La solitudine del whistleblower: interamente a suo carico la prova delle misure ritorsive

21 Marzo 2023

La Corte d'Appello di Milano interviene su un noto caso di whistleblowing, affermando - in controtendenza rispetto all'unanime dottrina - che la prova delle misure ritorsive è integralmente a carico del segnalante, non potendosi rinvenire nell'art. 54-bis d.lgs. n. 165/2001 alcuna inversione dell'onere probatorio.
Il caso

Torna all'esame della giurisprudenza di merito un caso già oggetto di commento su questa rivista (D. Tambasco, Le misure di protezione a favore del whistleblower all'esame della giurisprudenza di merito e delle linee guida ANAC: effettività della tutela o diabolica probatio?, in IUS Lavoro (ius.giuffrefl.it), 21 febbraio 2022).

Si tratta della vicenda relativa a un dipendente di un'azienda di trasporti, il quale aveva denunciato più volte (prima in via informale, poi attraverso i canali ufficiali di segnalazione) l'esistenza di una truffa ai danni dell'azienda consistente nella stampa di un ingente quantitativo di titoli di viaggio non contabilizzati, rivenduti da alcuni sportellisti incassando indebitamente i relativi importi.

Pochi mesi dopo le formali segnalazioni aveva inizio una incessante serie di contestazioni disciplinari (quattro), di denunce penali (due), di sospensioni dal servizio e dalla retribuzione (due) a danno del lavoratore, sino ad arrivare all'irrogazione di ben tre destituzioni dal servizio. A ciò si aggiungeva il tentativo, da parte del superiore gerarchico, di ottenere da una testimone dichiarazioni favorevoli all'azienda (1).

Il giudizio in esame riguarda la prima delle tre destituzioni irrogate dall'azienda, destituzione già annullata dal giudice di primo grado per insussistenza del fatto materiale.

La Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 3 marzo 2023, n. 252, nel riformare parzialmente la pronuncia di primo grado (2), mantiene tuttavia inalterata l'impostazione adottata dal tribunale meneghino in materia di whistleblowing (3),negando la natura ritorsiva del provvedimento di recesso in assenza della rigorosa prova del nesso di derivazione tra segnalazione e misura pregiudizievole, considerato che:

- il collegamento temporale tra le denunce presentate dal lavoratore e i successivi provvedimenti datoriali sarebbe “quantomai debole”, essendo pacifico che le prime segnalazioni risalivano a circa quattro anni prima;

- il datore di lavoro avrebbe fornito costante riscontro alle segnalazioni del whistleblower, attivandosi al fine di approfondire e verificare gli illeciti denunciati e sanzionando il personale di cui veniva accertata la responsabilità.

Il principio di diritto

La pronuncia in esame, che non ha precedenti in materia, enuncia un singolare principio di diritto in materia di onere della prova con riguardo all'attivazione delle misure di protezione ex lege previste a tutela dei whistleblowers.

In particolare, a parere del giudice ambrosiano, l'art. 54-bis, comma 1, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (nella versione introdotta dall'art. 1 della legge 30 novembre 2017, n. 179) (4) non consente di ritenere nulli gli atti datoriali aventi effetti negativi per il dipendente, per il semplice fatto di essere successivi alle segnalazioni di illeciti da parte di quest'ultimo.

La norma, infatti, non modificherebbe le regole di riparto dell'onere della prova, né introdurrebbe una presunzione relativa di correlazione causale tra segnalazione e adozione di misure aventi effetti negativi per il dipendente. Essa –secondo la tesi della Corte d'Appello- dispone invece la nullità di ogni misura datoriale che sia “determinata dalla segnalazione”, ossia che trovi la propria ragione fondante nell'avere il lavoratore effettuato la segnalazione.

Ne deriva che “l'onere della prova in ordine al nesso di derivazione tra segnalazione e misura pregiudizievole grava interamente sulla parte che lo allega, alla stregua della regola generale di riparto dell'onere probatorio ex art. 2697 c.c., non derogata dalla disposizione speciale in esame”.

Il che significa, nella prassi concreta, lasciare il whistleblower – già emarginato nell'ambiente lavorativo proprio a causa della segnalazione – da solo con il proprio pesante carico probatorio, di fronte alla prevedibile –e in questo modo agevole- reazione datoriale.

Quadro sistematico

Pur trattandosi del primo precedente giurisprudenziale sul tema, il principio enunciato dalla Corte d'Appello di Milano, oltre che con la pressoché unanime dottrina intervenuta in materia, pare confliggere con il tenore testuale della norma.

Infatti il primo comma dell'art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001 (che stabilisce appunto la nullità delle misure pregiudizievoli determinate dalla segnalazione) deve essere letto congiuntamente con il successivo comma 7, secondo il cui disposto “È a carico dell'amministrazione pubblica o dell'ente di cui al comma 2 dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa. Gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall'amministrazione o dall'ente sono nulli”.

La lettura congiunta dei due commi evidenzia in questo modo l'introduzione, da parte del legislatore, del meccanismo (5) della presunzione relativa di nullità (6).

Più precisamente, la norma stabilisce la nullità di tutti gli atti aventi effetti pregiudizievoli sulle condizioni di lavoro (p.e., licenziamenti, trasferimenti, provvedimenti disciplinari, mutamenti di mansioni, modifica dell'orario lavorativo) successivi alla segnalazione o alla denuncia, da parte della vittima, di irregolarità o di illeciti di cui sia venuta a conoscenza nello svolgimento delle mansioni lavorative (c.d. whistleblower), salvo la piena prova contraria da parte del datore di lavoro che dovrà dimostrare puntualmente che tali misure siano fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.

Tale lettura è rafforzata dalle disposizioni contenute nella Direttiva 2019/1937, disciplinante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione. Il considerando n. 93, in particolare, sgombra il campo da ogni dubbio interpretativo: “È possibile che per giustificare la ritorsione siano addotti motivi diversi dalla segnalazione, nel qual caso può essere molto difficile per le persone segnalanti dimostrare il nesso tra la segnalazione e la ritorsione, mentre gli autori delle ritorsioni possono disporre di maggiori poteri e risorse per documentare le loro azioni e le loro ragioni. Pertanto, una volta che la persona segnalante abbia dimostrato, prima facie, di avere effettuato una segnalazione o divulgazione pubblica a norma della presente direttiva e di aver subito un danno, l'onere della prova dovrebbe spostarsi sulla persona che ha compiuto l'azione pregiudizievole, che dovrebbe quindi essere tenuta a dimostrare che l'azione intrapresa non era in alcun modo connessa alla segnalazione o alla divulgazione pubblica”.

Il logico corollario di questa chiara premessa ermeneutica è il successivo articolo 21, quinto comma della medesima Direttiva 2019/1937, che statuisce quanto segue: “Nei procedimenti dinanzi a un giudice o un'altra autorità relativi a un danno subito dalla persona segnalante, e a condizione che tale persona dimostri di aver effettuato una segnalazione oppure di aver effettuato una divulgazione pubblica e di aver subito un danno, si presume che il danno sia stato compiuto per ritorsione a seguito di tale segnalazione o divulgazione. In questi casi, spetta alla persona che ha adottato la misura lesiva dimostrare che tale misura è imputabile a motivi debitamente giustificati”.

Nulla di più chiaro, alla luce del semplice tenore testuale delle disposizioni citate. In concreto, a fronte della prova - da parte del whistleblower - di aver effettuato una segnalazione secondo le modalità e i canali indicati dalla legge e di aver subito una misura pregiudizievole cronologicamente successiva (7), è a carico del datore di lavoro l'onere di dimostrare che le misure adottate sono determinate da motivi legittimi e comunque non legati alla segnalazione, configurandosi –secondo unanime dottrina- una vera e propria inversione dell'onere della prova (8). Impostazione rimasta sostanzialmente inalterata anche nel Decreto legislativo 10 marzo 2023, n. 24 di Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali (9), con cui l'Italia – seppur tardivamente - ha attuato la direttiva 2019/1937.

La misura di protezione in oggetto non rappresenta una novità nell'ordinamento italiano, avendo un corrispondente nella legislazione antidiscriminatoria: si fa riferimento alla disposizione contenuta nel Codice delle pari opportunità, che ha previsto la presunzione speciale di nullità di tutti gli atti discriminatori o ritorsivi aventi effetti negativi sulle condizioni di lavoro, adottati in conseguenza del rifiuto, della sottomissione, del reclamo o dell'azione in giudizio della vittima di discriminazioni, di violenza, di molestie di genere o di molestie sessuali (art. 26 commi 3 e 3-bis, d.lgs. n. 198/2006) (10).

Tuttavia, come già segnalato in altra sede (11), a un elevato livello di protezione legislativa dell'ordinamento fa da controcanto un'effettività della tutela pressoché nulla, sia sul piano giurisdizionale che amministrativo.

Varrà citare, per ciò che riguarda l'ambito giurisdizionale, l'ultimo rapporto di Transparency International Italia (Wistleblowing 2021), che rileva “forti criticità” nella giurisprudenza di merito; in particolare, alcuni orientamenti in materia sarebbero tali da comportare “una abrogazione in via giurisprudenziale se non totale sicuramente parziale della disciplina, vanificando così i già incerti passi avanti compiuti dalla fattispecie in questi anni” (12).

Quanto invece all'ambito amministrativo, l'ultima relazione annuale presentata da ANAC (Relazione 2021) (13) evidenzia come dall'entrata in vigore nel 2017 delle misure di protezione a favore dei whistleblower, soltanto in quattro casi l'autorità abbia adottato le delibere sanzionatorie rispetto agli atti ritorsivi subiti dai segnalanti, irrogando sempre il minimo della sanzione edittale.

Note

(1) Nella prima pronuncia del Tribunale di Milano, sezione lavoro, 3 febbraio 2022, est. Moglia,conclusiva della fase sommaria del rito Fornero è infatti dato leggere quanto segue: “Le dichiarazioni rese dalla teste in relazione ai fatti accaduti prima delle due audizioni e che non si ha ragione di non ritenere veritiere, offrono un'immagine di (omissis) poco limpida e trasparente, soprattutto più che proiettata verso la ricerca della verità, interessata ad avere una versione dei fatti favorevole verso l'azienda, anche a scapito dei primari principi dell'etica civile”.

(2) La sentenza di primo grado è stata riformata nella parte in cui non ha riconosciuto il diritto del lavoratore al percepimento delle retribuzioni per l'intero periodo della sospensione cautelare dalla retribuzione e dal servizio. La pronuncia in commento, aderendo alla consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., ex multis, Cass. 16 gennaio 2017, n. 855), ha affermato che la natura cautelare ed interinale della sospensione preventiva ex art. 46 R.d. n. 148/1931 ne evidenzia la strumentalità rispetto alla sanzione disciplinare della retrocessione o della destituzione; ne deriva che quando quest'ultima – come nel presente caso – risulti illegittima e sia annullata, viene meno anche la causa che ha fondato la sospensione, con conseguente diritto del lavoratore di percepire le retribuzioni medio tempore maturate

(3) Nella sentenza del Tribunale di Milano, sezione lavoro, 10 ottobre 2022, n. 2305, est. Moglia (che riprende integralmente le argomentazioni della prima fase enunciate nell'ordinanza del 3 febbraio 2022), si sostiene che ai fini dell'applicazione dell'art. 54-bis d.lgs. n. 165/2001 commi 1 e 7, non è sufficiente il solo collegamento temporale tra la denuncia di cui si è reso autore il whistleblower e il successivo procedimento disciplinare, trattandosi di elemento non dirimente. Secondo il giudice di prime cure, infatti, è necessario un legame sostanziale tra provvedimento datoriale e segnalazione, peraltro non ravvisabile nel caso in cui le condotte denunciate (emissione di biglietti e abbonamenti non contabilizzati) e gli addebiti contestati (asserite minacce a superiori) siano totalmente diverse.

(4) “Il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione, segnala al responsabile della prevenzione e corruzione e della trasparenza di cui all'articolo 1, comma 7, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ovvero all'Autorità nazionale anticorruzione (Anac), o denuncia all'autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non puo' essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione”.

(5) Si tratta di un meccanismo che configura una deroga alla regola generale sulla ripartizione dell'onere della prova, avendo la funzione - attraverso l'inversione dell'onere probatorio - di agevolare la posizione processuale della “parte debole”, cfr. PATTI, Le prove, Milano, 2021, p. 781-783.

(6) TAMBASCO, Violenza e molestie nel mondo del lavoro. Un'analisi della giurisprudenza del lavoro italiana, OIL, Roma, 2022, p. 42 e ss.; di “presunzione di illegittimità posta a favore del lavoratoreparla VITALETTI, Il lavoratore “segnalante” nell'impresa privata. Il perimetro della tutela del “whistleblower”, Dir. rel. ind., fasc. 2, 1° giugno 2019, pag. 492 e ss.; analogamente MARAGA, La tutela lavoristica del whistleblower tra limiti soggettivi ed oggettivi: brevi riflessioni de iure condito e de iure condendo, Dir. rel. ind., fasc.1, 2022, pag. 289 e ss. fa riferimento alla presunzione di causalità tra segnalazione e provvedimento datoriale.

(7) Secondo MARAGA, La tutela lavoristica del whistleblower tra limiti soggettivi ed oggettivi: brevi riflessioni de iure condito e de iure condendo, cit., “deve ritenersi che, decorso un lasso di tempo sufficientemente ampio dalla denuncia, la presunzione di causalità tra segnalazione e provvedimento datoriale venga meno lasciando spazio al regime probatorio ordinario”.

(8) Così l'unanime dottrina, cfr. CANTONE, Il dipendente pubblico che segnala illeciti; un primo bilancio sulla riforma del 2017, in Aa.Vv., Atti del I convegno annuale del dipartimento di scienze giuridiche Cesare Beccaria, Milano, 18-19 novembre 2019, Milano,2020, p. 203; DELLA BELLA, Il whistleblowing nell'ordinamento italiano: quadro attuale e prospettive per il prossimo futuro, in Aa.Vv., cit., p. 170; PERUZZI, La prova del licenziamento ritorsivo nella legge 179/2017 sul whistleblowing, inLav. dir., fasc. 1, 2020, p. 43 e ss.; RICCIO, La tutela del lavoratore che segnala illeciti dopo la L. 179 del 2017. Una prima lettura giuslavoristica, in Rivista Elettronica di diritto pubblico, di diritto dell'economia e di scienza dell'amministrazione, 26 marzo 2018, p. 6-7; PIZZUTI, Whistleblowing e rapporto di lavoro, Torino, 2019,p. 109 e ss.; AGLIATA, Sull'esercizio “responsabile” del diritto di denuncia del lavoratore, in Nuova giur. comm., 5, 1° settembre 2021, p. 1018 e ss.; VITALETTI, Il lavoratore “segnalante” nell'impresa privata. il perimetro della tutela del “whistleblower”, Dir. rel. ind., cit.; MARAGA, La tutela lavoristica del whistleblower tra limiti soggettivi ed oggettivi: brevi riflessioni de iure condito e de iure condendo, cit.; TAMBASCO, Violenza e molestie nel mondo del lavoro. Un'analisi della giurisprudenza del lavoro italiana, OIL, Roma, 2022, cit.

(9) L'articolo 17 (rubricato “Divieto di ritorsione”) del D.lgs. 10 marzo 2023, n. 24 cit., al comma 2 dispone: "2. Nell'ambito di procedimenti giudiziari o amministrativi o comunque di controversie stragiudiziali aventi ad oggetto l'accertamento dei comportamenti, atti o omissioni vietati ai sensi del presente articolo nei confronti delle persone di cui all'articolo 3, commi 1, 2, 3 e 4, si presume che gli stessi siano stati posti in essere a causa della segnalazione, della divulgazione pubblica o della denuncia all'autorità giudiziaria o contabile. L'onere di provare che tali condotte o atti sono motivati da ragioni estranee alla segnalazione, alla divulgazione pubblica o alla denuncia è a carico di colui che li ha posti in essere".

(10) PONTERIO, Licenziamenti discriminatori e molestie, in Aa.Vv., Eguaglianza e divieti di discriminazione nell'era del diritto derogabile, Roma, 2017, p. 225 e ss.

(11) TAMBASCO, Le misure di protezione a favore del whistleblower all'esame della giurisprudenza di merito e delle linee guida ANAC: effettività della tutela o diabolica probatio?, in IUS Lavoro (ius.giuffrefl.it), 22 febbraio 2022.

(12) PARISI, Il whistleblowing nella giurisprudenza di merito, in Report Whistleblowing 2021, cit., p. 50

(13) ANAC, Relazione 2021, p. 122-123. Più nel dettaglio, nel corso dell'anno 2020 risultano definiti 21 procedimenti relativi a segnalazioni di atti ritorsivi, con l'irrogazione di tre sole sanzioni, pari al 14,3% delle segnalazioni considerate ammissibili e oggetto di trattazione (ANAC, relazione 2020, p. 92).

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