Le Sezioni Unite sul mancato deposito in appello del fascicolo di parte di primo grado
03 Aprile 2023
Massima
Affinché il giudice di appello possa procedere all'autonomo e diretto esame del documento già prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento può essere sottoposto alla sua attenzione, ove non più disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perché ritirato e non restituito, o perché questa è rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell'art. 76 disp. att. c.p.c. In materia di prova documentale nel processo civile, se la parte ha puntualmente allegato nell'atto di (o nella comparsa di costituzione in) appello il fatto rappresentato dal documento cartaceo avversario prodotto nel primo grado invocandone il riesame in sede di gravame, la controparte che omette la produzione di tale documento nel secondo grado subisce le conseguenze di un siffatto comportamento processuale, potendo il giudice - il quale ha comunque il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione già stabilmente acquisita al processo - ritenere provato il predetto fatto storico nei termini specificamente allegati nell'atto difensivo. In materia di prova documentale nel processo civile, il giudice d'appello può porre a fondamento della propria decisione il documento in formato cartaceo già prodotto e non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto trascritto (oppure indicato) nella sentenza impugnata o in altro provvedimento o atto del processo ovvero, se lo ritiene necessario, può ordinare alla parte interessata di produrre, in copia o in originale, determinati documenti acquisiti nel primo grado. Il caso
Tizio ed altri condomini convenivano in giudizio, dinanzi al tribunale di Roma, la società alfa, chiedendo accertarsi la natura demaniale di un tratto di strada oggetto di passaggio condominiale o la destinazione al pubblico transito della stessa, con ordine alla convenuta di rimuovere il cancello e la catena ivi apposti. Instaurato il contraddittorio, il tribunale adito accoglieva la domanda e condannava la società convenuta a rimuovere la catena ed il lucchetto che impedivano il transito lungo la strada oggetto di causa, riconoscendo la natura demaniale della stessa sulla base della documentazione prodotta da parte attrice, ossia, in particolare, un decreto prefettizio di esproprio ed una relazione peritale. La società alfa impugnava la sentenza e la corte d'appello di Roma, rilevato che gli appellati non avevano ridepositato il loro fascicolo di primo grado, contenente i documenti posti a fondamento della decisione gravata, accoglieva l'appello, assumendo che la domanda proposta in primo grado dagli attori era rimasta del tutto sfornita di prova. Tizio e gli altri condomini ricorrevano per cassazione, proponendo un unico motivo con il quale, denunciando la violazione degli artt. 342 c.p.c., 2697 c.c. e 115 c.p.c., assumevano che, alla stregua dei principi enunciati nelle sentenze delle Sezioni Unite n. 28498/05 e n. 3033/2013, gravava sulla società appellante l'onere di dimostrare la fondatezza dell'interposto gravame e di produrre, quindi, i documenti occorrenti per la decisione. La questione
La questione che ha originato la pronuncia in commento riguarda le conseguenze della mancanza nel giudizio d'appello dei documenti posti dal giudice di primo grado alla base della sua decisione, qualora tale mancanza sia stata determinata dall'omesso deposito in appello del fascicolo di primo grado della parte appellata. L'orientamento espresso in proposito dalle Sezioni Unite con le due note pronunce del 2005 e del 2013 – secondo cui è onere dell'appellante, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale, produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame – potrebbe ritenersi non più attuale in conseguenza dell'introduzione del processo civile telematico, che ha portato alla formazione di un unico fascicolo digitale, in cui confluiscono sia gli atti delle parti che i provvedimenti giudiziali, con inevitabile superamento della distinzione tra fascicolo d'ufficio e fascicolo di parte presente nelle norme del codice di rito. Poiché, infatti, il giudice d'appello può telematicamente apprendere l'intero fascicolo digitale di primo grado, potrebbe non essere più configurabile l'onere, per la parte appellante, di produrre i documenti acquisiti in primo grado, a pena di rigetto dell'appello per la mancata dimostrazione dei motivi di gravame. Attesa la particolare rilevanza di tale questione, la Seconda Sezione civile della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria del 9 maggio 2022, n. 14534, ha così rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite, sollecitandone una pronuncia sui seguenti profili: - se l'adozione del processo telematico, che prevede la creazione di un unico fascicolo e non contempla l'ipotesi del ritiro dei documenti in esso contenuti, comporti l'abbandono della distinzione tra fascicolo d'ufficio e fascicolo di parte di cui agli artt. 168, 169 c.p.c., 72, 73, 74, 75, 76 e 77 disp. att. c.p.c.; - se ciò determini il superamento della posizione interpretativa, fatta propria dalla Suprema Corte con le pronunzie delle Sezioni Unite n. 28498/2005 e n. 3033/2013, secondo cui l'appellante “subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell'altra parte, quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice d'appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare”; - se tale superamento valga solo per le cause ove i documenti sono contenuti nel c.d. fascicolo informatico ovvero se - al fine di evitare irragionevoli differenze di trattamento - valga anche per le cause ove i documenti siano ancora presenti in formato cartaceo nel fascicolo di parte. Le soluzioni giuridiche
I precedenti della giurisprudenza di legittimità sono stati così sintetizzati nell'ordinanza interlocutoria. In primo luogo, le Sezioni Unite, con la sent. 23 dicembre 2005, n. 28498, partendo dal rilievo per cui il giudizio d'appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata (novum judicium), ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata (revisio prioris instantiae), hanno affermato che grava sull'appellante l'onere di fornire la dimostrazione delle singole censure prospettate, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale. Ciò comporta che l'appellante è tenuto a produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame, o comunque ad attivarsi, anche avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. c.p.c., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, affinché questi documenti possano essere sottoposti all'esame del giudice di appello. Dovendo, quindi, l'appellante essere inteso quale parte processualmente attrice nell'ambito del giudizio di gravame, spettando allo stesso dimostrare il fondamento delle spiegate censure al fine di superare la presunzione di legittimità che assiste la decisione di primo grado, ne consegue che egli subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell'altra parte (ad es., perché rimasta contumace), quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare. Alcune pronunce si sono, però, discostate da tale indirizzo, essendosi sostenuto che la parte vittoriosa in primo grado che scelga di rimanere contumace in appello, e non ridepositi quindi i documenti in precedenza prodotti, va incontro alla declaratoria di soccombenza per non aver fornito la prova della sua pretesa, quando i documenti non più ridepositati siano a lei favorevoli (Cass. civ., 8 gennaio 2007, n. 78; Cass. civ., 12 aprile 2006, n. 8528). Sul tema sono ritornate le Sezioni Unite (sent. 8 febbraio 2013, n. 3033), che, riconfermando il loro precedente indirizzo, hanno ribadito che l'appellante assume sempre la veste di attore rispetto al giudizio d'appello, e su di lui ricade l'onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado. Pertanto, ove l'appellante si dolga dell'erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l'onere di estrarne copia ai sensi dell'art. 76 disp. att. c.p.c. e di produrli in sede di gravame. La giurisprudenza successiva (Cass. civ., 9 giugno 2016, n. 11797; Cass. civ., 7 marzo 2017, n. 5622; Cass. civ., 17 dicembre 2021, n. 40606) si è uniformata a tale orientamento, arrivando anche a sostenere che l'appellante può richiedere al giudice che ordini all'appellato non costituito, ai sensi dell'art. 210 c.p.c., l'esibizione dei documenti già contenuti nella produzione ritirata, trattandosi non di prove nuove, bensì di prove già acquisite agli atti di causa, rispetto alle quali l'iniziativa dell'appellante è meramente recuperatoria (Cass. civ., 22 gennaio 2013, n. 1462); inoltre, in un'ottica di superamento della distinzione tra fascicolo di parte e fascicolo d'ufficio, si è affermato che “i fascicoli di parte che sono presenti in quello di ufficio costituiscono parte integrante di esso, ai sensi dell'art. 72, secondo comma, disp. att. cod. proc. civ., fintanto che rimangono ivi depositati, perché non ritirati, ai sensi dell'art. 77 disp. att. cod. proc. civ. Ne consegue che, qualora venga richiesta la trasmissione del fascicolo d'ufficio ex art. 126 disp. att. cod. proc. civ., la trasmissione dovrà riguardare il fascicolo d'ufficio, unitamente a quelli di parte ove non ritirati…” (Cass. civ., 19 giugno 2019, n. 16506). Rispetto alle predette pronunce delle Sezioni Unite si è però registrato, negli ultimi anni, un mutamento normativo con l'introduzione del processo civile telematico, che ha portato alla formazione, per ciascun procedimento, di un fascicolo digitale, nel quale confluiscono sia gli atti inviati telematicamente dagli avvocati, sia tutti gli atti che si formano nel processo ad opera del giudice, dell'ausiliario e del cancelliere. Secondo l'ordinanza interlocutoria, con la formazione di un fascicolo unico, che raccoglie tutti i documenti, dovrebbe pervenirsi al superamento della distinzione tra fascicolo d'ufficio e fascicolo di parte prevista dalle citate disposizioni del codice di rito e delle sue disposizioni di attuazione, con conseguente automatica risoluzione della questione in esame, posto che, non essendo contemplata la possibilità di ritiro dei documenti informatici, questi vengono telematicamente appresi, con piena attuazione del principio di immanenza delle prove, dal giudice di secondo grado con l'acquisizione dell'unico fascicolo ed a prescindere dal comportamento dell'appellato. Tuttavia, considerato che il superamento del sistema cartaceo è ben lungi dall'essere completato - non essendo ancora applicabile il processo telematico innanzi al giudice di pace e riscontrandosi nei tribunali una situazione “mista”, di deposito telematico e cartaceo degli atti e documenti -, l'ordinanza interlocutoria ritiene rilevante sottoporre alle Sezioni Unite la valutazione dell'opportunità di rivedere l'orientamento espresso nel 2005 e nel 2013 anche in relazione alle situazioni in cui i documenti che hanno portato all'accoglimento della domanda di primo grado non sono disponibili in appello perché, depositati in formato cartaceo in primo grado, non sono stati ridepositati in appello. Tale rivisitazione non deve, però, necessariamente comportare l'abbandono della impostazione teorica proposta dalle Sezioni Unite, che vuole l'appellante tenuto a fornire “la dimostrazione della fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni offerte dalla sentenza impugnata”, potendosi valorizzare quanto affermato nella pronuncia n. 28498/2005 (in qualche modo pretermesso nella pronuncia n. 3033/2013) circa la necessità, a tutela dell'interesse al corretto esercizio dell'attività giurisdizionale e del principio di acquisizione delle prove, di subordinare il ritiro del fascicolo di parte al deposito dei documenti probatori in esso inseriti, ricavando la prescrizione dalla necessità che il ritiro sia autorizzato dal giudice (art. 77 disp. att. c.p.c.), ovvero ancora potrebbe essere considerato quanto sostenuto da alcune pronunzie circa la possibilità per il giudice d'appello di ordinare alla parte il deposito dei documenti che ritenga necessari al fine della decisione (in tal senso, la citata Cass. 1462/2013), potere che è d'altro canto riconosciuto al giudice d'appello dall'art. 123bis disp. att. c.p.c., sia pure in relazione all'impugnazione della sentenza non definitiva. Nell'affrontare la problematica in questione, le Sezioni Unite, nella pronuncia in commento, premettono che, nonostante l'inapplicabilità della disciplina attinente al fascicolo informatico nel giudizio in esame, trattandosi di produzione documentale integralmente cartacea, sussiste la necessità di pronunciarsi in ordine alle questioni sollevate nell'ordinanza interlocutoria – che coinvolgono le esigenze, proprie del sistema delle prove, attinenti ai poteri della parte, nonché le garanzie della tutela del contraddittorio e del diritto di difesa – al fine di pervenire a conclusioni uniformi in ordine all'attuale operatività del principio dispositivo e del principio di “acquisizione probatoria”, come correlati ai meccanismi di produzione e di ritiro dei documenti, atteso che la conformazione legislativa del bilanciamento di tali esigenze e garanzie non potrebbe intendersi ragionevolmente differenziata, sulla base di inconvenienti di fatto, a seconda che i documenti siano stati prodotti con modalità telematiche o, piuttosto, in formato cartaceo. Ciò premesso, la pronuncia delle Sezioni Unite in esame sottolinea come ai quesiti posti possa darsi risposta anche senza pervenire all'esito interpretativo di intendere abrogata tacitamente la distinzione codicistica tra fascicolo d'ufficio e fascicolo di parte (distinzione che resta confermata anche dopo la riforma introdotta con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, equiparandosi, nel novellato art. 36 disp. att. c.p.c., la tenuta e conservazione del fascicolo informatico alla tenuta e conservazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo e continuandosi a prevedere, con gli artt. 165 e 166 c.p.c. e 74 disp. att. c.p.c., che i documenti offerti in comunicazione siano contenuti nel fascicolo di parte, nonostante il modificato art. 87 disp. att. c.p.c. faccia rinvio all'art. 196quater disp. att. c.p.c. per le modalità di produzione dei documenti), o “superando” le sentenze n. 28498/2005 e n. 3033/2013, quanto piuttosto ampliando, nel nuovo quadro di sistema delineatosi, gli effetti del principio di acquisizione delle prove documentali e gli strumenti, che già tali sentenze contemplavano, idonei a consentire al giudice d'appello la ricostruzione della portata dimostrativa di tali prove, indipendentemente dalla natura informatica o cartacea del supporto, in funzione di una concezione del processo che “fa leva sul valore della giustizia della decisione” (Cass., Sez. Un., 7 maggio 2013, n. 10531). In particolare, la pronuncia evidenzia come le medesime Sezioni Unite, con sentenza n. 14475/2015, nell'escludere la “novità”, agli effetti dell'art. 345, co. 3, c.p.c., dei documenti posti a sostegno della domanda di decreto ingiuntivo, non prodotti nel giudizio di opposizione e poi allegati all'atto di appello, hanno avuto occasione di riaffermare che “i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata implicano … che le prove acquisite al processo lo siano in via definitiva. Tali prove non devono essere disperse. Ciò vale anche per i documenti: una volta prodotti ed acquisiti ritualmente al processo, devono essere conservati alla cognizione del giudice”. La teorizzazione del descritto principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova” porta, dunque, a considerare che, una volta prodotto in una fase o in un grado di un processo unitario un documento, lo stesso, in quanto “conosciuto” e perciò definitivamente acquisito alla causa, se sia successivamente ritirato e poi ancora allegato, dalla stessa parte che se ne fosse originariamente avvalsa o da altra parte, non può considerarsi “nuovo”, né in primo grado, agli effetti delle preclusioni istruttorie, né in appello, ai sensi dell'art. 345, co. 3, c.p.c., né nel giudizio in cassazione, con riguardo al divieto di cui all'art. 372 c.p.c. Se l'acquisizione della valenza probatoria del documento esibito (ovvero la sua natura di fonte di conoscenza per il giudice e di fissazione formale della verità legale circa l'esistenza o l'inesistenza dei fatti controversi) non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, essa neppure può dipendere dalle successive scelte processuali della parte che lo abbia inizialmente prodotto. Il fatto storico rappresentato dal documento prodotto si ha per dimostrato, essendo stato ultimato il procedimento strumentale che assicura l'acquisizione processuale della fonte di conoscenza, e ciò pone fuori causa l'art. 2697 c.c.: questa norma onera la parte di dimostrare gli accadimenti che concretizzano la fattispecie astratta di legge, dalla cui applicazione essa voglia ricavare effetti per sé favorevoli, ed offre al giudice una via d'uscita ove di tali accadimenti da assumere in sentenza sia mancata la prova. La definitività dell'acquisizione processuale del documento prodotto, inteso come fonte di conoscenza del fatto, nel passaggio dal giudizio di primo grado al giudizio d'appello, deve, peraltro, trovare un coordinamento con la regola della formazione progressiva della cosa giudicata e con l'effetto devolutivo dell'impugnazione di merito. Se, da un lato, infatti, affinché il fatto dimostrato dal documento prodotto in primo grado possa essere compreso nell'attività logica del giudice dell'appello e nella sentenza che ne deriva, non va nuovamente “provato” dalla parte che ne invochi il riesame, dall'altro, deve considerarsi che l'ambito della cognizione del giudice d'appello è definito dai motivi di impugnazione formulati e dalle domande ed eccezioni riproposte, e non consiste, perciò (salvo che per le questioni rilevabili d'ufficio), in una rinnovata pronuncia sulla domanda giudiziale e sulla intera situazione sostanziale oggetto del giudizio di primo grado. Combinando così gli effetti dell'acquisizione probatoria dei documenti prodotti e dei limiti devolutivi dell'impugnazione segnati dagli artt. 342 e 346 c.p.c., la Sezioni Unite affermano la perdurante validità dei principi più volte enunciati nella giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui il giudice d'appello ha il potere-dovere di esaminare i documenti ritualmente prodotti in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, mediante richiamo di essi nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte, illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto dei documenti acquisiti giustifichi le rispettive deduzioni (ex multis, Cass. civ., 29 gennaio 2019, n. 2461; Cass. civ., 7 aprile 2009, n. 8377). Affinché, dunque, il giudice di appello possa procedere all'autonomo e diretto esame del documento già prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento può essere sottoposto alla sua attenzione, ove non più disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perché ritirato e non restituito, o perché questa è rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell'art. 76 disp. att. c.p.c., anche eventualmente a seguito dell'ordine in tal senso imposto dal giudice all'atto del ritiro effettuato avvalendosi della facoltà di cui agli artt. 169 c.p.c. e 77 disp. att. c.p.c.. Il giudice di appello può inoltre porre a fondamento della propria decisione il documento prodotto in formato cartaceo non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto che sia trascritto o indicato nella decisione impugnata, o in altro provvedimento o atto del processo. Dovendosi negare, inoltre, che la permanente portata dimostrativa nel giudizio di appello di uno o di determinati documenti acquisiti in primo grado discenda dalla scelta delle parti di volersi avvalere del relativo effetto probatorio, può ritenersi consentito al giudice di secondo grado, eventualmente aperto un preventivo contraddittorio, di ordinare la produzione dei medesimi documenti, in copia o in originale, se lo ritiene necessario, conformemente a quanto del resto stabilito dall'art. 123-bis disp. att. c.p.c. per l'impugnazione di sentenza non definitiva, valutando la mancata esibizione, senza giustificato motivo, come comportamento contrario al dovere di lealtà e probità. Allorché, poi, la parte interessata abbia ottemperato all'onere processuale a suo carico di compiere nell'atto di appello o nella comparsa di costituzione una puntuale allegazione del documento cartaceo prodotto in primo grado (e dunque del relativo fatto secondario dedotto in funzione di prova), del quale invochi il riesame in sede di gravame, e la controparte neppure abbia provveduto ad offrire in comunicazione lo stesso nel giudizio di secondo grado, sarà quest'ultima a subire le conseguenze di tale comportamento processuale, potendo il giudice, il quale ha comunque il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione già stabilmente acquisita al processo, ritenere provato il fatto storico rappresentato dal documento nei termini specificamente allegati nell'atto difensivo. Nel caso di specie, alla luce dei predetti principi, il ricorso per cassazione si palesa fondato, in quanto il giudice d'appello ha accolto il gravame proposto dalla società alfa e rigettato la domanda degli originari attori, non avendo questi prodotto in appello i documenti sui quali il tribunale aveva fondato la propria pronuncia. Così facendo, però, la corte capitolina ha ritenuto che oggetto dell'impugnazione fosse la domanda giudiziale proposta dagli attori, vittoriosi in primo grado, e non le censure formulate dalla soccombente società alfa, le quali imponevano comunque il riesame dei documenti posti a fondamento della decisione del tribunale, considerando al contrario sufficienti le mere difese opposte dall'appellante ai fatti, principali e secondari, costituenti le ragioni dell'avversa pretesa accolta nella sentenza gravata, e non ha, quindi, considerato che i fatti storici dimostrati dai documenti prodotti in primo grado ed acquisiti come fonti di conoscenza erano stati apprezzati nella pronuncia impugnata, la cui presunzione di legittimità non poteva dirsi superata dalla mancata allegazione del fascicolo delle parti appellate che li conteneva; inoltre, il giudice di secondo grado non ha adempiuto al proprio dovere di ricomporre altrimenti il contenuto della rappresentazione dei fatti già stabilmente acquisita al processo, sulla base di quanto comunque risultante da provvedimenti o atti del processo. La Suprema Corte ha, pertanto, cassato la sentenza impugnata e rinviato alla corte d'appello di Roma in diversa composizione. Osservazioni
La condivisibile pronuncia delle Sezioni Unite ha il pregio di sviluppare i principi già dettati nei precedenti del 2005 e del 2013 in materia di prova documentale, coordinando e conciliando gli stessi con il processo civile telematico, ed elaborando regole che prescindono dalla modalità di deposito, cartacea o telematica, dei documenti delle parti. Valorizzando i precedenti arresti, si perviene, nel rispetto del principio di “acquisizione processuale” – da intendere nel senso che le prove acquisite al processo, anche in altra fase o grado dello stesso, lo sono in via definitiva e devono permanere nella cognizione del giudice, a prescindere dalla condotta processuale tenuta successivamente dalle parti (così tutelandosi il diritto di difesa e al contraddittorio) - ad ampliare lo strumentario a disposizione del giudice d'appello per ricostruire il contenuto e la portata dimostrativa delle prove documentali, così superandosi la questione della rilevanza dell'onere probatorio di cui all'art. 2697 c.c., in quanto il fatto dimostrato dal documento prodotto in primo grado non deve essere nuovamente “provato” dalla parte che, in appello, ne invochi il riesame, ma soltanto “allegato”, cioè dedotto all'interno di un atto difensivo. Partendo da tali premesse ricostruttive del complessivo sistema processuale dispositivo, si perviene all'enunciazione dei seguenti principi di diritto: a) il principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova” - che opera anche per i documenti, prodotti con modalità telematiche o in formato cartaceo - comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un'efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, e non può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che detti documenti abbia inizialmente offerto in comunicazione; b) il giudice d'appello ha il potere-dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi (mediante richiamo di esso nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte) illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni; c) affinché il giudice di appello possa procedere all'autonomo e diretto esame del documento già prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento può essere sottoposto alla sua attenzione, ove non più disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perché ritirato e non restituito, o perché questa è rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell'art. 76 disp. att. c.p.c.; d) il giudice d'appello, inoltre, può porre a fondamento della propria decisione il documento in formato cartaceo già prodotto e non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto trascritto (oppure indicato) nella sentenza impugnata o in altro provvedimento o atto del processo ovvero, se lo ritiene necessario, può ordinare alla parte interessata di produrre, in copia o in originale, determinati documenti acquisiti nel primo grado; e) se la parte ha puntualmente allegato nell'atto di (o nella comparsa di costituzione in) appello il fatto rappresentato dal documento cartaceo avversario prodotto nel primo grado invocandone il riesame in sede di gravame, la controparte che omette la produzione di tale documento nel secondo grado subisce le conseguenze di un siffatto comportamento processuale, potendo il giudice - il quale ha comunque il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione già stabilmente acquisita al processo - ritenere provato il predetto fatto storico nei termini specificamente allegati nell'atto difensivo. |