Sintesi degli atti giudiziari e regolamentazione delle spese di lite
06 Aprile 2023
Massima
Le «gravi ed eccezionali ragioni» che consentono la compensazione delle spese legali, pur in difetto di soccombenza reciproca, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., non possono essere integrate dall'eccessiva prolissità della comparsa di costituzione e risposta della parte vittoriosa. Il caso
Con ricorso per cassazione, articolato in unico motivo, avverso una pronuncia di una corte di merito di secondo grado, veniva denunziata la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., per avere il giudice d'appello compensato interamente le spese di lite, pur essendo l'appellante risultata totalmente soccombente, in ragione della prolissità della comparsa di costituzione e risposta degli appellati, contenente difese ritenute eccessive e ridondanti. Il giudice di legittimità, in accoglimento del ricorso, cassava con rinvio la sentenza impugnata, ritenendo che il mero riferimento all'eccessiva prolissità e ridondanza delle difese non potesse integrare le gravi ed eccezionali ragioni giustificative della compensazione delle spese legali, in assenza di soccombenza reciproca ai sensi dell'art. 92 c.p.c., traducendosi in una mera censura alle modalità di difesa estranea al principio di soccombenza nonché in un inammissibile surrettizio rilievo dell'abuso dello strumento difensivo, esorbitante dal parametro normativo in tema di liquidazione delle spese del giudizio. La questione
La pronuncia affronta trasversalmente le tematiche, in rapporto di intersezione logico giuridica, del contenuto della clausola elastica delle gravi ed eccezionali ragioni che, ai sensi dell'art. 92 cpv. c.p.c. giustificano, assieme alla soccombenza reciproca, la pronuncia di compensazione delle spese di lite e dell'ingravescente esigenza di osservanza dei criteri di sinteticità nella redazione degli atti giudiziari, con particolare riferimento al rilievo che la prolissità dell'atto difensivo possa avere, concretando violazione di tali criteri, ai fini della regolamentazione delle spese di lite, in termini di deroga al criterio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c. La tormentata evoluzione dell'art. 92 cpv. c.p.c. è nota. Il principio generale della regolamentazione delle spese di lite secondo soccombenza è derogabile, oltre che in caso di reciproca soccombenza, (la cui nozione appare di recente precisata da Cass. civ., sez. un., 31 ottobre 2022, n. 32061), al ricorrere di fattispecie riconducibili ad un parametro normativo indefinito, espresso da una generica locuzione, inizialmente individuata alla stregua di giusti motivi, nella versione di cui alla l. n. 263/2005, poi di gravi ed eccezionali ragioni, nella versione modificata dalla l. n. 69/2009. Il tentativo di arginare l'evidente proclività giudiziale alla compensazione delle spese in deroga alla soccombenza, facendo leva sull'indeterminatezza del parametro, ha indotto il legislatore del d.l. n. 132/2014 a tassativizzare la previsione, sostituendo alla generica locuzione le due fattispecie positive dell'assoluta novità della questione trattata e del mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti. Il conato legislativo di confinare il campo di discrezionalità dell'interprete ha, tuttavia, avuto vita relativamente breve, atteso che, con la nota sentenza additiva 19 aprile 2018, n. 77, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il comma, nel testo modificato dal d.l. n. 132/2014, nella parte in cui non prevedeva che il giudice potesse compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistessero altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni, facendo così ritorno alla formulazione di cui alla l. n. 69/2009. Il ripristino della clausola generale ha consentito, dunque, la riespansione della capacità della norma di adattarsi al contesto storico sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice di merito, con giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto pur sempre fondato su norme giuridiche. In particolare, si è ritenuto che possano integrare la nozione l'oggettiva opinabilità delle questioni affrontate o l'oscillante soluzione ad esse data in giurisprudenza (Cass. civ., sez. VI, 11 marzo 2022, n. 7992), la complessità della materia trattata (Cass. civ., sez. VI, 16 settembre 2022, n. 27293), mentre non è stato ritenuto sufficiente il mero riferimento alla natura processuale in rito della pronuncia (Cass. civ., sez. II, 16 maggio 2022, n. 15611), né la mancata opposizione del soggetto convenuto in giudizio o la contumacia (Cass. civ., sez. VI, 18 giugno 2020, n. 11786). Le soluzioni giuridiche
Sotto altro versante, appare evidente la crescente esigenza di fronteggiare il fenomeno, gergalmente noto come «elefantiasi degli atti giudiziari», consistente nella preoccupante tendenza, nata in concomitanza con l'eliminazione dell'imposta di bollo parametrata alla lunghezza dell'atto e lo sviluppo di mezzi telematici di redazione dell'atto, alla composizione di atti difensivi prolissi, contenenti inutili ripetizioni concettuali ed estenuanti citazioni giurisprudenziali o documentali per esteso. La mobilitazione contro questa prassi, contraria ai precetti di rapida definizione del contenzioso e ad elementari criteri di salubrità giudiziaria, ingenerando il rischio di una parziale o distorta conoscenza della questione sottoposta all'interprete, ha visto coinvolta il triplice fronte istituzionale, normativo e giurisprudenziale. Si sono, difatti, susseguite iniziative riconducibili alla rappresentanza dell'avvocatura o congiunte (vedasi Raccomandazione CNF n. 83/2013, Istruzioni pratiche per la redazione del procedimento dinanzi alla CEDU, Protocollo per la redazione degli atti civili dell'Osservatorio Giustizia Civile di Torino, Commissione paritetica Tribunale di Milano per l'elaborazione di linee guida nell'anno 2015), volte all'elaborazione di criteri e linee guida per la redazione di atti di facile ed agevole comprensione, sulla base di criteri di chiarezza e sinteticità. Al contempo, è risultata agevolmente percepibile la tendenza del legislatore a favorire, sia pure alla stregua di indicazione tendenziale sprovvista di sanzione, la redazione di atti e provvedimenti sintetici, attraverso l'uso di un variegato apparato locutorio, che va dalla concisa enunciazione dei fatti in sentenza di cui all'art. 132 c.p.c., all'esposizione sommaria dei motivi di appello ex art. 342 c.p.c., ed alla natura sintetica degli atti di parte e dei provvedimenti del giudice, depositati con modalità telematiche ai sensi dell'art. 16-bis comma 9-octies del d.l. n. 179/2012, successivamente modificato dal d.l. n. 83/2015. Sul versante giurisprudenziale, negli stessi anni, si sono registrate le prime pronunce che, al fine di rendere effettivo il precetto di redazione degli atti secondo chiarezza e sinteticità, hanno cercato di individuare una sanzione con funzione di deterrenza rispetto alle derive patologiche nella redazione degli atti giudiziari. Le prime manifestazioni di sensibilità, sulla questione dei precetti e chiarezza di sinteticità si rinvengono in pronunce di legittimità di oltre un decennio fa (vedasi, in particolare, Cass. civ., sez. un., 4 aprile 2012, n. 5698; Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2012, n. 11199). Di lì a qualche anno la Suprema Corte ha individuato, quale misura atta a garantire l'effettività dei precetti, l'astratta sanzione dell'inammissibilità del ricorso per violazione del principio cardine del giusto processo (Cass. civ., sez. lav., 5 gennaio 2016, n. 34), o degli artt. 24 e 111, co. 2, Cost., e art. 6 CEDU (Cass. civ., sez. lav., 30 settembre 2014, n. 20589), addivenendo a comminarla in concreto, in sede di legittimità, facendo leva sull'art. 366 n. 3 c.p.c. (ex plurimis, Cass. civ, sez. VI, 28 agosto 2018, n. 21231) che, a pena di inammissibilità, richiede la chiara esposizione dei fatti essenziali all'illustrazione dei motivi del ricorso per cassazione. In giurisprudenza di merito si rinvengono precedenti (vedasi, ad esempio, Trib. Milano, ord. 1° ottobre 2013), nei quali la violazione dei doveri di chiarezza e sinteticità degli atti è ricondotta all'alveo dell'art. 88 c.p.c., in tema di doveri di lealtà e probità processuale, con possibile sanzionabilità della condotta attraverso la regolamentazione delle spese di lite ex artt. 91 e 92 c.p.c. Osservazioni
L'intervento in sede giudiziale sulle modalità di redazione degli atti giudiziari, al di fuori di norme positive che attribuiscano tale potere, presuppone la risoluzione di una delicata questione di ripartizione di ambiti, risultando la redazione dell'atto difensivo un proprium della difesa tecnica, caratterizzata da una naturale sfera di intangibilità da parte del giudice. Laddove la prerogativa defensionale venga esercitata in modo distorto, attraverso la produzione di atti violativi di principi di chiarezza e sinteticità, tali da ostacolare il concreto esercizio della funzione giurisdizionale che non può prescindere dall'agevole comprensione del contenuto degli atti, appare eccessivo ipotizzare sanzioni esiziali, quali la declaratoria di inammissibilità del ricorso, al di fuori degli stringenti limiti di norme, qual è l'art. 366, n. 3 e 4 c.p.c., non potendo i criteri di redazione degli atti assurgere alla stregua di condizioni dell'azione o presupposti processuali. Meno impervia può apparire la strada del giudizio di trasgressione dei doveri di cui all'art. 88 c.p.c., con possibile traslazione sulla regolamentazione delle spese di lite ai sensi dell'art. 92 c.p.c., connessione che la pronuncia in commento disattende, sul presupposto dell'impossibilità di operare mere censure alle modalità della difesa estranee al principio della soccombenza. A ben vedere, la natura etica dei doveri tutelati dall'art. 88 imporrebbe di distinguere i casi in cui il contegno processuale antieconomico serbato dalla parte processuale, attraverso l'eccesso e la disorganizzazione dell'atto, sia espressione di mera imperizia, da quelli in cui lo stesso disveli la volontà di confondere le acque, ingenerare confusione o celare informazioni decisive, sintomatica di abuso processuale. L'opzione tra inammissibilità ed incidenza sulle spese di lite appare, tuttavia, risolta in nuce dalla recente modifica dell'art. 46 disp. att. c.p.c., ad opera del d.lgs. n. 149/2022 (riforma Cartabia) che ha, da un lato, demandato al Ministro della giustizia, sentiti CSM e CNF, la definizione, con decreto biennale, della struttura e limiti degli atti processuali, tenuto conto della tipologia, valore, complessità, numero delle parti e natura degli interessi coinvolti precisando, dall'altro, al 6° comma che il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell'atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo. L'applicazione dell'art. 92 c.p.c. costituisce, tuttavia, espressione di mera facoltà da parte del giudice, da esercitarsi discrezionalmente, sulla base di valutazioni che non possono prescindere dalla rilevata violazione dei doveri di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c. nei termini innanzi detti, non potendosi prescindere dal rilievo circa l'intervenuta violazione dei doveri di matrice etica, sintetizzati dalla norma. |