Compensatio lucri cum damno: il bene danneggiato dall’altrui illecito può essere venduto in corso di causa?

06 Aprile 2023

La Suprema Corte affronta una questione che può presentarsi nella pratica: cosa succede se il bene danneggiato dall'altrui illecito viene venduto in corso di causa ad un prezzo addirittura superiore al valore di mercato? Si può applicare il principio della compensatio lucri cum damno? Cosa succede, poi, se l'assicuratore non esercita il diritto di surrogazione? Quanto ricevuto dall'assicurato va detratto dall'importo del risarcimento?

Un'abitazione viene danneggiata da un incendio divampato dal fieno stoccato nella proprietà confinante con l'immobile. I danneggiati agiscono per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

La vicenda processuale è stata complessa: in primo e secondo grado gli attori erano soccombenti (sia perché non si poteva ritenere raggiunta la prova che l'incendio fosse stato provocato da un fenomeno di autocombustione, né del nesso di causa tra il deposito del foraggio e il danno, né potendosi annoverare lo stoccaggio del fieno tra le attività pericolose ex art. 2050 e per cose in custodia ex art. 2051 c.c.). A seguito della cassazione con rinvio, la Corte di Appello riconobbe il diritto al risarcimento dei danni, ma avverso la decisione è stato proposto ricorso per cassazione.

Le questioni poste all'attenzione della Suprema Corte sono essenzialmente due:

1) la compensatio lucri cum damno in ipotesi di vendita dell'immobile danneggiato;

2) a fronte del fatto pacifico e non contestato del mancato esercizio da parte dell'assicuratore del diritto di surrogazione, l'applicazione del principio della compensatio lucri cum damno.

Sulla prima questione, in corso di causa l'abitazione danneggiata viene venduta ad un prezzo addirittura superiore a quello di mercato.

Il profilo assume, poi, particolare interesse a seconda che la liquidazione del danno vada effettuata in relazione alle spese necessarie al ripristino oppure in relazione alla eventuale diminuzione del valore di mercato del bene.

In termini generali, l'istituto della compensatio lucri cum damno opera nel solo caso in cui il vantaggio da compensare con il danno dipenda dal medesimo atto che ha provocato quest'ultimo e sia ad esso collegato da un identico nesso causale. La Cassazione condivide la decisione meritale che correttamente ha ritenuto non sussistente nel caso specifico questo presupposto.

Già in passato, la Suprema Corte aveva affermato, in tema di immissioni, che nel caso in cui il proprietario di un fondo agricolo abbia chiesto il risarcimento del danno subito dal proprio fondo a seguito della diffusione di pulviscolo proveniente da un vicino cementificio, questo danno non può essere compensato con il vantaggio realizzato dallo stesso attore, per aver venduto, nel corso del giudizio, il fondo come area di insediamento industriale, profittando della acquisita destinazione a scopi industriali dell'intera località, dove tale fondo era ubicato, conseguente, fra l'altro, anche alla presenza, in essa dell'anzidetto cementificio; la Corte aveva evidenziato che mentre la causa del danno lamentato doveva essere ravvisata soltanto nella diffusione della polvere prodotta da tale cementificio, il vantaggio ricavato dall'attore proveniva, invece, da una diversa causa, di ordine generale, consistente nella industrializzazione della zona (in tal senso, Cass. Civ., sez. II, 9 aprile 1975 n. 1302).

Infatti, come noto, il principio della compensatio lucri cum damno opera solo quando il pregiudizio e l'incremento patrimoniale costituiscono conseguenza immediata del comportamento illecito.

La c.d. compensatio lucri cum damno opera solo allorché a favore della parte danneggiata si verifichi, oltre al pregiudizio, anche un incremento patrimoniale che costituisca conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito che ha causato il pregiudizio stesso, e non quando, invece, il vantaggio, del cui valore economico si chieda l'imputazione in conto al valore economico del pregiudizio, derivi non da detto comportamento illecito, ma da circostanze oggettive ad esso del tutto estranee.

Pertanto, è da escludere che possa prendersi in considerazione, ai fini di una sua detrazione dalla entità economica del danno prodotto da immissioni industriali, l'eventuale maggior valore che l'immobile da queste interessato possa aver acquisito per essersi venuto a trovare in zona di sviluppo industriale a seguito dell'approvazione del locale piano regolatore (Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1999, n. 13334).

La corretta applicazione del criterio generale della compensatio lucri cum damno postula che, quando unico è il fatto illecito generatore del lucro e del danno, nella quantificazione del risarcimento si tenga conto anche di tutti i vantaggi nel contempo derivati al danneggiato, perché il risarcimento è finalizzato a sollevare dalle conseguenze pregiudizievoli dell'altrui condotta e non a consentire una ingiustificata locupletazione del soggetto danneggiato (Cass. civ., sez. I, 1 18 giugno 2018, n. 16088).

Anche sotto il diverso profilo degli artt. 1223 e 2056 c.c., non ha rilevanza la vendita dell'immobile da parte del danneggiato ai fini della quantificazione della perdita subita.

In effetti, la tesi può apparire suggestiva, in quanto lega la quantificazione del danno non alle spese necessarie per il ripristino, ma alla diminuzione di valore di mercato del bene. È chiaro che, in tesi, se l'immobile venisse venduto ad un prezzo superiore, non vi sarebbe perdita. La Cassazione condivide la decisione impugnata, ritenendone la motivazione chiara ed esaustiva, facendo riferimento alla percentuale di deprezzamento stante la vetustà dell'immobile e aggiungendo la stima dei danni per la ricostruzione delle parti comuni, oltre ai danni agli arredi andati perduti.

D'altra parte, era stato chiesto il risarcimento dei danni per equivalente e i ricorrenti non potevano pretendere un diverso criterio di valutazione, senza che mai fosse stato chiesto in giudizio l'accertamento del valore di mercato. In questo oggetto del contende, la vendita ad un prezzo di mercato superiore non assume rilevanza.

Sulla seconda questione, era pacifico in causa il mancato esercizio da parte dell'assicuratore del diritto di surrogazione, che ha posto il dubbio della ricorrenza dei presupposti applicativi del principio della compensatio lucri cum damno, in difformità dai principi enucleati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12565 del 2018.

Invero, la Suprema Corte ricorda che le Sezioni Unite citate non hanno affatto condizionato la fondatezza dell'eccezione alla rinuncia dell'assicuratore alla surroga: il subentro non è rimesso all'apprezzamento dell'assicuratore solvens. La perdita del diritto verso il terzo responsabile da parte dell'assicurato e l'acquisto da parte dell'assicuratore sono effetti interdipendenti e contemporanei basati sul medesimo fatto giuridico previsto dalla legge: il pagamento dell'indennità assicurativa.

Questo anche sul solco dell'applicazione dell'art. 1203 c.c., il quale, attraverso il rinvio del n. 5 («negli altri casi stabiliti dalla legge»), è suscettibile di comprendere nell'ambito della surrogazione legale, operante di diritto, anche questa peculiare di soluzione maggiormente in linea con la ratio della surrogazione dell'assicuratore, essendo ragionevole ritenere che, attraverso l'automaticità, il legislatore, in ossequio al principio indennitario, abbia voluto impedire proprio la possibilità per l'assicurato danneggiato, una volta ricevuto l'indennizzo dall'assicuratore, di agire per l'intero nei confronti del terzo responsabile; laddove questo principio verrebbe incrinato se l'inerzia dell'assicuratore bastasse a determinare la permanenza, nell'assicurato indennizzato, della titolarità del credito di risarcimento nei confronti del terzo anche per la parte corrispondente alla riscossa indennità, consentendogli di reclamare un risarcimento superiore al danno effettivamente sofferto.

Dunque, poiché nel sistema dell'art. 1916 c.c. è con il pagamento dell'indennità assicurativa che i diritti contro il terzo si trasferiscono, ope legis, all'assicuratore, deve escludersi un ritrasferimento o un rimbalzo di tali diritti all'assicurato per il solo fatto che l'assicuratore si astenga dall'esercitarli. A nulla rileva che le Sezioni Unite si siano pronunziate in pendenza di causa: il mutamento interpretativo promosso dalle Sezioni unite nel 2018 va applicato a tutte le fattispecie pendenti per le quali si controverta in ordine alla questione della detrazione dell'indennizzo assicurativo dal quantum risarcitorio, e, in ogni caso, l'eccezione di compensatio integra un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio e proponibile per la prima volta anche in appello.

Inoltre, l'assicurazione stipulata dal danneggiato-assicurato era un'assicurazione contro i danni da incendio e non aveva affatto natura previdenziale o di assicurazione sulla vita, ipotesi sole per cui è possibile il cumulo e non è necessario il diffalco. In conformità a questi principi, la Corte di merito ha detratto la somma percepita dal danneggiato dall'assicurazione.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)

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