Delibere di aumento del capitale e abuso della maggioranza

28 Marzo 2023

Le deliberazioni di aumento di capitale possono essere sindacate per abuso di maggioranza perché, pur essendo l'aumento normalmente funzionale all'equilibrio economico-finanziario dell'impresa, i soci di minoranza possono trovarsi nelle condizioni di non poter sottoscrivere l'aumento e di subire così una riduzione della misura percentuale della propria partecipazione. L'Autore analizza gli elementi che la giurisprudenza più di frequente prende in considerazione per verificare la sussistenza dell'abuso e il rilievo da assegnarsi in questa valutazione alle motivazioni della deliberazione di aumento.
La possibile lesione degli interessi della minoranza conseguente alle delibere di aumento di capitale

Le deliberazioni di aumento di capitale adottate dalle assemblee delle S.p.a. e della S.r.l. costituiscono, insieme con le decisioni relative alla distribuzione degli utili e spesso in stretta connessione con queste, le fattispecie su cui più frequentemente la giurisprudenza viene chiamata – su richiesta della minoranza – a verificare la sussistenza di un abuso della maggioranza.

Questo dato potrebbe sembrare controintuitivo, per la difficoltà di ipotizzare un abuso nell'operazione con cui i soci si determinano a dotare la società di ulteriore capitale: l'aumento garantisce, infatti, alla società di potersi avvalere di mezzi propri anziché ricorrere all'indebitamento bancario ed è, quindi, un'operazione normalmente funzionale a raggiungere o a preservare l'equilibrio economico-finanziario dell'impresa.

Se si guarda al problema dal punto di vista dell'interesse della società è effettivamente difficile ipotizzare che tale interesse (quale che ne sia la definizione accolta) possa essere compromesso da una deliberazione che è finalizzata all'aumento delle risorse proprie della società stessa: l'aumento potrebbe magari rivelarsi inutile se la società dispone già di mezzi sufficienti o sovrabbondanti rispetto alle proprie necessità operative, ma risulta difficile pensare ad un'ipotesi in cui l'aumento del capitale cagiona un effettivo pregiudizio alla società (in giurisprudenza si è, infatti, affermato che una deliberazione di aumento del capitale non si pone mai veramente in contrasto con l'interesse della società e può essere sempre considerata formalmente giustificata se gli amministratori evidenziano l'intenzione di ridurre l'esposizione finanziaria verso terzi o di ampliare l'impegno operativo e di disporre di maggiori disponibilità economiche per raggiungere tali obiettivi: così App. Milano, 31 maggio 2005, in DeJure).

Al di là della generale inefficienza del criterio dell' “interesse sociale” per la valutazione dell'abuso di maggioranza, l'analisi del vantaggio che l'operazione apporta al patrimonio della società coglie solo un aspetto della fattispecie e ne trascura un altro che è, invece, parimenti fondamentale. Non considera, cioè, che per effetto della decisione di aumentare il capitale i soci sono chiamati ad effettuare nuovi conferimenti e che quando ciò non avviene, perché i soci di minoranza non sono in grado di sottoscrivere l'aumento deliberato, la conseguenza è un incremento del divario fra la percentuale di partecipazione al capitale della maggioranza (che ha proposto e votato l'aumento) e quella della minoranza (che non lo ha sottoscritto).

Secondo la migliore giurisprudenza e la dottrina più accreditata (C. Angelici, La società per azioni, I, Principi e problemi, in Trattato di dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuato da P. Schlesinger, Giuffrè, 2012, 112; D. Preite, L' ;“abuso” della regola di maggioranza nelle deliberazioni assembleari delle società per azioni, Giuffrè, 1992, passim; A. Gambino, Il principio di correttezza nell'assemblea della società per azioni, Giuffrè, 1987, passim; ma già A. Asquini, I battelli del Reno, in Riv. soc., 1959, 628) la valutazione della sussistenza dell'abuso di maggioranza va, quindi, condotta mediante verifica dell'effettiva rispondenza del comportamento della maggioranza, che ha contribuito in maniera determinante all'approvazione della delibera di aumento del capitale, ai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che trovano applicazione anche al contratto di società (Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151, in Giur. comm., 1996, II, 329, con contributi di P.G. Jaeger, C. Angelici, A. Gambino, R. Costi, F. Corsi, Cassazione e contrattualismo societario: un incontro?, in Giur. comm., 1996, II, 334 ss.), mentre l'interesse della società si pone in termini di neutralità.

La lesione degli interessi della minoranza consegue direttamente alla deliberazione di aumento di capitale decisa dalla maggioranza: va, infatti, respinta la tesi, pur emersa nella giurisprudenza di merito, per cui la riduzione della partecipazione del socio di minoranza non sarebbe conseguenza diretta e propria della delibera, ma sarebbe l'effetto della successiva decisione della minoranza di non sottoscrivere il deliberato aumento di capitale; analogamente, non può essere condiviso l'argomento del medesimo tenore, pur valorizzato da alcune pronunce di merito per escludere l'abuso, secondo cui la minoranza attrice avrebbe avuto la possibilità di mantenere ferma la propria partecipazione appunto partecipando all'aumento di capitale (Trib. Bologna, 12 aprile 2017, in DeJure; Trib. Palermo, 27 febbraio 2019, n. 1069).

L'infondatezza di questa tesi (già Cass. 22 giugno 2017, n. 15472, in DeJure, rilevava checiò equivale a dire che i soci di minoranza “avrebbero potuto scegliere di subire l'abuso perpetrato attraverso la deliberazione viziata da eccesso di potere”) è stata ribadita dalla giurisprudenza della S.C. anche in una recente pronuncia (Cass. 2 luglio 2021, n. 18870), nella quale è stato affermato il principio per cui il danno per la minoranza consegue alla diminuzione del valore delle partecipazioni societarie detenute dalla minoranza che, in presenza di una preesistente condizione di impotenza finanziaria della minoranza stessa, è un effetto immediato e diretto della deliberazione di aumento.

Gli indici dell'abuso nella giurisprudenza

È principio fermo in giurisprudenza quello per cui compete alla minoranza che agisce in giudizio la prova degli indizi da cui procedere, secondo un metodo logico-deduttivo, per valutare la sussistenza di un abuso della regola di maggioranza.

La varietà delle fattispecie concrete può evidentemente comportare che ciò che è giudicato non rilevante in un'occasione venga valutato rilevante o persino decisivo ai fini della prova dell'abuso in un altro: esaminando la giurisprudenza, tuttavia, si rinvengono spesso elementi comuni. Nelle fattispecie di aumento di capitale sociale, in particolare, la giurisprudenza evita (correttamente) di sindacare in sé e per sé l'opportunità di aumentare il capitale e si concentra piuttosto sulla considerazione delle modalità, delle proporzioni e dei tempi dell'operazione, dai quali possa desumersi, per via indiziaria, la volontà della maggioranza di mettere in difficoltà la minoranza, impedendole di conservare la propria posizione di partecipazione, influenza e controllo nell'assemblea della società.

Le modalità con le quali è stato deliberato l'aumento sono state considerate rilevanti per il riconoscimento della sussistenza dell'abuso, ad esempio, nel caso di aumento di capitale c.d. iperdiluitivo: è stata cioè ritenuta non improntata a buona fede e correttezza l'operazione di aumento che prevede l'emissione di nuove azioni con un valore nominale implicito marcatamente inferiore alla pari, perché l'effetto iperdiluitivo dei diritti di partecipazione dei soci dissenzienti mette gli stessi nella situazione di dover partecipare necessariamente alla sottoscrizione, pena la perdita quasi integrale dei loro diritti (Trib. Venezia, 31 ottobre 2018, in Giur. comm., 2020, II, 633 ss., con nota di M. Sebastianelli, Aumenti di capitale “iperdiluitivi” e sindacato giudiziale sull'abuso di maggioranza).

Le concrete modalità con le quali è stato deliberato l'aumento sono usualmente prese in considerazione anche nelle fattispecie in cui viene dedotta, a sostegno della sussistenza dell'abuso, la mancata previsione di un sovrapprezzo. Considerato che nella s.r.l. la previsione di un sovrapprezzo è meramente eventuale (ex art. 2481-bis comma 2, c.c.) e, quindi, facoltativa, la giurisprudenza è orientata nel senso di ritenere che spetti al socio di minoranza l'allegazione e la prova della doverosità della previsione del sovrapprezzo nel caso concreto, che si traduce nella prova della violazione della buona fede o della correttezza nella sua omissione; in altri termini, la presenza di un patrimonio societario di valore superiore al capitale nominale costituisce la condizione perché il sovrapprezzo possa essere ipotizzato, non quella che lo rende obbligatorio o che determina l'illegittimità della sua omissione (Trib. Milano, 30 gennaio 2017; App. Milano, 31 maggio 2005).

Le modalità e la proporzionalità dell'aumento sono state considerate rilevanti nel senso dell'abusività della delibera in casi in cui era stato deliberato un aumento di capitale sociale a pagamento in presenza di riserve straordinarie di rilevante importo, progressivamente accumulate negli anni, che si sarebbero potute utilizzare per l'aumento di capitale, senza obbligare cioè i soci di minoranza ad effettuare ulteriori esborsi per conservare immutata la propria percentuale di partecipazione al capitale (Trib. Venezia, 13 febbraio 2016, n. 325, in DeJure; App. Venezia, 6 novembre 2020).

In numerose occasioni è stata ritenuta decisiva, nel senso di escludere l'abuso di maggioranza, l'esistenza di perdite di esercizio (Trib. Milano, 31 luglio 2015, n. 9189; Trib. Milano, 10 giugno 2013, n. 8154): l'effettiva sussistenza di perdite, in particolare se risultanti da bilanci approvati e non impugnati – o, comunque, dove non sia dimostrata la falsità dei dati bilancio, nel senso che la perdita esposta è in realtà insussistente – è considerato elemento decisivo al fine del rigetto dell'impugnazione della delibera nelle fattispecie in cui vi sia stato l'utilizzo del capitale a copertura delle perdite e la sua ricostituzione in misura non superiore all'esistente (Cass. 7 novembre 2008, n. 26842; Cass. 16 novembre 2007, n. 23823; Cass. 7 marzo 1992, n. 2764; Trib. Roma, 5 ottobre 2015, in DeJure; App. Milano, 18 aprile 2000).

Un ulteriore elemento tradizionalmente valorizzato ai fini della prova dell'abuso della maggioranza nelle deliberazioni di aumento di capitale è costituito dalle condizioni economiche della minoranza o, più precisamente, dalla volontà della maggioranza di approfittare della mancanza di liquidità della minoranza, di cui la maggioranza stessa sia a conoscenza. La giurisprudenza raramente considera dirimenti, se non supportate da altri elementi, le questioni relative alla sussistenza delle disponibilità finanziarie della minoranza o alla possibilità di procurarsele (Trib. Milano, 30 gennaio 2017; App. Milano, 31 maggio 2005; assegna preminente rilievo a questo elemento, invece, Trib. Como, 1° giugno 2000), anche se – per converso – non mancano pronunce che valorizzano la mancata prova di questo elemento al fine del rigetto delle azioni (Trib. Milano, 22 settembre 2015, in DeJure; Trib. Torino, 2 dicembre 2013, n. 6957) o che escludono l'abuso in considerazione dell'importo tutto sommato modesto dell'aumento se rapportato al numero complessivo dei soci (Trib. Palermo, 27 febbraio 2019, n. 1069) o alle loro condizioni patrimoniali (Trib. Torino, 5 novembre 2015, n. 6473, in DeJure).

Sempre con riguardo alle condizioni economiche della minoranza, è stato escluso l'abuso se l'impossibilità di sottoscrivere l'aumento può essere compensata dalla cessione a terzi del diritto di opzione: perché l'abuso possa escludersi per questo motivo occorre, tuttavia, che la lesione patrimoniale derivante dall'operazione di aumento di capitale sia adeguatamente compensata dalla concreta possibilità di cessione del diritto di opzione, il che è da escludersi ad esempio nelle società chiuse (Trib. Venezia, 31 ottobre 2018).

La concreta misura dell'aumento è stata presa in considerazione anche per finalità diverse dal sindacato sulle capacità economiche della minoranza di sottoscrivere l'aumento di capitale; in particolare, la giurisprudenza considera determinante il fatto che dall'aumento derivi ai soci di minoranza un concreto pregiudizio nella sfera dei loro poteri di partecipazione, influenza e controllo, con la precisazione che si tratta di un onere deduttivo e probatorio che spetta alla minoranza (App. Milano, 31 maggio 2005; Trib. Venezia, 13 settembre 2021). Se cioè la partecipazione della minoranza si riduce proporzionalmente, ma non in misura tale da compromettere i rapporti di forza tra la maggioranza e la minoranza (come avverrebbe, invece, se la modifica delle percentuali di partecipazione permettesse alla maggioranza di approvare in assemblea deliberazioni che prima dell'aumento avrebbero potuto essere bloccate dalla minoranza) o da privare la minoranza di rimedi di cui in precedenza disponeva in ragione della percentuale di partecipazione al capitale sociale (si pensi, nella s.p.a., alle percentuali necessarie per impugnare le deliberazioni dell'assemblea ex art. 2377 comma 3, c.c., per proporre l'azione sociale di responsabilità ex art. 2393-bis c.c., per proporre le denunzie ex artt. 2408 e 2409 c.c.) la deliberazione di aumento non può essere annullata per abuso di maggioranza.

Il rilievo delle motivazioni della delibera

La corte di cassazione ha escluso che la deliberazione con cui l'assemblea decida un aumento di capitale sociale debba contenere una specifica motivazione volta ad illustrare le ragioni che giustificano tale scelta e ciò sulla base della considerazione che nel diritto societario le decisioni degli organi sociali soggette per legge all'obbligo di motivazione costituiscono un numero limitato, mentre la regola è che le decisioni non richiedono una specifica motivazione (Cass. 22 luglio 2020, n. 15647, in Giur. comm., 2021, II, 541 con nota di L. Marchegiani, Sulla motivazione obbligatoria e necessaria delle decisioni societarie e ivi, 2021, II, 1057 con nota di A.D. Scano, In tema di motivazione obbligatoria di talune deliberazioni assembleari delle società di capitali.).

Una regola diversa vale, invece, per le deliberazioni che hanno ad oggetto la riduzione del capitale sociale: in questo caso l'art. 2445 comma 2, c.c., prevede espressamente che le ragioni e le modalità della riduzione debbano essere indicate già nell'avviso di convocazione, cosicché se mancano queste indicazioni la delibera è viziata e deve essere annullata.

L'assenza dell'obbligo di motivazione delle delibere di aumento non impedisce, tuttavia, che all'assenza o all'insufficienza della motivazione possa essere assegnato rilievo nell'ambito della prova deduttiva ed indiziaria dell'abuso: è, anzi, estremamente frequente nelle pronunce in materia l'esame da parte del giudice delle motivazioni della delibera.

La giurisprudenza, in particolare, assegna di frequente rilievo nel senso di escludere l'abuso alla congruenza delle motivazioni contenute nella delibera che dispone l'aumento di capitale (Trib. Milano, 7 giugno 2018, in Dejure) o alla loro non manifesta illogicità (Trib. Roma, 17 febbraio 2016, n. 3153; Trib. Milano, 30 gennaio 2017), mentre le domande della minoranza possono trovare accoglimento se la motivazione addotta risulta solo apparentemente corretta, ma si rivela incongruente o inconsistente alla luce degli elementi di fatto allegati e provati in giudizio (Trib. Venezia, 13 febbraio 2016; App. Venezia, 6 novembre 2020; Trib. Como, 1° giugno 2000).

La giurisprudenza risulta divisa sul rilievo da assegnare alle motivazioni non presenti nel verbale, ma successivamente addotte dalla maggioranza in giudizio per difendere la legittimità della deliberazione di aumento: in alcune pronunce quelle motivazioni vengono considerate rilevanti, al pari di quelle contenute nel verbale dell'assemblea che ha deliberato l'aumento (Trib. Milano, 31 luglio 2015, n. 9189, in DeJure; Trib. Como, 1° giugno 2000; Trib. Milano, 14 ottobre 2013), mentre in altri casi le domande della minoranza hanno trovato accoglimento proprio sulla base del rilievo che le motivazioni valorizzate in giudizio dalla convenuta non erano state dedotte nel corso dell'assemblea straordinaria che aveva condotto alla deliberazione di aumento del capitale sociale (Trib. Tivoli, 18 luglio 2008, in DeJure; nello stesso senso, ma con riferimento ad una delibera avente ad oggetto la distribuzione di utili, Trib. Torino, 15 febbraio 2019, n. 691, in DeJure).

Da un'analisi complessiva della giurisprudenza che si è pronunciata sul rilievo delle motivazioni fornite dalla maggioranza a sostegno dell'aumento, si può affermare che le stesse sono valutate tanto più positivamente (nel senso cioè che consentono di sostenere la delibera di aumento e di rigettare le domande della minoranza) quanto maggiori sono il dettaglio delle esigenze a cui l'aumento di capitale sarebbe funzionale e la cura con cui sono assolti gli oneri di allegazione e prova dell'effettiva sussistenza di quelle esigenze.

Le necessità di capitalizzazione delle società possono naturalmente essere molto diverse da caso a caso, ma nelle pronunce edite risulta piuttosto ricorrente l'assegnazione di rilevanza a sostegno della legittimità dell'aumento alle motivazioni che si fondano sull'esigenza di dotare la società di mezzi finanziari per nuovi investimenti (Trib. Roma, 31 marzo 2017, n. 6452; in senso contrario, però, Trib. Milano, 24 marzo 2021, n. 2488), sulla contrazione degli affidamenti, sull'aumento dell'esposizione o comunque sull'esigenza di far regolarmente fronte al pagamento degli impegni nei confronti delle banche (Trib. Milano, 31 luglio 2015, n. 9189; Trib. Milano, 19 marzo 2015, in DeJure; Trib. Milano, 14 ottobre 2013).

Considerazioni conclusive

La prova della sussistenza dell'abuso di maggioranza nelle deliberazioni di aumento di capitale deve essere fornita dalla minoranza che impugna la deliberazione o che agisce per il risarcimento del danno conseguente alla deliberazione stessa, mediante una puntuale allegazione degli elementi di fatto che, nell'ambito di un procedimento logico-deduttivo, consentano al giudice di ritenere integrata una violazione dei principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto di società.

Dal momento che per le deliberazioni di aumento del capitale non è previsto un obbligo di motivazione, la minoranza che agisce sarà libera di allegare tutti gli elementi ritenuti utili ai fini della dimostrazione della sussistenza dell'abuso di maggioranza, ma la prova deduttiva a tal fine richiesta non potrà fondarsi sulla semplice assenza della motivazione e nemmeno, almeno in linea di principio, sulla sola incongruenza o illogicità della motivazione che, pur non richiesta, risulti dal testo della deliberazione impugnata; sarà possibile, tuttavia, valorizzare anche la contrarietà o illogicità della motivazione unitamente ad altri indici per pervenire alla dimostrazione induttiva della sussistenza dell'abuso.

Guida all'approfondimento

Per un approfondimento sul tema, cfr. A. Simionato, L'abuso di maggioranza. Profili e limiti del controllo sulla maggioranza nelle società di capitali, Giuffrè, 2023; E. La Marca, L'abuso di potere nelle deliberazioni assembleari, Giuffrè, 2004.

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