Licenziamento del dirigente di impresa creditizia in distacco per ristrutturazione aziendale: non vi è l'obbligo di repêchage
30 Marzo 2023
Massima
Quanto all'obbligo di dimostrare che non vi erano altre posizioni presso cui ricollocare il lavoratore distaccato va evidenziato che, ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente il cui rapporto di lavoro sia stato risolto in occasione della soppressione del posto presso il quale era stato occupato non si accompagna un obbligo per il datore di lavoro di verificare l'esistenza in azienda di altre posizioni utili presso cui ricollocarlo. Tale eventualità è inconciliabile con la stessa posizione dirigenziale del lavoratore, posizione che, d'altro canto, giustifica la libera recedibilità del datore di lavoro senza che possano essere richiamati i principi elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente (cfr. Cass. 11 febbraio 2013, n. 3175).
L'indennità di mancato preavviso non rientra nella base di computo del T.f.r. poiché essa non è dipendente dal rapporto di lavoro essendo invece riferibile ad un periodo non lavorato, una volta avvenuta la cessazione del detto rapporto (cfr. Cass. 29 novembre 2012, n. 21270 e 5 ottobre 2009, n. 21216). Il caso
Il contenzioso riguarda un licenziamento illegittimo di un dipendente di una nota Banca, il quale, in distacco presso la società di Leasing del gruppo, ebbe a vedersi comunicata prima la soppressione del posto di responsabile commerciale e poi la cessazione del distacco, con conseguente licenziamento per impossibilità di ricollocamento presso l'originario Istituto di credito.
Poco prima del licenziamento, il dipendente si trovava in malattia. Sul rilievo che la malattia avesse sospeso il preavviso, più lungo comunque di ulteriori sei mesi in base all'art. 28 del c.c.n.l. del credito, e che il licenziamento fosse illegittimo, ben potendo il lavoratore essere collocato in altra posizione, distaccato o essere assegnato a mansioni inferiori, l'ex dipendente chiese in giudizio il trattamento di malattia comprensivo del rateo di tredicesima, l'integrazione dell'indennità sostitutiva del preavviso e la declaratoria di illegittimità del licenziamento con condanna della Banca convenuta al pagamento dell'indennità supplementare e integrazione del T.f.r., oltre alla somma destinata al Fondo pensione del gruppo.
Il Giudice di legittimità, sul motivo di ricorso proposto dal dipendente e riferito all'assenza di prova da parte del datore di lavoro dell'impossibilità di ricollocare il lavoratore presso la distaccante, si concentra sull'eventuale obbligo di “repêchage” per i dirigenti, respingendo le tesi del prestatore di lavoro. Sul ricorso incidentale della Banca, la Corte di Cassazione respinge il primo motivo sulla durata di soli sei mesi del preavviso e accoglie, per quello che qui interessa, il motivo per cui l'indennità di mancato preavviso non possa essere considerata base di calcolo del T.f.r. La questione
La sentenza della Corte di Cassazione in commento offre molteplici spunti di riflessione.
In prima battuta ci si chiede se, per un dirigente distaccato, valgano i principi di matrice giurisprudenziale del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente e, per l'effetto, se il datore di lavoro recedente debba indagare, prima di procedere con il recesso, l'esistenza di altre posizioni utili a cui destinare il lavoratore.
Infine, ci si interroga se l'indennità di mancato preavviso possa rientrate nella base di calcolo del T.f.r. Le soluzioni giuridiche
L'ipotesi all'esame dei Giudici di legittimità riguarda un lavoratore distaccato. Giova pertanto precisare che si configura distacco laddove un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente il prestatore di lavoro a disposizione di un altro soggetto, pur rimanendo il distaccante responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore (cfr. art. 30 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276).
Il nostro lavoratore dunque, durante il distacco, è rimasto inciso dal recesso esercitato dal datore di lavoro, distaccante.
Di norma, l'art. 2118 c.c. prevede il recesso del contratto di lavoro a tempo indeterminato alle seguenti condizioni: [I] ciascuno dei contraenti può recedere dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dagli usi o secondo equità; [II] in mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l'altra parte a un'indennità equivalente all'importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso.
Secondo l'art. 2119 c.c. si può recedere senza preavviso qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro e salva, comunque, l'indennità.
In tema di licenziamenti individuali, ricorrono poi le norme limitative di cui alla legge n. 604/1966 che all'art. 1 riconosce la possibilità di licenziamento per la giusta causa dell'art. 2119 c.c. o per giustificato motivo e all'art. 3 stabilisce che il giustificato motivo è dato da un notevole inadempimento ovvero da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa.
Strettamente connesso al giustificato motivo oggettivo di licenziamento è il c.d. “repêchage”,ossia l'obbligo per il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento, di valutare tutte le ipotesi di ricollocazione all'interno dell'azienda del lavoratore.
Ed è sul punto che si sostanzia la peculiarità del caso che ci occupa, in quanto il lavoratore licenziato di cui si tratta ricopre incarichi dirigenziali.
Il dirigente rappresenta una categoria di lavoratore subordinato il cui rapporto è regolato quasi esclusivamente da normative speciali e dalla contrattazione collettiva del settore di appartenenza. Il rapporto di lavoro tra dirigenti ed azienda, come per la generalità dei lavoratori dipendenti, può cessare per risoluzione consensuale, licenziamento (individuale o collettivo) o dimissioni.
Per quanto concerne il caso di licenziamento individuale, per costante giurisprudenza di legittimità, il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle sopra citate norme limitative di cui alla legge n. 604/1966, visto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro in base a cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello di iniziativa economica, garantita dall'art. 41 Cost., che verrebbe realmente negata ove si impedisse all'imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell'impresa.
La posizione dirigenziale del lavoratore, secondo lo Corte di Cassazione in esame, giustifica la circostanza che il datore di lavoro possa esercitare liberamente il recesso e che il dipendente non possa richiamare i principi elaborati dalla giurisprudenza per la diversa ipotesi del licenziamento per giustificato motivo del non dirigente (cfr. Cass. 11 febbraio 2013, n. 3175; Cass. 11 gennaio 2022, n. 569 che richiama anche Cass. n. 14193/2016).
La nozione di giustificatezza prevista per il licenziamento del dirigente non coincide con quella di giustificato motivo (soggettivo o oggettivo) stabilita dalla legge per gli ordinari rapporti di lavoro ma è molto più ampia (Cass, n. 3121/2015). Ai fini del licenziamento del dirigente il cui rapporto di lavoro sia stato risolto in occasione della soppressione del posto di lavoro non sussiste quindi alcun obbligo per il datore di lavoro di verificare l'esistenza in azienda di altre posizioni utili presso cui ricollocarlo. La Corte di Cassazione arriva così ad affermare che l'obbligo di “repêchage” deve essere escluso nei confronti del dirigente in quanto incompatibile con tale posizione dirigenziale assistita da un regime di libera recedibilità (Cass. n. 3175/2013).
La Corte di Cassazione in commento ribalta invece la decisione della Corte di Appello sul punto riguardante la base di calcolo del T.f.r. e l'indennità di mancato preavviso. In merito all'art. 29 comma 1 del c.c.n.l. di categoria applicabile rationae temporis che prevede e disciplina le modalità di calcolo del T.f.r. e le poste retributive che concorrono alla sua formazione, i Giudici di legittimità ritengono che tra queste non rientri l'indennità sostitutiva del preavviso.
Ciò viene desunto dall'orientamento giurisprudenziale prevalente che vede prevalere la natura obbligatoria piuttosto che reale del preavviso.
Nel contratto a tempo indeterminato se il preavviso avesse efficacia reale ciò comporterebbe, in mancanza di diverso accordo delle parti, il diritto alla prosecuzione del rapporto stesso e di tutte le connesse obbligazioni fino alla scadenza del termine. In realtà, la natura obbligatoria e non reale del preavviso di licenziamento comporta la risoluzione immediata del rapporto, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente, nell'esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l'efficacia sino al termine del periodo di preavviso (cfr. Cass. 4 novembre 2010, n. 22443, 11 giugno 2008, n. 15495 e 21 maggio 2007, n. 11740).
Ne discende che il periodo di mancato preavviso deve essere escluso dal computo delle mensilità aggiuntive, delle ferie e del T.f.r. in quanto essendo mancato l'effettivo servizio, il lavoratore ha diritto esclusivamente alla indennità sostitutiva del preavviso ma non anche al suo calcolo per quel che qui interessa nel T.f.r. Osservazioni
Si offrono alcuni spunti di riflessione sorti a seguito della lettura della sentenza della Corte di Cassazione n. 1581/2023.
La giurisprudenza di legittimità sembra ormai salda nel ritenere che, in caso di licenziamento del dirigente d'azienda per esigenze di ristrutturazione aziendale, sia esclusa la possibilità del “repêchage” in quanto incompatibile con la posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro.
Orbene, si può ben affermare che possa rendere giustificato il licenziamento del dipendente in posizione dirigenziale una crisi aziendale non necessariamente tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa la prosecuzione del rapporto di lavoro.
In questo caso, il principio di correttezza e di buona fede che fonda il diritto di licenziamento deve essere coordinato con quello della libera iniziativa economica (art. 41 Cost.) che verrebbe pregiudicata se si impedisse all'imprenditore, a fronte di razionali ristrutturazioni aziendali, di scegliere i dirigenti ritenuti idonei a collaborare con lui (Cass. 8 marzo 2012, n. 3628).
Deve rimanere comunque ingiustificato il licenziamento se il Giudice accerta che, alla base, sussiste un motivo del tutto pretestuoso e non corrispondente alla realtà (Cass. 3 giugno 2013, n. 13918).
Altrettanto pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza è il principio della natura obbligatoria del preavviso di licenziamento. Da ciò consegue, a detta della Suprema Corte, che, dal computo delle mensilità aggiuntive, delle ferie e del T.f.r. debba essere escluso il periodo di mancato preavviso ed il lavoratore ha quindi diritto esclusivamente alla indennità sostitutiva del preavviso.
L'indennità di mancato preavviso non rientra nella base di computo del T.f.r. poiché essa non è dipendente dal rapporto di lavoro essendo invece riferibile ad un periodo non lavorato, una volta avvenuta la cessazione del detto rapporto, mentre nel trattamento di fine rapporto confluiscono in base a quanto previsto dall'art. 2120 c.c.: “ tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese.”. |