L'Autrice analizza il contenuto dell'art. 3 CCI, verificando le implicazioni di natura contabile sull'assetto organizzativo dell'impresa e mettendo a fuoco talune disarmonie di sistema, da un lato in tema di obblighi ai fini della tempestiva rilevazione della crisi, e, dall'altro, quanto allo statuto dell'imprenditore.
Con l'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, a far data dal 15 luglio 2022 il contenuto precettivo dell'art. 2086, secondo comma, c.c. deve essere letto congiuntamente alle prescrizioni normative di cui all'art. 3 CCII,il quale è intervenuto sia ad integrare il contenuto della clausola generale sul dovere di istituzione di “adeguati assetti”, almeno per la parte in cui tali obblighi sono connessi alla tempestiva rilevazione della crisi, introducendo dei parametri “minimi” di adeguatezza, sia ad estendere all'imprenditore individuale l'obbligo diadottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e di assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte.
Da un lato, quindi, la disposizione in esame detta per l'impresa individuale un obbligo semplificato di adozione di “misure”, in luogo di “adeguati assetti organizzativi amministrativi e contabili”, aventi la sola funzionalità di rilevazione tempestiva della crisi, diversamente da quanto prescritto per le imprese collettive al secondo comma dell'art. 2086 c.c., in cui la congiunzione “anche” conferma la pluralità ed eterogeneità delle finalità sottese alla disciplina, non solo rivolte alla rilevazione tempestiva della crisi.
D'altro canto, però, il terzo e quarto comma dell'art. 3 CCII intervengono a parificare “misure” ed “assetti” sul fronte del contenuto informativo minimo che deve essere garantito ai fini della rilevazione della crisi, andando a disegnare un sistema di allerta interno che è “dell'impresa” e che si applica tanto all'impresa commerciale che agricola, a prescindere dalla dimensione dell'attività e dal fatto che questa sia esercitata individualmente o nella veste di società (v. M. Spiotta, Scritture e assetti contabili. Un'asimmetria normativa tra codice civile e codice della crisi, in Riv. Dir. Comm., 2020, f. 2, p. 200).
In virtù delle citate disposizioni, oggi gli assetti (o le misure) sono adeguati (o idonee) se generano un determinato output informativo, che ai sensi del comma terzo dell'art. 3 CCII si traduce nella capacità dell'organizzazione dell'impresa di
La capacità richiesta agli “assetti” e alle “misure” di garantire un certo output informativo, di tipo consuntivo ma anche previsionale, è, evidentemente, strumentale all'emersione di segnali di probabilità di crisi (art. 12 CCII) che dovranno essere poi processati dagli amministratori (o dall'imprenditore) per l'adozione di opportune iniziative.
La nuova disciplina, allora, indirizza l'organizzazione dell'impresa e, negli enti societari, le decisioni degli amministratori che, pur nella discrezionalità del “come” e della scelta dello strumento o tecnica contabile o aziendalistica più adatta alle caratteristiche e alle dimensioni dell'impresa, dovranno, al fine di integrare un comportamento diligente, fondare le proprie decisioni organizzative sui criteri, o obiettivi informativi, sopra illustrati.
In tal senso è possibile sostenere che le prescrizioni contenute al terzo comma dell'art. 3 CCII, quanto all'organizzazione societaria, rilevano non nel senso di rendere la prestazione richiesta agli amministratori un'obbligazione di risultato piuttosto che di mezzi, ma quali parametri sui quali commisurare la diligenza impiegata nel processo decisionale sotteso alle scelte di carattere organizzativo, se esse sono state orientate o meno ad un certo output informativo.
Diviene, allora, di fondamentale importanza verificare le implicazioni che il contenuto precettivo del terzo comma dell'art. 3 CCII produce sul piano della struttura organizzativa dell'impresa, in particolare, come si è detto, su quello contabile e amministrativo, apparendo evidente dalla lettura della norma il diretto impatto su tali uffici.
La matrice informativa che si ricava dall'art. 3 CCII si fonda, infatti, in primis, sul dato contabile da cui poter fotografare una situazione “a consuntivo” rappresentativa dell'andamento attuale della gestione, ma anche sulla base del quale costruire un'attendibile previsione dell'andamento della gestione medesima, al fine di verificare la sostenibilità dei debiti e di monitorare la continuità aziendale.
Anche le valutazioniforward-looking non possono, a ben vedere, prescindere dai dati contabili “storici”, i quali sono funzionali ad un'analisi evolutiva dei dati dell'impresa e alla costruzione di previsioni attendibili in funzione di una pianificazione strategica dell'attività e, in ogni caso, alla verifica degli scostamenti tra previsionale e consuntivo. In argomento, la stessa lista di controllo particolareggiata, nel disciplinare la stima delle proiezioni dei flussi di cassa, prevede al punto 4.1.6 con rinvio al 4.8, ma così anche al punto 4.3, una verifica di coerenza dei dati economici prognostici con l'andamento storico.
La disciplina degli adeguati assetti sembra, allora, dare per scontato:
Questo tipo di conclusione implica almeno due ordini di precisazioni.
a. Tecniche contabili e giudizio di adeguatezza - La prima è di natura strettamente tecnica: la matrice informativa alla base del disposto di cui all'art. 3 CCII implica l'adozione di scelte contabili ad hoc, che non necessariamente l'impresa adotta, in specie se di piccole dimensioni e priva della funzione di controllo interno. Così, ad esempio, la norma presuppone un sistema di registrazione che rilevi scadenze e pagamenti in modo da monitorare in maniera efficiente gli scaduti, ma nella prassi non è, invece, così infrequente che il sistema informatico-contabile non consenta di acquisire automaticamente il dato dei debiti scaduti e non pagati.
È stato osservato, ancora, che nelle imprese di maggiori dimensioni sarà necessario integrare la contabilità generale con la contabilità analitica, la quale potrebbe essere adottata, con semplificazioni metodologiche, anche da imprese di minori dimensioni (P. Bastia, Assetti organizzativi e scienza aziendale: principi di organizzazione, principi contabili, indici di rilevazione, in Gli assetti organizzativi dell'impresa, Quaderno n. 18, Scuola Superiore della Magistratura, 315).
Le scelte organizzative di natura contabile, allora, non sono neutre sul piano della diligenza impiegata dagli amministratori nell'istituzione degli assetti organizzativi, ma sono soggette anche esse ad un giudizio di adeguatezza che non può che fondarsi sui criteri introdotti al terzo comma dell'art. 3 CCII, criteri che possono trovare temperamento solo nel principio di proporzionalità alla “natura” e alla “dimensione” dell'attività svolta.
Tali riflessioni si prestano ad avvalorare quelle letture di tipo estensivo in ordine al contenuto precettivo dell'art. 2214 c.c. (che oggi deve essere letto anche alla luce della disciplina dell'allerta interna dell'impresa), che rende obbligatorio non solo un sistema di rilevazione di tipo consuntivo, bensì anche previsionale (si veda ancora ampiamente M. Spiotta, op.cit., spec. 218, secondo la quale l'art. 2214 c.c. andrebbe ampliato sotto il profilo soggettivo, oggettivo e funzionale).
Ben lontani dal perseguire gli obiettivi informativi prescritti dalla nuova disciplina paiono essere, poi, gli imprenditori individuali e le società di persone che adottino il regime opzionale di contabilità semplificata (art. 18 del DPR 600/73), che consente a determinate imprese al di sotto di certe soglie dimensionali di beneficiare di semplificazioni sulla tenuta delle scritture contabili, semplificazioni che, però, rischiano di pregiudicare la portata informativa delle rilevazioni in quanto non consentono di avere una rappresentazione efficiente di talune dinamiche finanziarie oggi essenziali, come il quadro della posizione debitoria e patrimoniale dell'impresa, trattandosi di rilevazioni contabili semplificate nella sola ottica del calcolo delle imposte.
Da qui la contraddizione di fondo di un ordinamento giuridico che, da un lato, favorisce l'accesso a forme di contabilità semplificata innalzando le soglie dimensionali per accedervi (e così con l'ultima legge di bilancio: L. 29 dicembre 2022 n. 197), dall'altro, con il nuovo codice della crisi, favorisce una cultura del fare impresa vocata alla prevenzione, impostazione che, però, mal si concilia con opzioni contabili che, nel tentativo di alleggerire adempimenti e costi organizzativi delle imprese minori, allontanano le medesime da più corretti sistemi di automonitoraggio.
Sul tema della contabilità semplificata si ricorda che già la giurisprudenza in materia di bancarotta documentale ha fatto emergere come la scelta dell'imprenditore di avvalersi del regime di contabilità semplificata non esoneri lo stesso dalla tenuta delle scritture contabili obbligatorie, e così anche la giurisprudenza in materia di fallibilità dell'imprenditore e prova del possesso congiunto dei requisiti di cui all'art.1 l.fall. (ex multis Cass., Sez. V, sent., 26 settembre 2016; App. Salerno, 6 aprile 2022, n. 429, in dejure; App. L'Aquila, 16 settembre 2021 n. 1355, in dejure).
Tale parentesi pare utile per avvalorare l'idea che l'eventuale opzione per un regime contabile semplificato, previsto tra l'altro da norma tributaria, non esonera l'imprenditore individuale né le società di persone (e i suoi amministratori) dagli obblighi in materia di “misure idonee” e “adeguati assetti organizzativi”.
b. Prevenzione della crisi ed esonero dall'obbligo di tenuta delle scritture contabili. Disarmonie di un sistema - La seconda precisazione imposta dal tenore dell'art. 3 CCII attiene all'esonero dall'obbligo di tenuta delle scritture contabili (art. 2214 c.c.), storicamente accordato al piccolo imprenditore (art. 2083 c.c.) e all'imprenditore agricolo (art. 2135 c.c.).
L'art. 3 non prevede specifici obblighi contabili, eppure l'output informativo ivi prescritto, si è detto, presuppone la tenuta della contabilità o comunque l'esistenza di una struttura organizzativa preposta all'elaborazione di dati di natura contabile, sia di tipo consuntivo che previsionale (si leggano sul tema E. Artuso e R. Bogini, Il dovere di istituire adeguati assetti tra “littera legis”, interpretazioni sistematiche ed applicazioni concrete: esiste un obbligo legale di redigere un business plan ed un budget di tesoreria?, in DC).
Il sistema così delineato rischia, allora, un'incoerenza di fondo rispetto agli statuti di quelle imprese che il legislatore, per scelta storica mai smentita, ha deciso di esonerare dalla tenuta delle scritture contabili obbligatorie.
A tal proposito, è stato osservato in dottrina che la disciplina degli adeguati assetti imporrebbe una rilettura dell'art. 2214 c.c., trattandosi di disciplina che comporterebbe un'estensione a tutti gli imprenditori del dovere di predisporre e conservare le scritture contabili, oltre che di redazione di un piano prospettico dei flussi di cassa (M. Spiotta, Sulla responsabilità del cessionario d'azienda. Non sempre conoscere fa la differenza, in Giur. comm., f. 4, 2021, 782 s.s., nota a sentenza Cass., 7 ottobre 2020, n. 21561; A. AmatuCCII, Lessico e semantica nelle procedure concorsuali, in Giur. comm., 2021, n. 3, I, 365 s.s., il quale con riferimento all'obbligo di tenuta delle scritture contabili parla di ingiustificata esenzione per imprenditore agricolo e piccolo imprenditore, affermando altresì che solo un rapporto contabile può descrivere la fase di crisi e misurarne la gravità).
È da chiedersi, dunque, se l'art. 3 CCII comporti surrettiziamente l'estensione dell'obbligo di tenuta della contabilità anche all'imprenditore agricolo e al piccolo imprenditore.
Il problema viene appena sfiorato nella check list particolareggiata, quando al punto 4, nel disciplinare la determinazione dei flussi finanziari a servizio del debito nella redazione del piano, si prevede che “per semplicità” le micro e le piccole imprese possono ricorrere alle sole grandezze economiche senza convertirle in flussi di cassa. In tal caso occorre comunque: (i) verificare che l'ammontare degli investimenti di mantenimento sia adeguatamente espresso dagli ammortamenti; (ii) portare in conto l'effetto delle iniziative industriali previste; (iii) tenere conto della dismissione di cespiti e delle operazioni straordinarie programmate.
Invero, stante la cogenza dell'art. 2214 c.c., vi è la necessità di un'interpretazione elastica del disposto di cui all'art. 3 CCII, il quale non può prevalere sul dettato codicistico.
Le nuove disposizioni normative non possono, quindi, essere interpretate come “veicolo” dell'introduzione di nuovi obblighi di tenuta delle scritture contabili per soggetti che ne sono esonerati, ma piuttosto devono essere interpretate alla luce dei differenziati statuti che, storicamente, il legislatore ha inteso accordare all'attività di impresa, sicché il punto di equilibrio tra la storica ripartizione tra categorie di imprese che accorda a taluni imprenditori l'esonero dalla tenuta delle scritture contabili e il nuovo set normativo che impone ad ogni impresa di disporre di informazioni (di derivazione contabile) ai fini della tempestiva rilevazione della crisi sta nel principio di proporzionalità tra le misure da adottare e l'attività di impresa in concreto svolta e lo statuto ad essa applicabile, di talché l'eventuale accesso al credito da parte del piccolo imprenditore o dell'imprenditore agricolo o, comunque, l'aumento delle esposizioni debitorie verso terzi, imporrebbero oggi un'attenta riflessione quantomeno sull'opportunità di organizzare anche tali attività nell'osservanza di talune accortezze ragionieristiche.
Questa conclusione è avvalorata dalla considerazione chela responsabilizzazione del debitore appare strettamente collegata alle nuove disposizioni in materia di liquidazione controllata (artt. 268 s.s. CCII) laddove anche i soggetti c.d. “non fallibili”(oggi “non liquidabili”?), sono passibili di subire dai creditori istanza per l'apertura della proceduta di liquidazione controllata per debiti scaduti superiori ad euro 50.000,00 (art. 268, comma 2, CCII), il che rende ancora più evidente l'importanza, quantomeno sul piano dell'opportunità, dell'adozione di “misure”, da tradursi anche in organizzazione contabile, ai fini di un corretto autogoverno della crisi.
La scelta delle tecniche ragionieristiche, contabili e aziendalistiche,che sono alla base del funzionamento di un ufficio contabile-amministrativo, è decisione attratta al giudizio di adeguatezza, sicché, se è pur vero che le opzioni organizzative (anche sotto un profilo contabile) soggiaCCIIono ai principi di discrezionalità e insindacabilità, è anche vero che esse devono, alla luce dell'art. 3 CCII, rispondere ad un criterio di razionalità (Trib. Roma, sez.spec. 8 aprile 2020, in giurisprudenzadelleimprese.it), volto a rendere gli assetti (o le misure) idonei anche a fornire una certa matrice informativa che possa poi essere processata ai fini dell'adozione di iniziative per affrontare un'eventuale crisi.
L'inadeguatezza organizzativa è personalmente pagata dagli amministratori di società in termini di responsabilità per non aver diligentemente curato l'assetto amministrativo e contabile, ma ne risente in termini di opportunità anche l'imprenditore agricolo e tutte le imprese “sotto soglia” per essere esposti alle conseguenze di una crisi “non governata” anche su istanza di terzi creditori che potrebbero chiedere l'apertura della liquidazione controllata in ipotesi di insolvenza dell'imprenditore.
Vi è da chiedersi, allora, se, anche alla luce della più agevole adozione di sistemi contabili favorita dall'evoluzione tecnologica, non possa essere ormai anacronistico un esonero dall'obbligo di tenuta delle scritture contabili per talune tipologie di impresa, pur oggi vigente e con il quale continuare a fare i conti, in un contesto, già culturale prima che giuridico, vocato alla prevenzione della crisi.