Condominio e locazione

Il diritto di parcheggio è una servitù prediale e non un diritto personale

Redazione scientifica
23 Marzo 2023

L'azione di reintegrazione nel possesso, ai sensi dell'art. 1168 c.c., può essere esperita anche per la tutela del diritto di parcheggio in quanto questo ha carattere di servitù il cui esercizio può essere limitato dalla condotta del soggetto che impedisca all'avente diritto di parcheggiare sul fondo.

Il caso. Due coniugi agivano in giudizio avverso dei vicini di casa, lamentando di avere subito uno spossessamento.

L'azione di reintegrazione ai sensi dell'art. 1168 c.c., quindi, seguiva la condotta di spoglio tenuta dai vicini di casa convenuti i quali avevano impedito l'accesso ad un fondo adibito a cortile e parcheggio di autovetture agli attori apponendo una sbarra che impediva loro il passaggio.

Il Tribunale, a seguito dell'istruttoria processuale, dichiarava la sussistenza di una turbativa del possesso del bene e condannava i convenuti alla reintegrazione degli attori nel possesso del cortile, condannando altresì gli stessi alla rimozione del manufatto.

A seguito della soccombenza i convenuti (o meglio: i loro eredi) agivano in grado di appello contestando l'esito del primo giudizio.

La Corte d'Appello pur dichiarando la cessazione della materia del contendere in quanto la sbarra era già stata rimossa a seguito di un giudizio intentato da altre parti, aveva rigettato l'appello proposto e confermato la sentenza di primo grado che dichiarava il diritto degli originari attori a parcheggiare nell'area di cortile illegittimamente chiusa dai convenuti.

La sentenza di appello, tuttavia, spiegava che il riconoscimento del diritto degli originari attori consisteva in un diritto personale di parcheggio e che la decisione andasse a sanzionare la privazione di tale diritto.

Non si trattava invece, sempre per i giudici di appello, di una servitù con carattere reale, dato che per tale dichiarazione sarebbe stato necessario che l'esercizio del diritto di parcheggio fosse stato “continuato e consentito”, circostanze che non parevano essere presenti nel caso in oggetto.

Con la sentenza di appello, quindi, veniva confermato esclusivamente il diritto personale dei coniugi ad accedere e transitare sul fondo.

La Cassazione chiarisce la natura del diritto di parcheggio. Alla luce della ambiguità della decisione d'appello, i coniugi-attori decidevano di impugnare la sentenza proponendo ricorso in Cassazione.

Il ricorso, sostanzialmente era incentrato sull'errore commesso dalla Corte d'Appello nel riconoscere come la posizione degli attori avesse un valore di solo di diritto di transito veicolare e non come diritto reale costituito da una servitù di parcheggio.

Con la sentenza n. 7620 del 16 marzo 2023 la Cassazione accoglieva il ricorso presentato dai coniugi.

Il ragionamento della Cassazione era il seguente: la Corte d'Appello si era basata, nella propria decisione, su un orientamento giurisprudenziale risalente e ormai superato.

La sentenza di riesame, infatti, aveva riconosciuto che il diritto dei coniugi era sostanzialmente un diritto di natura personale, non soggetto a possesso ad usucapionem o ad acquisto a titolo originario (citando i precedenti arresti di Cass., sez. II, 8137/2004, Cass., sez. II, n. 5769/2013), e che tale diritto non potesse neppure essere costituito in via negoziale per impossibilità dell'oggetto, dovendosi invece trattare di un diritto rientrante nello schema tipico del diritto d'uso o altro schema contrattuale come la locazione, l'affitto o il comodato (così in Cass., sez. II, 23708/2014).

Secondo la Cassazione, tuttavia, tale ragionamento era stato superato da un successivo orientamento giurisprudenziale che prevedeva che il diritto di parcheggio avesse natura reale e fosse astrattamente configurabile come una servitù volontaria.

Il più moderno orientamento giurisprudenziale, infatti, prevedeva che lo schema di cui all'art. 1027 c.c. fosse applicabile alla costituzione di un diritto di servitù di parcheggio nell'ottica del quale un fondo potesse avere una maggiore utilitas nel diritto di parcheggiare su un fondo (servente) attiguo.

Tale diritto, quindi, aveva carattere reale e non personale (così in Cass., sez. II, n. 7561/2019 e Cass., sez. II, 16698/2017).

La Cassazione concludeva quindi che, per la formulazione dell'art. 1027 c.c., non era preclusa la costituzione di una servitù di parcheggio su fondo altrui, a condizione che, avendo contezza della situazione concreta, tale facoltà costituisca un maggiore favore per un fondo a vantaggio di un altro.

Una volta presente tale diritto reale, allora il soggetto titolare può ben agire con azione di reintegrazione ai sensi dell'art. 1068 c.c. per tutelarsi da eventuali spossessamenti preclusivi del suo accesso e parcheggio sul fondo altrui.

La Corte d'Appello avrebbe quindi errato nel non riconoscere la natura reale del diritto di parcheggio, essendo rilevanti solo gli elementi fattuali della vicenda e non elementi soggettivi quali l'esercizio “continuato e consentito”, che afferivano al riconoscimento di diritti personali, e non ad una servitù a carattere reale.

Si aggiunge, poi, che il riconoscimento dell'elemento di realità avrebbe consentito agli attori di legare il diritto di parcheggio al fondo e trasmetterlo così ad eventuali eredi o aventi causa.

In ragione di tali argomentazioni, la Suprema Corte cassava la decisione di appello e rinviava il giudizio al merito, perché venisse nuovamente giudicato dal giudice del riesame sulla base dei predetti principi giuridici e avendo contezza della citata, più recente, giurisprudenza.

Fonte: dirittoegiustizia

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