Retribuzione minima del socio lavoratore: parametro legale e ripartizione dell'onere della prova

30 Marzo 2023

Nella sentenza in commento, la Suprema Corte si è interrogata sulla ripartizione dell'onere probatorio tra socio lavoratore e datore di lavoro in caso di contestazione, da parte dei lavoratori, sulla individuazione della fonte collettiva da applicare al rapporto in essere.
Massima ufficiale

In tema di società cooperative, l'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248/2007, impone al datore di lavoro, in presenza di una pluralità di contratti collettivi, di corrispondere in favore dei soci lavoratori subordinati la retribuzione minima assicurata dal contratto collettivo di categoria concluso dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale; ne deriva che, in caso di contestazione, spetta alla cooperativa datrice di lavoro dimostrare che il trattamento economico accordato non è inferiore a quello riconosciuto dal contratto collettivo stipulato dall'associazione maggiormente rappresentativa, offrendo, altresì, la prova della maggiore rappresentatività dell'organizzazione sindacale stipulante.

Il caso

Tre soci lavoratori di cooperativa hanno agito in giudizio al fine di vedersi riconosciuto il pagamento delle differenze retributive maturate per erronea applicazione del contratto collettivo. Nello specifico i ricorrenti hanno rappresentato che il datore di lavoro – società di servizi cooperativa – aveva applicato ai rapporti di lavoro in questione il CCNL UNCI multiservizi in luogo del CCNL Logistica, Trasporto, Merci e Spedizioni che, secondo le deduzioni dei lavoratori, doveva ritenersi applicabile in ragione della “notoria” maggiore rappresentatività a livello nazionale dei sindacati stipulati, nel rispetto della disposizione di cui all'art. 7, comma 4, d.l. 31 dicembre 2007, n. 248.

La domanda è stata rigettata in primo grado ed anche dalla Corte di Appello. Quest'ultima, in particolare, ha ritenuto che la richiesta applicazione del CCNL Logistica, Trasporto, Merci e Spedizioni non fosse adeguatamente supportata sotto il profilo probatorio, non ritenendo sufficiente la qualificazione come “fatto notorio” della maggiore rappresentativa delle sigle sindacali che avevano stipulato il predetto contratto collettivo.

La pronuncia in commento, sovvertendo la statuizione dei giudici di merito, sotto il profilo dell'onere probatorio, ha, invece, disposto la cassazione della sentenza della Corte di appello con rinvio a quest'ultima, in diversa composizione, per giudicare sulla base del principio di diritto secondo cui spetta al datore di lavoro l'onere di dimostrare che il CCNL applicato e, conseguentemente, i trattamenti economici riconosciuti ai lavoratori non violino il dictum dell'art. 7, comma 4, d.l. n. 248/2007.

Le questioni

La questione esaminata dalla Corte di Cassazione attiene alla portata applicativa della disposizione di cui all'art. 7 cit., la quale espressamente stabilisce che «Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell'ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria».

In tale contesto, la Suprema Corte si è interrogata sulla ripartizione dell'onere probatorio tra socio lavoratore e datore di lavoro in caso di contestazione, da parte dei lavoratori, sulla individuazione della fonte collettiva da applicare al rapporto in essere.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione è stata chiamata a dirimere in punto di diritto una controversia sorta nell'alveo dei rapporti di lavoro dei soci di cooperativa. Nonostante i pronunciamenti conformi dei primi due gradi di giudizio, che avevano rigettato le domande dei ricorrenti, la questione ha superato il vaglio di cui all'art. 375 c.p.c. e con ordinanza della sezione sesta della Cassazione la causa è stata rimessa alla sezione lavoro «trattandosi di questioni di evidente rilievo nomofilattico».

I Giudici del supremo collegio, così, hanno ritenuto fondato il primo motivo di impugnazione della sentenza della Corte di Appello di Milano con il quale i soci lavoratori hanno dedotto violazione e falsa applicazione dell'art. 2692 c.c. nonché dell'art. 2729 e dell'art. 7, comma 4, d.l. n. 248/2007. Nello specifico la deduzione è stata fondata sulla considerazione che l'onore di provare la legittimità dei trattamenti applicati dalla cooperativa – in caso di contestazione – fosse integralmente a carico del datore di lavoro in quanto unico soggetto in grado di disporre di dati certi sul grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali.

Il giudizio di rinvio, pertanto, dovrà accertare, mediante prova (o principio di prova) fornita dal datore di lavoro se il CCNL Logistica, Trasporto, Merci e Spedizioni sia o meno il contratto collettivo stipulato dai sindacati e dalle associazioni datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nel settore di riferimento. Raggiunta (o meno) la prova, il giudizio di merito potrà valutare se i diritti dei lavoratori ricorrenti siano stati violati a mezzo dell'applicazione e del riconoscimento di un trattamento economico complessivamente inferiore a quello previsto dal CCNL “più rappresentativo”.

Osservazioni

La pronuncia in commento rappresenta un intervento emblematico della Cassazione sotto il profilo della funzione nomofilattica.

La Suprema Corte, infatti, apre la propria motivazione riproponendo il testo della norma di legge indicata dai ricorrenti quale disposizione falsamente applicata dalla sentenza di merito del grado di appello, l'art. 7, comma 4, d.l. n. 248/2007. La trascrizione della norma consente ai Giudici di illustrare in poche ma efficaci battute il significato da attribuire alla disposizione e, conseguentemente, le prescrizioni di natura processuale che devono essere seguite nell'applicazione della stessa.

La sentenza qui annotata, infatti, evidenzia che l'art. 7, comma 4 cit., sia norma di assoluta chiarezza nell'individuare il parametro cui commisurare la retribuzione minima dei soci lavoratori e, di conseguenza, imponga al datore di lavoro l'obbligo di dimostrare che il trattamento concretamente applicato non sia inferiore a quello stabilito dai contratti collettivi stipulati da associazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

In sostanza, il datore di lavoro è libero di applicare ai propri lavoratori il contratto collettivo che ritiene maggiormente opportuno ma non può esimersi dal riconoscere un trattamento economico complessivo almeno pari a quello dei CCNL stipulati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative. Da qui nasce il principio di diritto espresso dalla sentenza e che condizionerà l'andamento del giudizio di rinvio.

Spetta al datore di lavoro fornire la prova che il trattamento assegnato non sia deteriore rispetto a quello del CCNL stipulato dai soggetti comparativamente più rappresentativi e, di conseguenza, è onere esclusivo dell'impresa quello di individuare quale sia il CCNL parametro per poi capire se l'applicazione di un contratto diverso non lo esponga a rischi per violazione di norma di legge. Di converso, il lavoratore può limitarsi ad allegare una presunzione di violazione di norma di legge per ottenere un controllo sul trattamento economico riconosciuto.

La Cassazione, nella decisione in questione, fa applicazione estensiva di un proprio precedente in materia previdenziale, intervenuto con la sentenza 16 aprile 2015, n. 7781 ove i Giudici avevano ritenuto che la prova della rappresentatività dei sindacati stipulanti il CCNL applicato fosse a carico del datore di lavoro in considerazione dei fini pubblicistici della questione (sgravi contributivi, nella specie).

Tanto considerato, la sentenza commentata apre ad una riflessione più ampia in ordine alla validità da attribuire ai diversi contratti collettivi presenti in un medesimo settore e, soprattutto, alla libera determinazione da parte del datore di lavoro, libero da vincoli derivanti dall'affiliazione all'associazione datoriale, in ordine al contratto da applicare ai rapporti di lavoro alle proprie dipendenze.

L'andamento giurisprudenziale che può dirsi tracciato dalla Cassazione, con la sentenza qui commentata e con quella precedente del 2015, pone in capo al legislatore il potere di determinare la prevalenza di un contratto sull'altro, seppure in casi specifici e connotati da ragioni di peculiare importanza (il fine pubblicistico nel 2015, l'intrinseca debolezza contrattuale dei soci lavoratori di cooperativa nel 2022).

A questo punto, anche considerando i recenti sviluppi in tema di salario minimo, per non parlare degli approdi raggiunti in via negoziale dal TU sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 in avanti, non sembrerebbe da visionari immaginare una legge c.d. sindacale che definisca in modo uniforme criteri e regole per la individuazione delle soglie di rappresentativa delle associazioni datoriali e sindacali. Legge che condurrebbe, all'evidenza, ad una semplificazione applicativa e ad una uniformità di trattamento in settori omogenei.

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