La cartolarizzazione dei crediti ex L. n. 130/1999: nuove pronunce, vecchie questioni ed orizzonti più nitidi

Marco Terenghi
31 Marzo 2023

Il Tribunale di Crotone, con la pronuncia in commento, coglie l'opportunità di affrontare in modo approfondito la materia della c.d. “cartolarizzazione” dei crediti disciplinata dalla L. 30 aprile 1999, n. 130, illustrandone dapprima le principali caratteristiche strutturali e soffermandosi poi su alcune delle questioni più delicate riscontrabili nell'ordinario contenzioso generato dallo strumento, vale a dire l'efficacia (opponibilità) della cessione rispetto al debitore ceduto e la dimostrazione, ad opera del cessionario, della titolarità del credito stesso in caso di sua contestazione da parte del debitore.
Massime

a) Ai sensi dell'art. 4 L 30 aprile 1999, n. 130 (che richiama tra l'altro l'art. 58, commi 2-3-4, D. lgs. 1.9.1993, n. 385), la cessione del credito nell'ambito di una operazione di cartolarizzazione è opponibile al debitore ceduto in virtù della sua iscrizione nel registro delle imprese e della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, poiché tali adempimenti producono gli effetti indicati dall'art. 1264 c.c., ed esonerano quindi il cessionario dalla notifica al debitore ceduto.

b) In tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, il mero deposito agli atti di causa della pubblicazione dell'avviso in Gazzetta Ufficiale privo di indicazioni sufficienti ad accertare l'inclusione del credito oggetto di contestazione nell'operazione di cessione “in blocco” ai sensi della L. 30 aprile 1999, n. 130, deve ritenersi inidoneo a dimostrare la titolarità del credito in capo all'affermato cessionario.

c) E' sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione in giudizio dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, solo a condizione che gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione e l'inclusione, tra questi ultimi, di quello oggetto di contestazione.



Il caso

Una banca, dopo avere ottenuto decreto ingiuntivo contro un debitore persona fisica, cede il proprio credito ad un'altra società nell'ambito di un'operazione di cartolarizzazione di crediti ai sensi della L. 30 aprile 1999, n. 130. La cessionaria, per il tramite di una mandataria incaricata della gestione e del recupero del credito, promuove una procedura esecutiva a carico del debitore ceduto, contro la quale quest'ultimo si oppone deducendo, tra l'altro, il difetto di prova circa la legittimazione attiva della procedente, ed ottenendo così in prima battuta la sospensione del procedimento espropriativo. L'opponente promuove successivamente con citazione il giudizio di merito ai sensi dell'art. 618, secondo comma, c.p.c., all'esito del quale il Tribunale di Crotone accoglie parzialmente l'opposizione dell'esecutato e, nel riqualificare l'eccezione (di rito) di carenza di legittimazione attiva in quella (di merito) di insussistenza della titolarità nel lato attivo del rapporto controverso, accoglie quest'ultima, e statuisce che la società cessionaria, pur avendo provato l'opponibilità della cessione alla debitrice ceduta, non ha validamente dimostrato di essere titolare del credito oggetto della cessione stessa.



Le questioni giuridiche e le relative soluzioni

Il Tribunale coglie l'opportunità di affrontare in modo approfondito la materia della c.d. “cartolarizzazione” dei crediti disciplinata dalla L. 30 aprile 1999, n. 130, illustrandone dapprima le principali caratteristiche strutturali e soffermandosi poi su alcune delle questioni più delicate riscontrabili nell'ordinario contenzioso generato dallo strumento, vale a dire l'efficacia (opponibilità) della cessione rispetto al debitore ceduto e la dimostrazione, ad opera del cessionario, della titolarità del credito stesso in caso di sua contestazione da parte del debitore.

Cessione “isolata” e “cessione in blocco” - Come noto, ai sensi dell'art. 1264 c.c. la cessione del credito ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando quest'ultimo l'abbia accettata o gli sia stata notificata, salva la prova da parte del cessionario della conoscenza anteriore rispetto alla notifica, in capo al debitore ceduto, dell'avvenuta cessione, che esclude l'effetto liberatorio del pagamento eseguito medio tempore. La “notificazione” viene normalmente qualificata come una dichiarazione di scienza recettizia a forma libera, proveniente indifferentemente dal cedente o dal cessionario (Mancini, La cessione dei crediti, in Tratt. Rescigno, 9, I, 2a ed., Torino, 1999, 473; Finazzi, La cessione del credito, in Alessi, Mannino (a cura di), La circolazione del credito, I, in Trattato delle obbligazioni diretto da Garofalo - Talamanca, Padova, 2008, 457; Galgano, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2009, 111; in giurisprudenza Cass. 13 maggio 2021 n. 12734, Cass. 28 gennaio 2014 n. 1770; Cass. 26 aprile 2004 n. 7919), che non va necessariamente effettuata con l'osservanza delle forme previste per gli atti processuali e, in particolare, a mezzo di ufficiale giudiziario (Finazzi, La cessione, cit., 610; Galgano, Trattato, cit., 111; Pittalis, La cessione del credito, in Franzoni (a cura di), Le obbligazioni, I, 1, Torino, 2004, 637; Valentino, Le cessioni dei crediti, il factoring e la cartolarizzazione, Napoli, 2003, 81. In giurisprudenza Cass. 19 maggio2017 n. 12616; Cass. 21 dicembre 2005 n. 28300).

In relazione al suo contenuto, si tende ad escludere la necessità di notificare al debitore una copia integrale dell'atto di cessione, ritenendosi invece sufficiente la comunicazione al ceduto di un atto contenente l'indicazione di tutti gli elementi essenziali del trasferimento (riferimento al rapporto obbligatorio tra cedente e ceduto ed al titolo da cui il credito deriva; data dell'atto di cessione; ammontare del credito oggetto di trasferimento; indicazione nominativa del cessionario e dell'eventuale notaio rogante; data di registrazione) (Panuccio, La cessione volontaria dei crediti, Napoli, 1955, 876; Pittalis, cit., 637). Sempre sotto il profilo formale, si sostiene che la notificazione non deve necessariamente essere sottoscritta dal cedente, in quanto é sufficiente che risulti in modo inequivocabile la sua provenienza da quest'ultimo, in modo da consentire al debitore di acquisire, da un lato, la prova dell'avvenuta cessione e, dall'altro, un'agevole ed adeguata contezza dell'intervenuto trasferimento del diritto soggettivo (secondo Cass. 26 aprile 2004 n. 7919, addirittura, costituisce valida notificazione della cessione la dichiarazione, inserita nelle fatture, che il relativo credito è stato ceduto).

Fenomeno ben più ampio della cessione “atomistica” prevista dagli artt. 1260 e c.c. è quello della cessione “in blocco” introdotta da alcune leggi speciali, quali ad esempio la L. 21.2.1991, n. 52 in materia di factoring (il cui art. 3 menziona espressamente la cessione “in massa” di crediti pecuniari d'impresa, esistenti o futuri, in favore di una banca o di un intermediario finanziario autorizzato) e, soprattutto, la L. 30 aprile 1999, n. 130, che sulla cessione “in blocco” di crediti monetari innesta la c.d. “cartolarizzazione” (o “securitization”), ossia l'emissione da parte del cessionario di titoli, i proventi della cui sottoscrizione sono destinati al pagamento del corrispettivo della cessione, ed il cui rimborso ai sottoscrittori (insieme all'attribuzione in loro favore dei rendimenti promessi) deriva dalla riscossione presso i debitori dei crediti ceduti. Poiché un'operazione di securitization comporta di norma il trasferimento di numerosissime posizioni creditorie che, secondo le regole ordinarie, richiederebbe l'invio di comunicazioni massive ai debitori interessati dalla cessione, l'art. 4 L n. 130/1999, nell'intento di agevolare il cessionario sotto il profilo dell'espletamento dei vari incombenti post-cessione, stabilisce, richiamando tra l'altro espressamente l'art. 58, commi 2-3-4, D.lgs. 1.9.1993, n. 385, che la cessione del credito nell'ambito di un'operazione di cartolarizzazione è opponibile al debitore ceduto in virtù della sua iscrizione nel registro delle imprese e della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, poiché tali adempimenti producono gli effetti indicati dall'art. 1264 c.c., ed esonerano quindi il cessionario dalla notifica al debitore ceduto. Peraltro, il rinvio secco all'art. 58 del Testo Unico Bancario non viene accompagnato da alcuna precisazione circa il contenuto minimo che la pubblicazione deve assumere, tanto che fin dai primi commenti alla L. n. 130/1999 si era segnalata la necessità di fornire, in sede normativa, maggiori indicazioni in ordine ai criteri da adottare per l'individuazione dei crediti “in blocco”, senza doverne affidare l'elaborazione all'attività interpretativa del giudice (Seassaro, La cessione dei crediti. Opponibilità ai debitori ceduti ed ai terzi, in Pardolesi (a cura di), La cartolarizzazione dei crediti in Italia, Milano, 1999, 142; Scaroni, Il patrimonio separato della società veicolo, in Contr. e Impr., 2005, n. 3, 1075 e segg). Esigenza, questa, opportunamente evidenziata in chiave predittiva, poiché l'esperienza del contenzioso scaturito dall'applicazione delle norme sulla “cartolarizzazione” ha subito individuato tra i propri temi più caldi proprio quello della prova della cessione e della conseguente titolarità del credito in capo al cessionario.

La “cartolarizzazione” - La L. 30 aprile 1999, n. 130, come anticipato poco sopra, ha introdotto e disciplinato la figura delle “operazioni di cartolarizzazione” realizzate, in favore di particolari soggetti e secondo specifiche modalità attuative, mediante cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, presenti e futuri, individuabili anche in blocco (in argomento, tra i molti, Galletti-Guerrieri, La cartolarizzazione dei crediti, Bologna, 2002; De Nova e Leo, La securitization in Italia (commento alla l. 30 aprile 1999 n. 130), in Contratti, 1999, 711 s.; Di Ciommo, I soggetti che svolgono operazioni di cartolarizzazione e la separazione patrimoniale, in La cartolarizzazione dei crediti in Italia (commentario alla legge 30 aprile 1999 n. 130), a cura di Pardolesi, Milano, 1999, 51 ss.; ; Rucellai, La legge sulla cartolarizzazione dei crediti, in Giur. comm., 1999, I, 411 ss.; Id., La cartolarizzazione in Italia a due anni dall'entrata in vigore della L. 30 aprile 1999, n. 130, in Giur. comm., 2001, I, 392 ss.; Proto, La nuova legge sulla cartolarizzazione dei crediti, in Fallimento, 1173 ss.; Sciarrone Alibrandi, Brevi note sulla l. 30 aprile 1999, n. 130, recante “Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti”, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, 489 ss.; Spano, Appunti e spunti in tema di cartolarizzazione dei crediti, in Giur. comm., 1999, I, 436 ss.; Petraglia, La legge sulla cartolarizzazione dei crediti: brevi riflessioni, in Corr. giur., 1999, 1071 ss.; Ragusa Maggiore, La revocatoria fallimentare nella legge sulla cartolarizzazione dei crediti, in Vita not., 1999, I, 1167 ss.; G. Rumi, Securitisation in Italia. La legge n. 130/1999 sulla cartolarizzazione dei crediti, in Giur. comm., 2000, I, 438 ss.; Guerrieri, sub Art. 1, in Aa.Vv., Legge 30 aprile 1999, n. 130, cit., 997 ss.; Frignani, Trust e cartolarizzazione, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 19 ss.; A. Carinci, sub Art. 6, in Aa.Vv., Legge 30 aprile 1999, n. 130 , cit., 1129 ss.; Rordorf, Cartolarizzazione dei crediti e tutela del risparmio, in Società, 2000, 1163 ss.; Maimeri, Il trust nelle operazioni bancarie. La cartolarizzazione dei crediti, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, 329 ss.; Schlesinger, La cartolarizzazione dei crediti, in Riv. dir. civ., 2001, II, 265 ss.; P. Gabriele, La cartolarizzazione dei crediti: tipizzazione normativa e spunti analitici, in Giur. comm., 2001, I, 512 ss.; Bessone, Cartolarizzazione dei crediti. “Soggetti”, disciplina delle attività, garanzie di pubblica vigilanza, in Dir. borsa e merc. fin., 2002, I, 3 ss.; Macario, Aspetti civilistici della cartolarizzazione dei crediti, in Riv. dir. priv., 2002, 5 ss.; M. Sacchi, Trust e tecniche di finanziamento dell'impresa: le operazioni di cartolarizzazione in Italia, in Trusts e attività fiduciarie, 2002, 530 ss.; Messinetti, Il concetto di patrimonio separato e la c.d. “cartolarizzazione” dei crediti, in Riv. dir. civ., 2002, II, 101 ss.; Carota, Della cartolarizzazione dei crediti, Padova, 2002, 29 ss. e passim; Valentino, Le cessioni dei crediti, il factoring e la cartolarizzazione, Napoli, 2003, 211 ss.; V. Troiano, Le operazioni di cartolarizzazione. Profili generali, Padova, 2003, 27 ss.).

La c.d. “cartolarizzazione” del credito (securitization) è una complessa operazione concepita per smobilizzare una serie di crediti pecuniari (presenti o futuri) di cui sia titolare un'impresa definita originator, individuabili secondo criteri omogenei, attraverso la loro cessione in blocco a titolo oneroso (normalmente pro soluto) a favore di un soggetto, denominato società per la cartolarizzazione – o special purpose vehicle (SPV) – ed esercente in via esclusiva l'attività di cartolarizzazione, il quale provvede (direttamente o tramite una terza società denominata issuer) ad emettere titoli incorporanti i crediti ceduti (costituenti strumenti finanziari a tutti gli effetti: cfr. art. 2, comma 1., L. 130/1999) ed a collocarli sul mercato dei capitali per ricavare la liquidità necessaria a pagare il corrispettivo della cessione e le spese dell'operazione. Il rimborso del capitale e il pagamento degli interessi convenzionali sui titoli emessi vengono garantiti agli investitori dall'ammontare complessivo dei crediti ceduti, da ogni altro credito maturato dalla SPV nel contesto dell'operazione, dai relativi incassi (quindi dai pagamenti dei debitori ceduti) e dalle attività finanziarie acquistate con i medesimi titoli.

La cartolarizzazione risponde quindi a differenti esigenze e persegue nel contempo finalità tra loro diverse: dal punto di vista dell'originator, anzitutto, essa realizza una specifica forma di finanziamento che gli consente di “monetizzare ricchezza virtuale” e di diversificare le fonti di approvvigionamento della liquidità (si veda il Reg. 2017/2402/UE; in dottrina W. Virga, Le operazioni di cartolarizzazione tra tutela degli investitori ed esigenze del capitale finanziario, in Contratto e Impresa, 2007, 1027), ripartendo così in modo più ampio il rischio all'interno del sistema finanziario dell'Unione Europea.

Nella prospettiva del sottoscrittore (sia istituzionale, sia retail), poi, essa rappresenta una nuova modalità di investimento dove il rendimento dipende dall'esito dell'attività di liquidazione, il cui indice di rischiosità è preventivamente valutato da un'agenzia di rating terza mediante un'analisi statistico-attuariale sicuramente opportuna soprattutto per gli investitori privati.

Per la SPV, infine, la securitization costituisce una specifica opportunità di business e di profitto divenuta sempre più frequente, la cui appetibilità per un accorto operatore risulta legata alla differenza tra il ricavo dal collocamento degli strumenti finanziari ed il corrispettivo pagato per la cessione, tenuto conto dei costi dell'operazione.

Uno degli aspetti più importanti della cartolarizzazione è rappresentato dall'esigenza di salvaguardia, costituzionalmente rilevante sotto il profilo della tutela del risparmio (cfr. art. 47 Cost.) e ritenuta quindi preminente (Macario, op. cit., 17), dei diritti facenti capo ai sottoscrittori dei titoli emessi, che la L. n. 130/1999 assicura garantendo la destinazione esclusiva dei crediti riscossi ai portatori dei titoli e al pagamento delle spese dell'operazione, e ciò attraverso il ricorso alla figura del “patrimonio separato”. Da un lato, infatti, l'art. 3, comma 2, prevede che “i crediti relativi a ciascuna operazione (per tali intendendosi sia i crediti vantati nei confronti del debitore o dei debitori ceduti, sia ogni altro credito maturato dalla società di cui al comma 1° nel contesto dell'operazione), i relativi incassi e le attività finanziarie acquistate con i medesimi costituiscono patrimonio separato a tutti gli effetti da quello della società e da quello relativo alle altre operazioni”, tanto che su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l'acquisto dei crediti stessi. Dall'altro, coerentemente, l'art. 1, comma 1, lett. b), enuncia quale requisito necessario per l'operazione quello per cui “le somme corrisposte dal debitore o dai debitori ceduti siano destinate in via esclusiva, dalla società cessionaria, al soddisfacimento dei diritti incorporati nei titoli emessi, dalla stessa o da altra società, per finanziare l'acquisto di tali crediti, nonché al pagamento dei costi dell'operazione”.

Infine, in tema di efficacia della cessione dei crediti cartolarizzati, l'art. 4, comma 2 dispone che "dalla data della pubblicazione della notizia dell'avvenuta cessione nella G.U., sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti di cui all'art. 1, comma 1, lettera b)", cioè a favore dei diritti incorporati nei titoli emessi e di quelli riguardanti i costi dell'operazione. In sostanza, quei crediti che, a seguito dell'intervenuta cessione, entrano a far parte del patrimonio della società cessionaria, costituiscono garanzia patrimoniale esclusiva per i portatori dei titoli emessi, ai quali soltanto è attribuito il potere di escutere tale “patrimonio separato” della cessionaria per realizzare le proprie pretese, potere invece precluso agli altri diversi creditori.

La tecnica della “separazione patrimoniale”, quindi, è prevista allo scopo di immunizzare il patrimonio della SPV sia dal rischio d'impresa proprio, sia da quello del cedente, e realizza così quella “neutralità” che costituisce uno dei requisiti necessari delle operazioni di cartolarizzazione. Essa rappresenta un efficace strumento per rafforzare il vincolo di destinazione impresso sulle somme ricavate dalla realizzazione dei crediti nell'interesse dei portatori dei titoli, attraverso una modalità che si presta ad essere replicata in chiave tendenzialmente “seriale” allorquando la medesima società compia più operazioni di cartolarizzazione, a ciascuna delle quali corrisponde (cfr. art. 3, comma 2) un distinto “patrimonio separato”, a garanzia, rispettivamente, di ognuna delle categorie di portatori dei titoli emessi.



Osservazioni

Cartolarizzazione e ruolo del debitore ceduto - Nel quadro generale dell'operazione, caratterizzato da tratti finanziari a volte complessi (si pensi alle possibili varianti rispetto al modello tipico di securitization, quale ad esempio quella della c.d. subpartecipation, dove l'operazione si attua mediante l'erogazione al soggetto cedente di un finanziamento da parte della SPV, volto a trasferire il rischio correlato ai crediti ceduti nella misura ed alle condizioni concordate: cfr. art. 7, comma 1, lett. a), L. 130/1999), la figura del debitore ceduto tende a rimanere sullo sfondo, benché in realtà il suo ruolo sia evidentemente nevralgico. La redditività dell'operazione ed il rating sul mercato dei relativi titoli, infatti, dipendono in larga misura proprio dal soggetto ceduto, il cui adempimento consente alla SPV di poter rimborsare i titoli emessi, mentre la sua inadempienza pone la cessionaria nella necessità di recuperare coattivamente il credito, intraprendendo nei suoi confronti (normalmente attraverso un servicer a ciò specificamente deputato) le opportune azioni monitorie ed esecutive, oppure intervenendo in quelle già promosse dal cedente. Nemmeno la L. 130/1999 dedica al debitore un particolare rilievo, probabilmente perché nel disciplinare lo specifico aspetto del trasferimento del credito (ossia la fase dell'operazione che più interessa il soggetto passivo) non ha inteso introdurre il disegno organico di un nuovo istituto, ma si è posta quale parametro di riferimento l'istituto della cessione di credito “comune” di cui agli artt. 1260 c.c.. Proprio alla luce di ciò, vengono ritenuti applicabili anche al debitore “cartolarizzato” i principi generali desumibili da tale disciplina, quale ad esempio la possibilità di opporre al cessionario, senza particolari limitazioni, le eccezioni che competevano al debitore nei confronti del cedente, incluse quindi non solo quelle relative alla fase esecutiva del rapporto, ma anche quelle attinenti al momento di formazione del titolo. Ciò risulta coerente con la consolidata affermazione per cui il debitore, non partecipando al negozio di cessione e non avendo il potere di impedire la sostituzione del creditore, non può trovarsi in una posizione deteriore rispetto a quella che aveva inizialmente nei confronti del cedente, potendo così esercitare nei confronti del cessionario le azioni che, in mancanza della cessione, gli competevano nei confronti del creditore originario.

I temi del contenzioso - Poiché la cartolarizzazione è divenuta, con l'andare del tempo, uno dei principali strumenti attraverso i quali gli istituti bancari si liberano dei propri crediti deteriorati (tra cui i famigerati NPL, “non performing loans”), il panorama del contenzioso originato da un simile fenomeno è andato progressivamente caratterizzandosi per la frequente ricorrenza di opposizioni (in sede di cognizione ma soprattutto esecutiva) promosse più o meno strumentalmente dai debitori ceduti, molte delle quali incentrate sull'inopponibilità della cessione al debitore e sulla contestazione della titolarità del credito in capo al cessionario. Il primo tema di doglianza non ha sortito effetti particolarmente problematici per i cessionari, proprio perché (come visto in precedenza) l'art. 4, comma 2, L. n. 130/1999 ha derogato alla disciplina della cessione “comune”, prevedendo che l'iscrizione nel registro delle imprese e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale di un estratto della cessione equivalgano alla notifica di quest'ultima, con l'effetto di produrre in capo al ceduto una vera e propria conoscenza legale del trasferimento del credito, rispetto alla quale non risulta ammessa in concreto una prova contraria di inscientia. Diverso impatto ha invece avuto la questione della prova della titolarità del credito, spesso impropriamente veicolata come eccezione preliminare di rito volta a far valere un difetto di legittimazione attiva del cessionario, ma in realtà attinente alla titolarità nel lato attivo del rapporto obbligatorio, e come tale avente natura preliminare di merito non risolvibile sulla base della mera prospettazione di essere creditore effettuata dall'attore nella propria domanda (si veda Cass. SS.UU. 16 febbraio 2016 n. 2951). La natura impugnatoria delle controversie normalmente promosse dai debitori ceduti (opposizione a decreto ingiuntivo, opposizioni in ambito esecutivo) determina un'inversione della posizione processuale, dove il creditore opposto che si vede contestata la titolarità attiva del rapporto obbligatorio ha l'onere di fornirne la prova. Per raggiungere tale obiettivo, peraltro, può non essere sufficiente la produzione dell'estratto della cessione iscritto nel registro delle imprese e pubblicato sulla G.U., che invece integrano, congiuntamente, il diverso requisito dell'opponibilità della cessione al debitore ai sensi dell'art. 4, e che sovente costituiscono l'unico corredo probatorio apprestato dal cessionario a sostegno della propria pretesa anche in caso di sua contestazione (il compito di gestire un elevatissimo numero di posizioni cedute può invero porre la SPV o il suo servicer in una condizione di notevole difficoltà pratica nel reperimento di documentazione supplementare necessaria per casi specifici). Assai frequentemente, infatti, gli estratti di cessione pubblicati in G.U. non indicano in modo espresso o nominativo i singoli crediti ceduti, ma si limitano a riportare alcuni criteri generali con cui individuarli per serie o per lotti, utilizzando formule e dizioni sintetiche di natura tecnico-amministrativa che risultano spesso di difficile intelligibilità da parte dei “non addetti ai lavori”. Soprattutto per questo motivo nella giurisprudenza di legittimità si è andato formando un orientamento rigoroso sempre più consolidato, che impone al cessionario la produzione in giudizio del contratto di cessione vero e proprio, dal quale si possa desumere che lo specifico credito oggetto azionato è stato inequivocabilmente assoggettato a cartolarizzazione (Cass. 23 febbraio 2018 n. 4453, che ha tra l'altro esteso i principi posti dalla nota pronuncia delle Sezioni Unite del 2016 alle opposizioni ex art. 98 l.fall. promosse dalle società veicolo; Cass. 31 gennaio 2019 n. 2780, che ha richiesto la produzione della cessione in originale; Cass. 2 marzo 2016 n. 4116; Cass. 20 maggio 2016 n. 10518, secondo le quali, a fronte di contestazione, il cessionario è tenuto a produrre i documenti idonei a dimostrare l'inclusione del credito nell'operazione di cessione; Cass. 13 settembre 2018 n. 22268, che distingue tra avviso di cessione – necessario ai fini dell'efficacia del negozio verso il debitore ceduto – e prova dell'esistenza del contratto di cessione; Cass. 12 maggio 2016 n. 9768, pur in materia di cessione del credito “comune”. Tra le pronunce di merito, Trib. Napoli 24.5.2019, n. 5377, che esclude la sufficienza della pubblicazione su apposito sito web; Trib. Treviso (decr.) 28 aprile 2016; Trib. Padova (decr.) 3 giugno 2016 in materia di voto del cessionario nel concordato preventivo).

Non a caso la pronuncia più significativa sul tema, ossia la citata Cass. 23 febbraio 2018 n. 4453, pur prendendo atto della modifica all'art. 58 TUB introdotta dal D. Lgs. n. 342/1999 (istitutiva appunto di un unico adempimento in tema di opponibilità, ossia la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, diretta a svolgere la funzione ed a provocare gli effetti propri, nel regime ordinario, della notifica ex art. 1264 c.c. e dell'annotazione ex art. 2843 c.c.), nonché del fatto per cui l'art. 4 L. n. 130/1999 prevede l'applicazione dell'art. 58, commi 2-3-4, TUB alle cessioni dei crediti poste in essere ai sensi della legge medesima a prescindere dal loro dato temporale, ha peraltro osservato come nel caso sottoposto al suo sindacato andasse valorizzata la ratio decidendi posta dal tribunale a fondamento della decisione, “giacchè, pur avendo il giudice di merito ritenuto insufficiente la pubblicazione dell'avviso, ha però ulteriormente osservato che da tale avviso risultava che oggetto di cessione erano esclusivamente i crediti che rispettavano, alla data del 30.6.2011, cumulativamente i quattro criteri espressamente indicati e che nel caso di specie non vi era alcuna prova che il credito in oggetto soddisfacesse ben due dei quattro criteri ivi previsti (ovvero l'invio ai clienti debitori di un'ultimativa intimazione di pagamento attestante anche la risoluzione del relativo contratto di finanziamento o la relativa decadenza dal beneficio del termine mediante lettera recante la data del 27.2.2012; e che si trattasse di crediti per i quali le azioni di recupero, anche stragiudiziali, sono gestite da Italfondiario s.p.a. con riferimento alle posizioni creditorie aventi un'esposizione alla data del 30.6.2010 pari o superiore ad Euro 250 mila)”.

Un formante giurisprudenziale apparentemente meno rigoroso appare essere quello riconducibile ad alcune pronunce di legittimità (Cass. 13 giugno 2019 n. 15884; Cass. 26 giugno 2019 n. 17110; Cass. 29 dicembre 2017 n. 31118), secondo le quali in tema di cessione in blocco la titolarità del credito in capo al cessionario può venire dimostrata attraverso l'allegazione dell'avviso di pubblicazione sulla G.U. recante l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in massa, senza l'enumerazione specifica di ciascuno di essi, a condizione però che “gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione”.

Può parlarsi di contrasto solo apparente, in realtà, perché il riferimento alla necessità che gli “elementi comuni” menzionati nella G.U. e posti a base delle singole categorie trasferite conducano alla positiva individuazione dei rapporti oggetto di cessione equivale a ricondurre il tema sul piano del concreto onere probatorio, come la sentenza in esame correttamente osserva, declinandolo in relazione alle peculiarità del caso di specie ed al grado di precisione proprio della pubblicazione: solo in presenza di un estratto dettagliato, idoneo a fornire gli elementi diretti a sostanziare l'appartenenza del credito oggetto di causa alla massa di quelli ceduti, il giudice potrà prescindere dalla richiesta di allegazione del contratto di cessione (in originale o in copia) o di altri elementi utili a validare la titolarità del credito in capo all'affermato cessionario.

La soluzione del Tribunale ed un riferimento al D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 - In considerazione di ciò, non può quindi che convenirsi con il fondamentale rilievo, espresso dalla sentenza del Tribunale di Crotone, per cui un tema è quello dell'efficacia della cessione rispetto al debitore ceduto (per la cui predicabilità è sufficiente la pubblicazione dell'avviso in Gazzetta Ufficiale), mentre questione ben diversa è la prova della sussistenza di un contratto di cessione e del suo specifico contenuto, che va fornita da chi rivendica la titolarità del credito ed intende far valere l'efficacia della cessione predicabile, e dev'essere quindi oggetto di valutazione caso per caso, come già puntualizzato da Cass. 13 settembre 2018 n. 22268.

Nella fattispecie concreta, in particolare, la presenza di un unico riscontro probatorio fornito dal cessionario (l'estratto pubblicato in G.U.), privo tuttavia di una descrizione dettagliata dei crediti ceduti (indicati con il mero riferimento alla loro individuazione nel periodo temporale 1960-2017 ed alla loro classificazione “a sofferenza”) ed anzi espressamente rinviante ad elementi ulteriori (contratto di cessione; lista depositata presso il notaio rogante e pubblicata su di un apposito sito web), è stato ritenuto inidoneo ad accertare che il credito oggetto di vertenza andasse incluso nell'operazione di cessione in blocco sottoposta a contestazione da parte del debitore. Attraverso una puntuale disamina dell'intero materiale probatorio a sua disposizione, quindi, il giudice calabrese ha evitato di ricadere nella medesima situazione di cui alla citata pronuncia di Cass. 13 giugno 2019 n. 15884, che aveva criticato il giudice di merito per essersi limitato ad un esame “atomistico” della pubblicazione sulla G.U., così osservando: “la circostanza che l'avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale recasse una mera elencazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco non autorizzava di per sè a ritenere che le relative indicazioni non rispecchiassero fedelmente quelle contenute nell'atto di cessione, per la cui validità non era affatto necessaria una specifica enumerazione dei rapporti ceduti, risultando invece sufficiente che gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentissero d'individuarli senza incertezze. Sul punto vi è l'accertamento del giudice di merito nel senso della cessione in blocco dei crediti "in sofferenza". La trascrizione poi dell'avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale consente d'altronde di rilevare che i crediti ceduti erano individuati in base alla pendenza ad una certa data ed alla possibilità di qualificare i relativi rapporti come sofferenze, conformemente alle istruzioni di vigilanza della Banca d'Italia, con espressa esclusione di alcune categorie di rapporti. Non avrebbe dunque potuto sottrarsi il Tribunale al compito di verificare se, avuto riguardo alle caratteristiche del credito, la pretesa azionata rientrasse tra quelle trasferite alla cessionaria o fosse annoverabile tra i crediti esclusi dalla cessione. Il giudice di merito, in applicazione del suddetto principio di diritto, dovrà pertanto accertare se il credito in questione avesse le caratteristiche di credito "in sofferenza", conformemente alle istruzioni di vigilanza della Banca d'Italia, tale da poter essere ricondotto al blocco di cui all'atto di cessione indicato nell'avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale o rientrasse fra le categorie di credito escluse”.

Merita rammentare che, a seguito di un'opportuna modifica introdotta all'art. 4 L. n. 130/1999 in previsione dell'entrata in vigore del D. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14:

a) ai pagamenti effettuati dai debitori ceduti alla società cessionaria non si applicano l'articolo 65 e l'articolo 67 della legge fallimentare ovvero, dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, l'articolo 164, comma 1, e l'articolo 166 del medesimo decreto legislativo (comma 3);

b) per le operazioni di cartolarizzazione i termini di due anni e di un anno previsti dall'articolo 67 legge fallimentare ovvero, dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dall'articolo 166 del medesimo decreto legislativo, sono ridotti, rispettivamente, a sei e a tre mesi (comma 4).

Il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, quindi, non ha apportato modifiche in tema di esenzione da revocatoria con riferimento alla materia della securitization, ribadendo anzi la ratio del terzo comma dell'art. 4 della L. n. 130/1999, ossia quella di non pregiudicare l'interesse e le aspettative degli investitori (sottoscrittori delle obbligazioni emesse dalla società cessionaria), che con il debitore fallito non hanno alcun rapporto.



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