Inutilizzabilità nel diverso procedimento delle intercettazioni con il captatore informatico
29 Marzo 2023
Massima
Per i procedimenti penali iscritti anteriormente al 31 agosto 2020, non connessi con altro successivo, si applica il previgente regime, per cui l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni disposte nell'ambito di un procedimento è ammesso in procedimenti diversi purché si tratti di reati per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza. Il caso
Nella fattispecie concreta, il trojan sul telefono dell'imputato era stato adottato inizialmente per l'accertamento di reati associativi di stampo camorristico. Ma dalle comunicazioni captate emergevano altri reati a carico dello stesso imputato, commessi però per fini personali, quale quello di favorire il proprio figlio nell'assegnazione di appalti attraverso l'intestazione fittizia di società partecipanti a gara pubblica. Pertanto, il Pubblico ministero provvedeva, ex art. 335 c.p.p., a nuova ed autonoma iscrizione nel registro delle notizie di reato del ricorrente (e di altre persone in origine non indagate) e alla formazione di un nuovo fascicolo, previo stralcio dal precedente procedimento. La questione
Com'è noto, per le captazione mediante virus trojan, mentre in precedenza si applicava l'art. 270, comma 1, c.p.p., per cui i risultati delle intercettazioni potevano essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali esse sono state disposte solo se risultavano indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza, per i procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020, il “nuovo” comma 1-bis stabilisce che «fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, se compresi tra quelli indicati dall'articolo 266, comma 2-bis». Le soluzioni giuridiche
La Corte, per accertare la sussistenza o meno dei presupposti legittimanti l'utilizzabilità delle intercettazioni, ha dovuto risolvere una serie di questioni, che potevano trovare soluzioni diverse e anzi antitetiche. Infatti, si doveva accertare, in ordine progressivo, l'identità o la diversità tra i due procedimenti, di cui l'uno stralciato dal primo; l'applicabilità della previgente o dell'attuale disciplina in materia ex art. 270 c.p.p.; e infine, la connessione, ex art. 12 c.p.p., tra i fatti relativi al procedimento originario e quelli in esame. La riconosciuta diversità dei procedimenti. Sulla prima questione, la sentenza esclude che si tratti del medesimo procedimento e ritiene che i due procedimenti a carico del ricorrente siano diversi, pur promanando da una medesima originaria indagine, in quanto, proprio dalle intercettazioni, il Pubblico ministero ha raccolto elementi di ulteriori fatti costituenti reato nei confronti di soggetti diversi da quelli per i quali stava procedendo, tanto da avere provveduto doverosamente, ex art. 335 c.p.p., a nuova ed autonoma iscrizione nel registro delle notizie di reato del ricorrente (e di altre persone in origine non indagate) e alla formazione di un nuovo fascicolo, previo stralcio. Nella fattispecie concreta, il trojan sul telefono dell'imputato era stato adottato inizialmente per l'accertamento di reati associativi di stampo camorristico. Ma dalle comunicazioni captate emergevano altri reati a carico dello stesso imputato, commessi però per fini personali, quale quello di favorire il proprio figlio nell'assegnazione di appalti attraverso l'intestazione fittizia di società partecipanti a gara pubblica. Si tratta quindi di procedimenti, ma ancor prima di reati, diversi da quello per il quale fu autorizzata l'intercettazione. L'applicabilità della previgente disciplina. Una volta esclusa l'identità del procedimento, alle intercettazioni autorizzate in quello originario prima del 31 agosto 2020, la Corte applica correttamente la disciplina del previgente art. 270 c.p.p., secondo cui l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni disposte nell'ambito di un processo è ammesso in procedimenti diversi purché si tratti di reati per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza. Osserva la Corte che la ratio della disposizione, ed il limite fissato in termini così rigorosi, è individuato dalle Sezioni unite negli interessi in gioco, perchè «Consentire, in caso di commissione dei reati o di emersione del nuovo reato nel procedimento ab origine iscritto, l'utilizzazione probatoria dell'intercettazione in relazione a reati che non rientrano nei limiti di ammissibilità fissati dalla legge si tradurrebbe nel surrettizio, inevitabile aggiramento di tali limiti, con grave pregiudizio per gli interessi sostanziali tutelati dall'art. 266 c.p.p. che intende porre un limite all'interferenza nella libertà e segretezza delle comunicazioni in conformità all'articolo 15 della Costituzione» (Cass. pen., sez. un., 28 novembre 2019, n. 51, Cavallo, Rv. 277395). Quindi, nelle ipotesi in cui dalle captazioni emergano reati, diversi ed ulteriori rispetto a quelli oggetto di autorizzazione, per i quali non è consentito l'arresto obbligatorio in flagranza, i risultati di queste non sono utilizzabili. L'assenza di connessione tra i diversi reati. La Corte afferma che resta da accertare se vi sia connessione, ex art. 12 c.p.p., tra i fatti per i quali l'autorizzazione era stata ab origine disposta, e quelli in esame perché, in tal caso, i risultati delle intercettazioni sarebbero utilizzabili purchè rientranti nei limiti di ammissibilità di cui all'art. 266 c.p.p. (Cass. pen., sez. un., 28 novembre 2019, n. 51, Cavallo, Rv. 277395, cit.). Ma, secondo la sentenza, dai risultati delle stesse captazioni e dai reati evincibili da queste non risulta connessione tra i fatti contestati all'indagato nel procedimento originario e quelli del presente procedimento stralciato. Ricorda la Corte i principi enunciati dalle Sezioni unite, secondo cui la connessione ex art. 12 c.p.p. sussiste: quando tra i procedimenti la regiudicanda oggetto di ciascun reato viene, anche in parte, a coincidere con quella oggetto degli altri (Cass. pen., sez. un., 28 febbraio 2013, n. 27343, Taricco, Rv. 255345) oppure vi è un legame oggettivo tra due o più reati (Cass. pen., sez. un., 26 ottobre 2017, n. 53390, Patroni Griffi, Rv. 271223) o risulta il medesimo disegno criminoso per cui al momento della commissione del primo reato della serie, i successivi erano stati realmente già programmati almeno nelle loro linee essenziali (Cass. pen., sez. un., 18 maggio 2017, n. 28659, Gargiulo, Rv. 270074). D'altronde, questa è la ragione per la quale, in caso di imputazioni connesse ex art. 12 c.p.p., il procedimento relativo al reato per il quale l'autorizzazione è stata espressamente concessa non può considerarsi "diverso", nei termini indicati dall'art. 270, comma 1, c.p.p., rispetto al procedimento relativo al reato accertato in forza dei risultati dell'intercettazione. È proprio il legame sostanziale tra le imputazioni ad escludere che l'autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di "un'autorizzazione in bianco" tale da determinare, proprio alla luce della disciplina per come precedentemente interpretata, l'utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali erano state autorizzate. Osservazioni
La sentenza va perciò incondizionatamente condivisa perché afferma la diversità tra i due procedimenti, di cui l'uno stralciato dal primo e, esclusa la connessione, ex art. 12 c.p.p., tra i fatti relativi al procedimento originario e quelli in esame, applica di conseguenza la previgente disciplina ex art. 270 c.p.p. Risultano quindi correttamente affermati i principi di diritto in materia di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in un diverso procedimento, nel rispetto dell'inviolabilità della segretezza delle comunicazioni, sancita dall'art. 15 Cost.
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