Il decreto di liquidazione del compenso professionale può avere efficacia di giudicato?

Redazione scientifica
23 Marzo 2023

Il decreto emesso in esito ad un procedimento, sull'istanza di liquidazione del compenso professionale a carico dello Stato secondo la disciplina del gratuito patrocinio, che ha visto la presenza di una sola parte, non ha forza di giudicato nel giudizio promosso dall'avvocato per il pagamento del compenso professionale.

La vicenda processuale trae origine dal giudizio civile relativo ad un'azione di manutenzione del possesso spiegato dall'attrice in relazione alle molestie derivanti dalla chiusura, ad opera della germana, del tratto iniziale di un tratturo comune.

Per la rappresentanza e difesa in giudizio, la convenuta conferiva incarico ad un avvocato, ma successivamente revocava il mandato, invitandolo a rivolgersi al Tribunale per la liquidazione dei suoi compensi ai sensi della legge sul patrocinio a spese dello Stato (beneficio a cui costei era stata ammessa).

Non risultando presso la Segreteria dell'Ordine degli Avvocati, la rituale e tempestiva documentazione necessaria alla liquidazione a spese dello Stato, l'avvocato evocava in giudizio la cliente chiedendo nei confronti di costei la liquidazione di quanto a lui spettante. L'adito Tribunale dichiarava la pretesa inammissibile, stante l'ammissione della cliente al patrocinio a spese dello Stato.

Successivamente con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., l'avvocato adiva il tribunale per ottenere la condanna della cliente al pagamento delle somme dovute per rimborso spese anticipate, per diritti e per onorari, ovvero per le diverse somme ritenute dovute. In questa sede, la cliente, costituitasi in giudizio eccepiva la nullità della domanda, depositando copia della sua pratica di patrocinio a spese dello Stato. Il giudice unico adito ex art. 702-bis c.p.c., disattendendo l'istanza di rinvio proposta dall'avvocato in attesa delle determinazioni del Tribunale nella procedura di liquidazione a carico dello Stato, ha rigettato la domanda, condannando l'attore al rimborso delle spese processuali in favore della resistente.

L'avvocato spiegava quindi appello ai sensi dell'art. 702-quater c.p.c. avverso la citata decisione e la Corte accoglieva l'impugnazione. In particolare, la Corte territoriale riteneva ammissibile la produzione in appello del decreto emesso dal Tribunale di Taranto in data 11 febbraio 2015. Ciò in quanto: a) si trattava di documento di documento sopravvenuto, in quanto emanato in epoca successiva alla pronuncia, il 22 gennaio 2014, della ordinanza decisoria conclusiva del giudizio di primo grado; b) si trattava, comunque, di documento rilevante ai fini del decidere, data la sua natura di provvedimento «emesso da un'A.G., sulla medesima questione del contendere e fra le medesime parti», relativo all'accertata insussistenza del diritto della cliente ad ottenere il patrocinio a spese dello Stato, quanto circa lo statuito obbligo di compensare il proprio difensore di fiducia.

La cliente ricorreva quindi in cassazione, denunciando, tra i vari motivi, la nullità della decisione impugnata per aver attribuito al decreto emesso dal Tribunale di Taranto in data 11 febbraio 2015 efficacia di giudicato. Ad avviso della ricorrente, il decreto de quo, giacché pronunciato dal Giudice nell'ambito del procedimento di cui all'art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002, non avrebbe attitudine ad assumere valore di regiudicata, in quanto provvedimento di volontaria giurisdizione, adottato in assenza di contraddittorio tra le parti.

La Corte ha ritenuto la doglianza fondata. Secondo i giudici, la Corte d'appello ha errato nel ritenere che il decreto “faccia stato”abbia cioè la forza del giudicato esterno – nel giudizio promosso dall'avvocato per la condanna al pagamento del compenso professionale «tanto circa l'accertata insussistenza del diritto» della cliente «ad ottenere il patrocinio a spese dello Stato … quanto circa lo statuito obbligo della stessa di compensare il proprio difensore di fiducia, (…), nella misura di euro 6.832,50». L'errore della Corte territoriale è consistito nel non aver considerato che il decreto in questione è stato emesso in esito ad un procedimento, sull'istanza di liquidazione del compenso professionale a carico dello Stato secondo la disciplina del gratuito patrocinio, che ha visto la presenza di una sola parte – l'avvocato che ha presentato l'istanza di liquidazione – senza la partecipazione della parte che era stata rappresentata e difesa in giudizio.

In definitiva, essendo il decreto stato emesso nell'ambito di un procedimento non svoltosi nel contraddittorio con la cliente dell'avvocato, il giudice del gravame non avrebbe potuto farne discendere, nel suo giudizio, un effetto preclusivo.

Tratto da: www.dirittoegiustizia.it

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