La composizione negoziata tra crisi, insolvenza (reversibile) e concrete prospettive di risanamento
06 Aprile 2023
Con il D.L. 24 agosto 2021 n. 118 (convertito, con modificazioni, dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147) è stato introdotto nel nostro ordinamento l'istituto della composizione negoziata della crisi d'impresa (artt. 2 ss.; “CNC”), il quale – con il D.L. 83/2022 (che ha recepito nel nostro ordinamento Direttiva (UE) 2019/1023, c.d. “Direttiva Insolvency”) – è stato incorporato, con alcune modifiche, nel tessuto del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (“CCII”), al Titolo II, capo I, artt. 12 ss. Si tratta di un istituto inedito per il nostro ordinamento, che prevede una fase giudiziale solo eventuale, intorno al quale si è creato un notevole interesse. Non potendo, per ragioni di economia del presente scritto, trattare l'istituto nella sua interezza, ci si concentrerà su un aspetto preliminare dello stesso, ossia l'individuazione dei soggetti a cui tale istituto è rivolto, da individuarsi alla luce delle finalità che intende perseguire. Come noto, l'instaurazione del “percorso” (giacché, secondo talune opinioni, sarebbe improprio parlare di procedura) di CNC avviene al di fuori del contesto giurisdizionale e, quindi, senza un effettivo vaglio preliminare, da parte del Tribunale, circa l'ammissibilità di tale iniziativa, tant'è che la nomina dell'Esperto, a seguito dell'istanza, avviene in modo pressoché automatico. Per contro, è previsto che l'Esperto, laddove non ravvisi concrete prospettive di risanamento, ne dia comunicazione all'imprenditore e al Segretario della Camera di Commercio, che provvederà ad archiviare l'istanza (art. 17, comma 5, CCII). Avanti al giudice, per contro, si approda soltanto in talune specifiche ipotesi previste dalla normativa e, tra di esse, in sede di richiesta di emissione di misure protettive e di successiva conferma (o revoca) delle stesse (artt. 18-19 CCII), ovvero di valutazione circa la richiesta di finanziamenti prededucibili o atti di disposizione dell'azienda o di rami d'azienda (art. 22 CCII). Il Tribunale così adito - secondo l'orientamento che si è andato consolidando - prima di assumere i provvedimenti richiesti, deve preliminarmente vagliare la sussistenza dei presupposti per l'accesso a tale istituto (e la proseguibilità di detto percorso) e, in particolare, la situazione in cui versa il debitore e le prospettive di risanamento. Proprio su questo, nella giurisprudenza di merito edita fino ad oggi, si sono delineati due primi filoni interpretativi. Prima di passare al loro esame, occorre ricordare che può accedere alla CNC – mediante l'istanza di nomina dell'esperto presentata al Segretario Generale della Camera di Commercio competente – ex art. 12, comma 1, CCII (che ha riformulato l'art. 2, comma 1, D.L. 118/2021) “l'imprenditore commerciale e agricolo […] quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa”. Con l'istanza di nomina dell'esperto o successivamente, l'imprenditore può:
Inoltre, il CCII (art. 21) prevede quali siano gli obblighi di comportamento del debitore (che “conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa”) nel corso del percorso di CNC, distinguendo tra l'ipotesi in cui l'imprenditore sia in stato di crisi e quella in cui, “nel corso della composizione negoziata”, lo stesso risulti insolvente. A sua volta, il D.M. del 28 settembre 2021 (adottato ai sensi dell'art. 3 D.L. 118/2021 e ora richiamato dall'art. 13, comma 2, CCII) prevede che “se l'esperto ravvisa, diversamente dall'imprenditore […] la presenza di uno stato di insolvenza, questo non necessariamente gli impedisce di avviare la composizione negoziata”. Dal quadro così delineato è, quindi, emerso (tra i tanti) un primo interrogativo: la CNC si rivolge soltanto all'imprenditore che, al momento dell'inizio del “percorso”, si trovi in stato di pre-crisi o di crisi (come oggi definita dall'art. 2, comma 1, lett. a), CCII) ovvero anche all'imprenditore che si trovi in stato di vera e propria insolvenza (nella nozione già presente nella legge fallimentare, oggi prevista all'art. 2, comma 1, lett. b), CCII)? E, anche a voler accedere a tale seconda ipotesi, vi sono ipotesi di insolvenza che debbano essere necessariamente escluse? Infine, cosa si intende per “risanamento dell'impresa” ragionevolmente perseguibile nell'ambito della CNC? A tali interrogativi, come si accennava in apertura, la giurisprudenza, in questi primi mesi di applicazione della normativa, ha fornito – anche con pregevoli e articolate argomentazioni – risposte non sempre convergenti. Gli orientamenti giurisprudenziali
Rispetto al primo quesito, la giurisprudenza largamente maggioritaria e, ad avviso di chi scrive, condivisibile, ha risposto ritenendo ammissibile l'accesso alla CNC da parte di un'impresa che si trovi (fin dall'inizio) sia in crisi sia in stato di insolvenza, purché – come si dirà – la stessa sia “reversibile” (cfr. per un excursus approfondito su tali concetti nel CCII, D. Fico, Probabilità di crisi (pre-crisi), probabilità d'insolvenza (crisi) e insolvenza nel CCI, in ilFallimentarista, 14 novembre 2022). Uno dei primi arresti giurisprudenziali sul tema (nel vigore del D.L. 118/2021) – già sinteticamente delineato in Trib. Bergamo, 24 febbraio 2022 - si ha con Trib. Arezzo, 16 aprile 2022. Il Tribunale, dopo aver inizialmente sollevato dubbi circa la possibilità che un'impresa, in liquidazione e pacificamente insolvente, potesse accedere alla CNC, ha accolto la tesi estensiva propugnata dall'istante e, in linea con l'opinione fin da allora espressa da autorevole dottrina (cfr. M. Fabiani, I. Pagni, cit. infra), ha rivisto il proprio convincimento. Ciò traendo argomenti di conferma dalle previsioni di cui all'art. 23 D.L. 118/2021 (ora 25-quinquies CCII), 6, comma 4, (ora 18, comma 4, CCII), 9, comma 1 (ora 21, comma 1, CCII), i quali consentono, ad avviso del Tribunale, di “riconsiderare il rigore testuale dell'art. 2, comma 1, e quindi aprire il varco della composizione negoziata anche all'imprenditore in stato di crisi o finanche di insolvenza”, purché reversibile, e che si trovi altresì in stato di liquidazione. Ciò che – infatti – è incompatibile con la CNC è la sussistenza di un'insolvenza irreversibile e/o, come si vedrà infra, l'assenza di concreta prospettiva di risanamento e di mantenimento dell'impresa sul mercato (se del caso previa revoca dello stato di liquidazione). In modo sostanzialmente analogo si sono successivamente espressi Trib. Bergamo, 25 maggio 2022, cui ha fatto seguito anche il decreto relativo alla concessione dei finanziamenti prededucibili del 5 luglio 2022 (in dirittodellacrisi.it) e il Trib. Brindisi,25 luglio 2022. Tale orientamento pareva, quindi, ormai destinato a consolidarsi. Sennonché, con articolato decreto, il Trib. Siracusa,14 settembre 2022, in sede di reclamo ex art. 7, comma 7, D.L. 118/2021 (oggi 19, comma 7, CCII), confermando la decisione del giudice di prime cure, si è espresso nel senso che l'imprenditore che si trovi già, al momento dell'avvio del percorso di CNC, in stato di insolvenza, non può avere legittimo accesso a tale strumento (con conseguente revoca delle misure protettive inizialmente concesse). Il Tribunale giunge a tale conclusione sulla base di una articolata motivazione, che fa leva dapprima sul dato letterale del dettato normativo e, quindi, su considerazioni di ordine generale e sistematico. Nello specifico, il Tribunale evidenzia che:
Tale pronuncia (pur sorretta da autorevole dottrina; cfr. F. Lamanna, cit. infra) pare, almeno allo stato, essere rimasta isolata. Peraltro, come rilevato dalla dottrina e dalla giurisprudenza successive, taluni dati citati dal Tribunale di Siracusa a preteso conforto della propria tesi, non appaiono convincenti, costringendo il Tribunale siciliano ad operare distinguo e precisazioni che indeboliscono il (pur pregevole) sforzo argomentativo. A seguito di tale pronuncia si sono espresse in modo contrario sia Trib. Roma, con pronunce del 10 ottobre (rispetto alla disciplina del D.L. 118/2021) e (sulla base del CCII) 25 novembre 2022 sia Trib. Bologna, 8 novembre 2022 e, di recente, Trib. Mantova, 20 dicembre 2022 - che espressamente richiama in motivazione (ma ricavandone argomenti contrari rispetto al Trib. Siracusa) sia i “considerando” n. 2-4-24 e gli artt. 4 e 6 della Direttiva Insolvency sia gli artt. 12, commi 1 e 2, 17, comma 5, e 19 comma 4 del CCII – nonché Trib. Modena, 3 dicembre 2022 e Trib. Avellino, 5 dicembre 2022. Da ultimo, va ricordata anche la pronuncia di Trib. Lecco, 2 gennaio 2023 che – con ampia motivazione – pur ammettendo la possibilità di un'impresa in stato di insolvenza di accedere alla composizione negoziata, ha assunto una posizione di maggior rigore sotto il profilo delle prospettive di risanamento. Il filo conduttore di tali pronunce può essere così riassunto: la finalità perseguita dal Legislatore (in attuazione della Direttiva Insolvency) è stata quella di approntare uno strumento flessibile, volto a favorire il recupero dell'efficienza aziendale e imprenditoriale ed evitare il depauperamento del patrimonio e la dispersione dei valori aziendali, ed essa non è frustrata (almeno in astratto) allorché l'impresa versi uno stato di insolvenza reversibile. Pertanto, non sarebbe ragionevole né efficiente (anche in un'ottica di contemperamento di interessi) escludere dette imprese dalla CNC. In aggiunta, non potendoci, in questa sede, soffermare su ciascuna di esse, vale la pena porre l'attenzione sulla pronuncia del Trib. Bologna, giacché la stessa – oltre a richiamare ampiamente i dati normativi e sistematici (anche di provenienza comunitaria) a conforto della propria tesi – evidenzia che l'orientamento espresso dal Tribunale di Siracusa non fosse errato (sulla base della normativa all'epoca previgente). Tuttavia, il Trib. Bologna scorge - con l'entrata in vigore del CCII - una “consapevole scelta” del Legislatore di depotenziare – di fatto – il c.d. early warning di matrice comunitaria, o meglio di adeguare il medesimo “alle caratteristiche culturali storicamente riscontrabili nella gestione italiana della crisi di impresa”. Ed invero, basti considerare (continua il Tribunale) che (i) gli strumenti dell'allerta precoce originariamente previsti - che prevedevano obblighi di segnalazione (anche a carico dell'OCRI) e indici di crisi ben più pregnanti (a cominciare dal DSCR) - hanno lasciato il posto all'attuale formulazione dell'art. 3 CCII, ove “tra i sintomi predittivi vengono indicate circostanze [lett. a e c del comma 4, n.d.r.] che spesso hanno sorretto la motivazione della sentenze di fallimento”, e (ii) l'allerta e la composizione assistita (che poteva essere stimolata dall'organo di controllo, dal revisione e dai soggetti pubblici qualificati) sono state sostituite con la CNC (che, come noto, è rimessa all'iniziativa dell'imprenditore). Pertanto, continua il Trib. Bologna, se questo è il (mutato) scenario normativo, allora la formulazione dell'art. 12 CCII deve ritenersi “neutra” e “coerente con la possibilità che alla composizione acceda [anche] l'impresa già insolvente”. Peraltro, ulteriore conferma di tale tesi estensiva (che – ad avviso di chi scrive – è senz'altro da preferire) si rinviene:
Manca, tuttavia, ancora un tassello per poter rispondere alle domande che ci eravamo posti all'inizio. Se, infatti, non è sulla dicotomia tra crisi e insolvenza (ossia sul “punto di partenza”) che si gioca questa partita, ecco allora che il tema centrale (come rilevato sia dalla dottrina sia dalla giurisprudenza) diventa la verificadel “punto di approdo”, ossia del risultato che (in concreto) risulta perseguibile, a fronte della (libera) iniziativa lasciata all'imprenditore. La CNC sarà, infatti, ammissibile solo laddove risulti (all'esito di un'indagine in fatto) ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa. E ciò dovrà essere verificato alla luce: (i) dello stato in cui si trova l'impresa; (ii) delle azioni prospettate dall'imprenditore nel piano per il superamento della situazione di crisi/insolvenza (anche alla luce dei risultati registrati nel c.d. test pratico, delle valutazioni dell'Esperto e/o di altro ausiliario all'uopo nominato dal giudice nella fase giurisdizionale); (iii) delle trattative con i creditori; (iv) della effettiva attuabilità della continuità aziendale (anche attraverso cessione d'azienda e/o di rami della stessa) (cfr. D. Fico, cit. e par. 2.4 sez. III, Decreto Ministeriale, cit.). Di contro, ricorda il D.M., “al ricorrere di tre condizioni congiunte: (i) continuità aziendale che distrugge risorse; (ii) indisponibilità dell'imprenditore a immettere nuove risorse; (iii) assenza di valore del compendio aziendale” le probabilità che l'insolvenza sia reversibile sono assai remote indipendentemente dalle scelte dei creditori, e dunque in questi casi è inutile avviare o proseguire le trattative. Di tali criteri fanno applicazione anche le pronunce sopra menzionate, le quali offrono una prima, interessante (ancorché non esaustiva), casistica. In particolare:
(i) vi erano molteplici dati che mettevano in discussione la ragionevolezza del piano di risanamento (alla luce delle condizioni fortemente critiche in cui versava l'impresa e dei risultati del test pratico), ma lo stato delle trattative con i creditori dimostrava che i medesimi non fossero contrari a detto piano, la società aveva assunto iniziative di forte discontinuità (nominando altresì un CRO) e l'alternativa meramente liquidatoria appariva incapace di soddisfare – se non in minima parte – le ragioni dei creditori (Trib. Bologna, cit.); a tale pronuncia ha poi fatto seguito la recente pronuncia del medesimo Trib. Bologna, 9 gennaio 2023, in ilcaso.it, dove si è dato atto di un miglioramento del quadro fattuale (positivi risultati ottenuti per effetto delle trattative con i creditori, diverso profilo del business plan e della fattibilità del piano, sottoscrizione dell'accordo con il partner strategico e realizzazione di nuove commesse e, infine, della circostanza che queste iniziative garantiscono una acquisizione di valore da spendere anche nel worst case di una liquidazione giudiziale), che ha condotto alla proroga delle misure protettive e all'autorizzazione alla contrazione dei finanziamenti prededucibili, inizialmente negata; (ii) secondo il parere dell'Esperto vi era ragionevole probabilità di perseguire il risanamento, tenuto conto del positivo andamento dell'attività aziendale, e vi erano margini per il proficuo svolgimento delle trattative (cfr. Trib. Bergamo, 25 maggio 2022 e 5 luglio 2022, cit.); (iii) il risanamento passava per il tramite dell'intervento di un terzo (eventualmente anche a fronte dell'acquisto d'azienda) ed esso appariva ragionevolmente probabile (sulla base di manifestazioni di interesse ricevute) e i creditori strategici avevano manifestato disponibilità a cooperare nel percorso di risanamento, (cfr. Trib. Mantova, cit.); (iv) il risanamento appariva sulla base di una valutazione necessariamente sommaria (sussumibile nell'espressione fumus boni iuris) “tuttora perseguibile secondo un criterio di ragionevolezza (ovvero di concreta probabilità)” dal momento che: (i) la prosecuzione dell'attività aziendale non generava ulteriore debito, (ii) vi era una scarsa esposizone verso i fornitori e un regolare svolgimento dei rapporti commerciali; (iii) si manteneva la forza lavoro necessaria alla prosecuzione dell'attività; (iv) l'Esperto si era espresso positivamente sul recupero dei margini di breve e medio periodo; (v) vi era la possibilità di recuperare il fatturato, con il venir meno delle restrizioni dovute alla crisi, nonché di liquidare beni non essenziali destinando il ricavato alla soddisfazione dei creditori (cfr. Trib. Avellino, cit.).
(i) l'obiettivo del risanamento appariva “manifestamente implausibile” in ragione della “palese inettitudine” del progetto di risanamento imbastito dall'imprenditore (cfr. Trib. Modena, cit.); indici di non manifesta implausibilità (che non ricorrevano nel caso di specie) sarebbero da ricavarsi dalla disponibilità alle trattative manifestata dai creditori, dalla fiducia dell'esperto, dall'assenza di iniziative esecutive, un piano chiaro e sorretto da solide assunzioni, il mancato aggravamento della posizione della società conseguente alla prosecuzione dell'attività e, infine, una alternativa liquidatoria con esigue prospettive per la gran parte dei creditori; (ii) il raggiungimento del risanamento dell'impresa appariva impervio e non “ragionevolmente plausibile” (il piano era embrionale, mancava il test pratico, le trattative allo stato coinvolgevano solo creditori minori e non vi erano prospettive di sostegno da parte di soci o terzi) e ciò ancorché la prospettiva liquidatoria sarebbe stata in grado di soddisfare solo in minima parte le ragioni dei creditori (cfr. Trib. Lecco, cit.). In tale ipotesi, il Tribunale, assume – infatti - una posizione più rigorosa rispetto a quella predicata dai Trib. Bologna e Trib. Modena sopra citati, giungendo ad affermare che “soltanto progetti di risanamento dotati di concretezza e ragionevolezza che devono positivamente connotare le iniziative di superamento della crisi” possono consentire la prosecuzione della composizione negoziata e il mantenimento delle misure protettive, giustificando l'obbligo imposto ai creditori di partecipare alle trattative e di collaborare (ai sensi dell'art. 16, commi 5 e 5, CCII); ed invero, la prognosi di “manifesta inettitudine risulta applicabile oramai esclusivamente agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza di tipo liquidatorio […] e non agli strumenti orientati alla continuità aziendale”; (iii) l'impresa si trovava da tempo in liquidazione, il piano proposto era di natura meramente liquidatoria e non vi era alcun proposito dell'impresa di rimanere sul mercato (cfr. Trib. Arezzo, cit.); (iv) mancava un progetto concreto che delineasse l'obiettivo di fondo che si intendeva perseguire e le linee guida principali degli interventi da assumere e non vi era un reale superamento della crisi finanziaria e industriale, tale da consentire la continuità aziendale, ma soltanto una prospettiva liquidatoria (con cessazione, a fine piano, di qualsivoglia attività aziendale) e, infine, era già stata manifestata la totale indisponibilità di un creditore (determinante) ad intraprendere le trattative (cfr. Trib. Roma, 10.10.22, cit.). In conclusione
In conclusione, ad avviso di chi scrive, l'approdo interpretativo cui sono giunte la giurisprudenza e la dottrina assolutamente maggioritarie appare condivisibile e in linea con quelle che sono le finalità del nuovo impianto normativo. Se, infatti, la finalità dell'istituto della CNC è quella favorire il recupero dell'efficienza aziendale e imprenditoriale, ed evitare il depauperamento del patrimonio e la dispersione dei valori aziendali, non vi è ragione (in assenza di espressi limiti normativi) per consentire l'accesso alla stessa al solo imprenditore in stato di crisi (e non di insolvenza, purché reversibile). Entrambi, infatti, possono raggiungere detti obiettivi, ovviamente sulla base di iniziative più o meno intense, a seconda della gravità della situazione. Non ci pare, per contro, che vi potrà essere spazio, oltre che per iniziative meramente strumentali, anche per iniziative che si discostino marcatamente da tali obiettivi e dalle quali risulti non ragionevolmente attuabile il risanamento dell'impresa (nell'ottica della continuità aziendale, anche indiretta e della conservazione del valore), giacché per esse altri sono i rimedi e altre le cautele (anche procedurali) che il CCII appronta (basti pensare agli accordi di ristrutturazione ovvero al concordato di natura liquidatoria, ovvero ancora alla liquidazione giudiziale), al fine di contemperare adeguatamente le ragioni dell'imprenditore e dei creditori. Peraltro, il dibattito che qui ci ha occupato dovrebbe essere limitato alla fase iniziale di applicazione dell'istituto della CNC e, quindi, in chiave prospettica, dovrebbe via via attenuarsi e divenire marginale. Con il progressivo (auspicato) avvicinamento all'obiettivo perseguito dal Legislatore – ossia quello di consentire, anche per effetto dell'implementazione dei c.d. “adeguati assetti” di cui all'art. 2086 e 2475 c.c. e 3 CCII, l'emersione precoce della situazione di difficoltà dell'impresa, nell'ottica di maggiore salvaguardia del relativo valore della stessa, degli interessi di soci e stakeholder – l'imprenditore dovrebbe intraprendere il percorso di CNC in una fase assai anteriore all'insolvenza. In difetto, infatti, significherebbe che l'impresa non si è dotata di detti adeguati assetti ovvero ha deliberatamente ignorato i segnali di allerta presenti, continuando ad operare, così frustrando le finalità dell'intero impianto normativo e con non secondarie conseguenze in punto di responsabilità (soprattutto in capo agli amministratori e ai componenti dell'organo di controllo). Per approfondimenti dottrinali in relazione ai temi trattati nel presente contributo si vedano: - in senso conforme: M. Fabiani, I. Pagni, Introduzione alla composizione negoziata, in Fallimento, 2021, n. 12, p. 1483 A. Monoriti, Composizione negoziata della crisi d'impresa o negoziazione per la rigenerazione d'impresa?, in Il Fallimentarista, 12 maggio 2022 D. Fico, Probabilità di crisi (pre-crisi), probabilità d'insolvenza (crisi) e insolvenza nel CCI, in Il Fallimentarista, 14 novembre 2022 P.G. Cecchini, Solo esperto o anche sentinella?, in Il Fallimentarista, 6 dicembre 2022 S. Ambrosini, La composizione negoziata compie un anno: breve itinerario fra le prime applicazioni, in ristrutturazioniaziendali.it, 12.12.2022. In senso dubitativo: C. Sottoriva e A. Cerri, Uno sguardo d'insieme sulla composizione negoziata all'esito della conversione del D.L. 118/2021, in Il Fallimentarista, 2 dicembre 2021 M. Vitiello, La spinta per una precoce soluzione della crisi d'impresa ed il ruolo del pubblico ministero nell'accertamento dell'insolvenza, in Il Fallimentarista, 24 novembre 2021 In senso difforme: F. Lamanna, Criticità del presupposto oggettivo della composizione negoziata, in Il Fallimentarista, 20 aprile 2022 Per alcune riflessioni alla luce della normativa comunitaria: C. Pagliughi, Obiettivi dell'allerta secondo la Direttiva 1023/2019, il CCI e il D.L. 118/2021: similitudini e divergenze, in Il Fallimentarista, 26 ottobre 2021 P. Pajardi, La composizione negoziata alla luce della Direttiva Insolvency, in Ristrutturazioni aziendali, 1 febbraio 2022.
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