Covid e polizza infortuni: ultima stagione?

06 Aprile 2023

La giurisprudenza di merito si è pronunciata, dopo l'obiter dictum di Cassazione n. 29435/2022, sulla qualificabilità dell'evento Covid come malattia o infortunio. Le recenti decisioni in commento parrebbero segnare il definitivo allineamento della giurisprudenza di merito alle indicazioni dei Giudici di legittimità, riconoscendo in modo netto e non fraintendibile il diritto ad ottenere la liquidazione dell'indennizzo a seguito di decesso per causa (diretta ed esclusiva, naturalmente) di contagio da COVID 19.
Le più recenti decisioni dei Tribunali di merito
  • Tribunale di Parma, sent. n. 164/2023: “L'affezione è un infortunio (in astratto) indennizzabile - l'affezione riconducibile ad un singolo, individuo, agente virale, va specificamente inserita in una clausola di esclusione per non dar luogo alla prestazione assicurativa”.
  • Tribunale di Udine, sent. n. 179/2023: “Risulta inequivocabile che la dottrina medico legale abbia costantemente considerato un'infezione virale o batterica, sulla cui trasmissione vi sia nozione delle modalità di contagio anche ambientale, ovvero non mediato da energia meccanica, un infortunio a tutti gli effetti, dotato delle caratteristiche della accidentalità, della violenza e dell'esteriorità causali”.
  • Tribunale di Trento, sez. lavoro, sent. n. 102/2022: “Ad avviso della Suprema Corte, costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico; ciò anche se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo e in difetto di una specifica causa violenta alla base dell'infezione (…). In definitiva la domanda proposta dal ricorrente merito accoglimento”.
Qualifica dell'infezione virale: infortunio o malattia?

Ci eravamo lasciati con la ferma presa di posizione della Suprema Corte, per quanto incidentale, sulla questione dell'indennizzabilità del decesso causato da Covid19 in ambito di polizza infortuni caso morte; nella sentenza n. 29435/2022 i Giudici di legittimità avevano affermato che “nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico”.

La decisione, quanto mai opportuna e tempestiva, andava ad inserirsi in un panorama di forte contrapposizione dottrinaria e giurisprudenziale, particolarmente disorientante per gli operatori del settore (avvocati, medici legali, assicuratori) e, soprattutto, per gli assicurati.

Si era assistito, infatti, ad una proliferazione di decisioni di merito di segno opposto, così come al susseguirsi di prese di posizione antitetiche da parte degli esponenti della medicina legale; quasi che la qualifica dell'infezione virale come infortunio o malattia fosse questione suscettibile di valutazioni in assoluta libertà, disancorate da qualsiasi riferimento scientifico vincolante, quasi fosse legittimo fare esclusivo riferimento alla propria percezione e sensibilità personale.

Ed allora, dalla giurisprudenza di merito, abbiamo letto che “Nel comune sentire sociale il Covid-19 è considerato una malattia. Normalmente il Covid-19 è qualificato come la malattia prodotta dal Corona Virus Sars-Cov-2. Il Covid-19, in sé, non è dunque un infortunio, ma una malattia (che può risolversi con sintomi lievi, ma può portare anche alla morte)” (Trib. Pesaro - ordinanza rep. n. 690/2021); ed anche che “Si deve, quindi, escludere che possa rientrare nel concetto di infortunio la malattia infettiva contratta causalmente, difettando nel meccanismo infettivo il presupposto dell'infortunio, vale a dire la causa del sinistro che deve contemporaneamente fortuita, violenta ed esterna” (Trib. Roma - sentenza n. 5947/2021)

Ma anche commentato Trib. Torino - Sentenza n. 184/2022, in cui si legge che: “In assenza di specifica esclusione contrattuale, le infezioni acute virulente che provengono dall'esterno soddisfano la definizione di infortunio e, pertanto, risultano tecnicamente indennizzabili”, facente espresso richiamo della univoca e risalente valutazione medico legale, secondo la quale l'infezione (il COVID 19) è infortunio indennizzabile ai sensi di polizza.

Tale decisione, pur accolta con scetticismo da alcuni (pochi, ad onor del vero) esponenti della medicina legale , richiamava la centenaria tradizione interpretativa mirabilmente esposta su queste pagine dall'allora Presidente della Società di Medica Legale, Prof. Zoja e ripresa dall'assolutamente prevalente dottrina di settore Prof. Paolo Cortivo (Professore Ordinario a r. di Medicina Legale e delle Assicurazioni Università degli Studi di Padova - nel recente articolo “INFEZIONE DA COVID-19: INFORTUNIO O MALATTIA?”).

In un simile scenario, dunque, appare evidente la tempestività del citato obiter della Suprema Corte utile, oltretutto, a dare conto di tutti quei precedenti giurisprudenziali che - senza pronunzie di segno contrario - hanno attribuito carattere violento alla “azione di fattori microbici o virali che, penetrando dell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo-fisiologico” (Cass. sez. lav., 10 ottobre 2022, n. 29435; Cass. sez. lav., 12 maggio 2005, n. 9968; Cass. sez. lav., 28 ottobre 2004, n. 20941),

È ben vero che i precedenti giurisprudenziali richiamati riguardano l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro, non i contratti di assicurazione contro i danni di diritto privato; ma è altrettanto innegabile “che il principio da essi espresso in ordine al carattere “violento” dell' azione di fattori microbici o virali non può non valere anche nell'ambito delle assicurazioni private, non potendo essere diverso il significato del termine a seconda della qualità dell'infortunato o del fondamento della tutela” (Tribunale di Udine, sent. n. 179/2023).

Il più recente indirizzo della giurisprudenza di merito

Tribunale di Parma: Sent. n. 164/2023: “Per la scienza medico-legale – che viene assunta a fondamento della contrattualistica assicurativa e che su questa a sua volta calibra le proprie inferenze valutative – infortunio è un evento esterno dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni oggettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza la morte, un'invalidità permanente oppure un'inabilità temporanea: questa definizione è recepita, integralmente e fedelmente, anche nelle definizioni contenute nelle condizioni di Polizza di cui oggi si discute.
Sulla scorta di tale definizione (o similare), i testi di medicina legale e delle assicurazioni hanno sempre ritenuto indennizzabili, ad esempio:

- l'asfissia non di origine morbosa;
- gli avvelenamenti acuti e l'ingestione o assorbimento di sostanze;
- l'annegamento;
- l'assideramento;
- i colpi di sole o di calore.

Per coerenza, si deve quindi ritenere che anche l'infezione da COVD-SARS rientri nella causa fortuita, violenta ed esterna, che, in astratto, dà ingresso al diritto alla prestazione assicurativa (sub specie di indennizzo), (escludendosi dunque la necessaria presenza di presenza di meccanismo di natura traumatica meccanica).

La conferma si trae, implicitamente, dalla clausola sub art. 3 lett. i) che esclude espressamente l'infortunio da contaminazioni biologiche o chimiche a seguito di atti di terrorismo di qualsiasi genere: nella misura in cui la clausola esclude l'infortunio derivante da contaminazione per ragioni riferibili al contesto in cui essa è avvenuta (attacco terroristico), essa ammette – de plano – che la contaminazione e l'infezione siano indennizzabili in base alla definizione ‘di base'.

Sulla scorta di quanto previsto dall'art. 1370 c.c. si dirà, dunque, che il ricorso ad una formula (convenzionale) di carattere definitorio-omnicomprensivo impone al predisponente di farsi carico di tutti gli eventi di quella stessa natura (cfr. anche artt. 1366, 1369 c.c.), a prescindere che siano, o meno, riconducibili a fattori noti e preesistenti al contratto: nel caso di specie non ci si trova, dunque, nemmeno dinnanzi ad una lacuna nel testo contrattuale, giacché la definizione pre-confezionata e unilateralmente predisposta è in grado di de-crittografare gli eventi verificatisi.

La situazione è affatto analoga a quella verificatasi, in passato, con l'infezione da HIV: è sicuro che l'agente infettivo abbia modificato il calcolo degli operatori economici, che avevano siglato contratti, ignari della potenzialità diffusiva di quella infezione. Le clausole in tema di infezione da HIV diffuse nella prassi, tuttavia, confermano la necessità di sottrarre alla disciplina contrattuale un'ipotesi concreta, astrattamente riconducibile alla definizione posta in premessa”.

Si tratta di una ricostruzione chiara sotto il profilo giuridico e medico-legale, per esprimersi sul quale il Tribunale attinge dalla già citata centenaria tradizione scientifica.

Non si fa nemmeno mancare, il Giudice, un'incidentale ma significativa “tirata d'orecchie” a quella parte della dottrina rea, a suo avviso, di aver rivisitato pro domo propria il concetto di infortunio che essa stessa aveva precedentemente descritto in termini diversi (e, nel frangente, sfavorevoli alle compagnie di assicurazione): “Sarebbe di cattivo gusto sottolineare che tale definizione (di infortunio, n.d.r.) è stata recepita in testi che portano la firma di autori che hanno sostenuto la non indennizzabilità dei premi in caso di COVD-19 riformulando i concetti già precedentemente dati per pacifici”.

Tribunale di Trento sez. lavoro: sent. n. 102/2022

Non meno analitica, ben motivata e decisa la pronuncia del Giudice trentino il quale, anch'egli, non risparmia una notazione piccata rispetto alle argomentazioni della compagnia assicuratrice: “Nella “Sezione Infortuni” della polizza, tra le “definizioni particolari relative a tutti i settori”, è ricompresa anche quella di “infortunio”, che consiste (evidenziazione dello scrivente) nell' “evento occorso all'assicurato dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni fisiche obiettivamente constatabili, che abbiano per conseguenza l'effettivo impedimento per l'assicurato a prestare servizio di medicina generale […]”. Nulla quaestio che il contagio per effetto del contatto con il virus Covid 19 costituisca una causa esterna (trovandosi il virus, prima del contatto, al di fuori dell'organismo) e, nel caso di specie, certamente fortuita (non essendovi elementi per poter ritenere che T. sia entrata intenzionalmente a contatto con il virus). Ben più complessa è la valutazione circa la sussistenza nella causa (sicuramente esterna e fortuita) del requisito della violenza. consolidato orientamento della Suprema Corte; la causa è violenta se (oltre a operare dall'esterno) agisce con rapidità ed intensità, in un brevissimo arco temporale, o comunque in una minima misura temporale, mentre non sono indispensabili i requisiti della straordinarietà o accidentalità o imprevedibilità del fatto lesivo. In questa pronuncia la Suprema Corte evidenzia che: “[...] si è consumato il processo di riduzione della nozione di causa violenta alle mere condizioni lavorative abituali, e di interiorizzazione della stessa.

La fattispecie odierna presenta un carattere di alterità, come nella nozione originaria di causa violenta. Al riguardo si deve notare che l'alterità, o esteriorità, si può atteggiare in due maniere diverse. Dal catalogo delle attività protette di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 1, la dottrina ha derivato un elenco scolastico di cause violente, distinguendole in:
a) cause da energia meccanica;
b) cause da energia elettrica od elettromagnetica:
c) cause da energia atomica e nucleare;
d) cause da energia termica;
e) cause da sostanze tossiche;
f) cause di natura microbica e virale;
g) cause di natura psichica.

Come risulta da tale elenco, alcune cause comportano un rapporto binomio, diretto e personale tra fattore causale e persona del lavoratore (ad es. macchina operatrice, oggetto da sollevare nello sforzo), altre sono di carattere diffusivo, ambientale (ad es. energia elettrica, nucleare, termica, sostanze tossiche).

Un agente lesivo, presente nell'ambiente di lavoro in modo esclusivo o in misura significativamente superiore che nell'ambiente esterno, il quale produca un abbassamento delle difese immunitarie, rientra nella nozione attuale di causa violenta. Dal suo meccanismo d'azione, se rapido e concentrato, oppure lento, deriva poi la collocazione dell'evento tra gli infortuni sul lavoro o le malattie professionali”.

Sempre ad avviso della Suprema Corte costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico; ciò anche se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo e in difetto di una specifica causa violenta alla base dell'infezione.

“Il tema medico legale relativo ai contratti privati contro gli infortuni è relativamente recente e non vi è alcun dubbio che le sue radici concettuali e teoriche siano storicamente e concettualmente fondate sulla ben più ampia esperienza della tutela assicurativo-sociale degli Infortuni sul lavoro […] I concetti di “accidentalità lesiva”, di “violenza causale”, di “esteriorità causale”, prima che nell'ambito assicurativo privato (che li ha mutuati), sono stati oggetto ampio di studio, di apporto medico giuridico, di analisi dottrinaria e di fondamento applicativo della Medicina Legale nel più ampio ed antico settore della protezione assicurativa collettiva degli infortuni lavorativi […] La riprova dell' intima connessione tra tessuto normativo ed elaborazione concettuale sulla tutela sociale degli infortuni sul lavoro e i modelli dei contratti assicurativi privati contro gli infortuni risiede nel fatto che tutte le acquisizioni analitiche e definitorie elaborate dall'analisi medico forense in tema di “infortunio” (modulate su precisi testi normativi) si sono riversate, quasi fisiologicamente, nel settore assicurativo privato e, nella concretezza della disamina medico legale, sono state applicate sistematicamente all'interpretazione degli stessi princìpi, corrispondenti ai medesimi concetti espressi nell'ambito dell'assicurazione libera. E di ciò è ulteriore conferma tutta la trattatistica Medico Legale accademica (italiana e straniera) degli ultimi cinquant'anni […]”.

In ordine al concetto di causa violenta, già intorno agli anni Venti del ‘900 un insigne accademico in medicina legale riteneva che: “siffatta capacità si riscontra anche in azioni che nella loro manifestazione esteriore non hanno nulla di grandioso, di grossolano, di brutale, tanto che talvolta sfugge persino il momento in cui esse investono l'organismo. Un tossico che penetrando nell'organismo in quantità minima, alla dose di pochi mgr. è capace di determinare la morte; un virus che, superate le difese poste da natura alla superficie di contatto del corpo con l'ambiente, suscita imponenti fenomeni morbosi, sono evidentemente agenti lesivi altrettanto, se non più, violenti di un trauma che discontinua o attrita i nostri tessuti: eppure nell'avvenimento per cui il tossico, il virus, giungono ad esplicare la loro azione sull'organismo non v'ha nulla di grossolanamente elettivo, nulla di violento nel significato volgare di tale aggettivo”.

In proposito si è evidenziato che: “Si tratta di analisi scientifiche molto ampie e profonde, propriamente e specificamente medico legali, che riassumono in termini inconfutabili acquisizioni della dottrina che non solo hanno informato tutti gli sviluppi successivi ed anche attualmente ne rappresentano il fondamento, ma che, ed è bene ricordarlo, hanno rappresentato il contorno tecnico e contenutistico sul quale si sono modulate anche le formulazioni dei contratti privati contro gli infortuni dal momento della loro realizzazione e della loro diffusione in Italia ed in Europa. Risulta dunque inequivocabile che la dottrina medico legale abbia costantemente considerato un'infezione virale o batterica, sulla cui trasmissione vi sia nozione delle modalità di contagio anche ambientale, ovvero non mediato da energie meccanica, un infortunio a tutti gli effetti, dotato delle caratteristiche della accidentalità, della violenza e dell'esteriorità causali”.

Quindi la Suprema Corte – allorquando iniziò a statuire che costituisce causa violenta e integra la fattispecie di infortunio anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico – non ha affatto “inventato”, come sostenuto dalla dottrina richiamata dalla convenuta, il principio secondo cui il contagio sarebbe un “infortunio sul lavoro”, ma si è attenuta al “tessuto scientifico e culturale derivante dalla cultura medico legale”.

Conclude, il Tribunale, prendendo le distanze dalla decisione del Tribunale di Pesaro (sentenza del 15 giugno 2021, già oggetto di critiche su questa rivista), dove vi è un richiamo al “comune sentire”, secondo cui l''infezione da COVID 19 è una malattia, mentre vengono trascurati i risultati cui è pervenuta la letteratura medico-legale e che la giurisprudenza della Suprema Corte ha recepito.

Invece quei risultati vengono presi in considerazione dalla più recente Tribunale Torino 19 gennaio 2022, V.S. versus I.I.T. società M.A., la quale ha evidenziato che l'infezione da COVID 19 è determinata da causa violenta in quanto “il contatto non è dilatato nel tempo” e “determina uno stravolgimento violento delle regole naturali della vita di un organismo che si trovi in situazione normale. Così come "violenta" sarebbe, ad esempio, la ferita provocata dalla caduta di un mattone sulla testa di una persona, allo stesso modo ben può dirsi violenta l'infezione di cui qui si discute, con un'alterazione dello stato normale di intere parti dell'organismo (in particolare dell'apparato respiratorio), al punto da causare gravissime sofferenze e, alla fine, addirittura la morte del soggetto interessato”. La stessa pronuncia ha condivisibilmente osservato che, nel caso residuassero ulteriori dubbi, verrebbe in soccorso dell'assicurato l'art. 1370 c.c., alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. 6 giugno 2020, n. 10825; Cass. 18 gennaio 2016, n. 668), secondo cui le clausole di polizza, che delimitino il rischio assicurato, ove inserite in condizioni generali su modulo predisposto dall'assicuratore, sono soggette al criterio ermeneutico posto dall'art. 1370 c.c., e, pertanto, nel dubbio, devono essere intese in senso sfavorevole all'assicuratore medesimo”.

Si veda Prof. Zoia, Annotazioni medico legali, già pubblicato su Ius Responsabilità civile (IUS.giuffrefl.it).

Tribunale di Udine: sentenza n. 179/2023

Attingendo dalle argomentazioni sopra esposte, facendo espresso richiamo alla giurisprudenza di legittimità e merito ed alla risalente dottrina medico legale, il Giudice di Udine riconosce l'infezione da COVID come infortunio ed accoglie la domanda: “Dei tre requisiti che in base al contratto caratterizzano la causa dell'infortunio (ovvero il suo carattere fortuito, violento ed esterno), non è in contestazione il fatto che il contagio da coronavirus sia causato da fattori “fortuiti” ed “esterni” rispetto alla vittima, mentre la compagnia convenuta contesta che la causa dell'infezione da Covid-19 possa essere definita “violenta”. A conforto del carattere “violento” della infezione, l'attore ha richiamato, oltre alla opinione della comunità scientifica medico-legale che assume essere “unanime”, i precedenti giurisprudenziali che hanno attribuito carattere violento alla “azione di fattori microbici o virali che, penetrando dell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo-fisiologico” (Cass. sez. lav., 10 ottobre 2022, n. 29435; Cass. sez. lav., 12 maggio 2005, n. 9968). La compagnia convenuta ha obiettato che le pronunce della Cassazione richiamate dall'attore riguardano la operatività della copertura assicurativa prestata dall'INAIL e dettano un principio applicabile agli “infortuni” subiti in rapporto con l'attività lavorativa subordinata, allo stesso modo della norma dell'art. 42, comma 2 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 22, pure richiamata dall'attore a conforto della sua domanda, che stabilisce la indennizzabilità quale infortunio dell'“infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro”.

È vero che i precedenti giurisprudenziali richiamati dall'attore riguardano tutti la assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e non i contratti di assicurazione contro i danni di diritto privato stipulati da lavoratori autonomi quale è il dott. ***, ma il principio da essi espresso in ordine al carattere “violento” della azione di fattori microbici o virali non può non valere anche nell'ambito delle assicurazioni private, non potendo essere diverso il significato del termine a seconda della qualità dell'infortunato o del fondamento della tutela.

Né assume rilevanza la distinzione tra causa “violenta” e “virulenta”, atteso che, se si attribuisce a quest'ultimo termine il significato di una causa i cui effetti si manifestano a distanza di un certo tempo dall'ingresso nell'organismo degli agenti patogeni, si rientra pur sempre nella nozione di “causa violenta” che secondo la giurisprudenza caratterizza l'infortunio nel sistema assicurativo-previdenziale (la equivalenza dei due termini è affermata da Trib. Ivrea, sez. lav., 4 dicembre 2007, n. 150).

La indennizzabilità quale infortunio delle conseguenze dell'infezione da Covid-19 in base ad un contratto di assicurazione privato è stata affermata dal Tribunale di Torino, sez. IV, con la sentenza 18 gennaio 2022, n. 184, prodotta dall'attore con la terza memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c., che, a conforto del carattere violento della causa dell'infezione da Covid-19 ha citato le affermazioni del Presidente della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni, secondo cui “Risulta dunque inequivocabile che la dottrina medico legale abbia costantemente considerato un'infezione virale o batterica, sulla cui trasmissione vi sia nozione delle modalità di contagio anche ambientale, ovvero non mediato da energia meccanica, un infortunio a tutti gli effetti, dotato delle caratteristiche della accidentalità, della violenza e dell'esteriorità causali”.

Conclusioni
Gli interessi in gioco erano tanti e tali da dar vita ad un acceso dibattito sull'indennizzabilità del contagio da COVID in ambito di infortunistica privata.E così parte della dottrina medico-legale - lo stigmatizza dal Tribunale di Udine - sembrerebbe aver rivisto concetti sedimentati nella tradizione scientifica.In ambito giudiziario pare non essersi debitamente considerata la natura del vincolo tra impresa ed assicurato, in cui l'una è professionista, l'altro consumatore, con la conseguenza che l'ermeneusi contrattuale deve necessariamente risolvere ogni dubbio interpretativo a favore del secondo, sempre che ve ne siano davvero. Si è anche preteso di decidere vicende regolamentate da contratti, che constano di clausole ben precise, frutto di studi di tecnica medico legale ed assicurativa consolidati, facendo esplicito riferimento al “sentire comune” (cfr. Tribunale di Pesaro ordinanza rep. n. 690/2021), in base al quale il COVID è malattia, così confondendo, per equivoca sovrapposizione concettuale, le conseguenze dell'infezione - la malattia infettiva - dalla sua eziologia - fortuita, violenta ed esterna (in proposito, si legga di E. Pedoja, Concausa di lesione in ambito di contratto di polizza infortuni, su Ius Responsabilità civile, ius.giuffrefl.it). In fine - e finalmente - i Giudici di merito - anche avvalendosi di una valutazione medico legale sulla indennizzabilità o meno dell'infortunio denunciato (come, peraltro, previsto in qualsiasi Polizza Infortuni), paiono aver imboccato la via maestra, che conduce alla liquidazione delle conseguenze di danno alla persona da Sars-Cov2 in ambito di infortunistica privata (invalidità permanente o decesso).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.