Si osserva, infine, che il parametro professionale mal si presta a giustificare la delimitazione in ipotesi in cui l'organizzazione aziendale è per sua natura caratterizzata da una pluralità di sedi, articolate sul territorio, aventi un'organizzazione sostanzialmente standardizzata e connotata dal ricorso a professionalità sovrapponibili. In situazioni di questo tipo la giurisprudenza ha modulato il parametro di legittimità del licenziamento a “bacino ristretto” coniugando il criterio della fungibilità con il dato territoriale, sicché, a parità di figure professionali, una certa distanza chilometrica andrebbe a permeare il parametro professionale, rendendo impraticabile una comparazione complessiva. Un'infungibilità di fatto collegata a ragioni di opportunità economica piuttosto che di concreta insostituibilità dell'organico, dal momento che a venire in considerazione sarebbero anche i costi collegati alla formazione del personale, nonché gli esborsi connessi ad una comparazione estesa. Si assiste, pertanto, ad una sostanziale ibridazione del profilo professionale con quello geografico ed economico, giungendosi ad una sorta di infungibilità professionale automatica: se le sedi sono tra di esse distanti geograficamente e la formazione costituisce un passaggio obbligato, la comparazione estesa all'intero complesso aziendale finirebbe con l'essere sempre esclusa in radice.

Per approfondire

L. Tebano, Il licenziamento collettivo a bacino ristretto nell'evoluzione giurisprudenziale, in Riv. it. dir. lav., 2022, 4, 543 ss.

F. Di Noia, La cassazione ritorna sulla selezione dei lavoratori nei licenziamenti collettivi, in Lav. giur., 2019, 6, 599 ss.

C. Favretto, Sulla delimitazione dell'ambito oggettivo di riferimento per i licenziamenti collettivi: comunicazione di avvio della procedura, area di comparazione ed efficacia dell'accordo collettivo, in Arg. dir. lav., 2018, 1, 316 ss.

M. Ricci, A. Olivieri, C. Corbo, I licenziamenti collettivi, in G. Gragnoli (a cura di), L'estinzione del rapporto di lavoro, Padova, 2017.

M. Congeduti, L'estensione dei criteri di scelta per i licenziamenti collettivi all'"intero complesso aziendale", in Lav. giur., 2013, 11, 1013 ss.

D. Casale, I criteri di scelta nei licenziamenti collettivi, in Arg. dir. lav., 2007, 1138 ss.

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