Il danno non patrimoniale nei contratti
07 Aprile 2023
Definizione
La questione del danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale ha assunto una sempre maggiore rilevanza, di pari passo con quella che ha assunto quel tipo di danno nelle relazioni extracontrattuali.
Il risarcimento del danno da inadempimento costituisce una esecuzione per equivalente, potremmo dire un adempimento per equivalente del contratto inadempiuto, ciò in quanto, da un lato, mira a procurare al contraente deluso il valore della prestazione inadempiuta, dall'altro in quanto questo obiettivo è raggiunto attraverso una stima del danno di tipo differenziale, che tiene conto quindi della utilità che per il patrimonio del danneggiato quella prestazione aveva.
Tra le regole che aiutano a meglio comprendere tale assunto valgono quelle che considerano nella quantificazione del danno né il vantaggio conseguito dall'inadempiente, né l'interesse negativo. In merito al primo aspetto, la questione è che fine del risarcimento è quello di rimediare ad una perdita; quanto al secondo aspetto, invece, è che l'interesse negativo, in quanto interesse a non incorrere in una negoziazione per niente utile, è un tipo di interesse che attiene alla fase precontrattuale.
L'effetto di garantire al contraente deluso la stessa utilità, in termini pecuniari, di quella che avrebbe conseguito se il contratto fosse stato adempiuto, è realizzato attraverso una certa concezione del danno inferto all'interesse positivo, che è quella del danno inteso come id quod interest, versione praticamente identica alla concezione differenzialistica del danno.
Quest'ultima intende il danno come la differenza tra il valore aritmetico del patrimonio prima del fatto lesivo (dell'inadempimento) ed il valore del patrimonio considerato come se il fatto dannoso non ci fosse stato (Come è noto si tratta di una teoria formulata da MOMMSEN, Zur Lehre von dem Interesse, Braunschweig, 1855. Sembra, secondo le indicazioni di LANGE, Schadensersatz, Tübingen, 1979, 18 ss. che sia dominante in Germania, dove secondo alcuni, come MERTEN in Der Begriff des Vermögensschadens im Bügerlichen Recht, Stuttgart- Berlin- Köln-Mainz, 1967, 17 ss. sarebbe stata codificata nel § 249 del BGB che fa riferimento alla ricostruzione del patrimonio quale era prima del fatto illecito. La tesi ha ricevuto critiche di vario tenore, per limitarsi ad alcune prese di posizione italiane, v. SCOGNAMIGLIO, Risarcimento del danno, in Noviss. Dig. it., XVI, Torino, 1969, 6 ss).
Tuttavia, per stabilire quale sarebbe stato il valore del patrimonio se l'inadempimento non ci fosse stato occorre rimettersi alla valutazione che il danneggiato fa della utilità della prestazione; non si considera il valore oggettivo del bene, ma quello che esso ha per la vittima, l'utilità che presenta per la parte adempiente la prestazione rimasta inadempiuta. Secondo alcuni questa concezione del danno sarebbe dettata dall'art. 1223 c.c., che impone di considerare il lucro cessante.
Qui si intende dimostrare la rilevanza del problema attraverso l'esemplificazione di alcuni casi.
Il danno da vacanza rovinata, ad esempio, è il danno che consegue all'inadempimento dell'agente di viaggio, nel fatto di offrire al cliente prestazioni diverse da quelle pattuite o nel lasciare inadempiuta una delle prestazioni assunte. La natura è quella di un danno non patrimoniale. Naturalmente nel fatto di offrire al turista una vacanza diversa e peggiore di quella concordata, v'è anche un danno patrimoniale, perlomeno insito nella spesa che il viaggiatore ha effettuato per una prestazione non esattamente eseguita.
Infatti, ormai da un paio di decenni è riconosciuto al turista, oltre alla perdita economica, anche un altro specifico danno: quello consistente nel disagio per non aver potuto godere della vacanza, e questo pregiudizio ha natura di danno non patrimoniale, simile al danno morale soggettivo, il cui risarcimento è di derivazione comunitaria, più che nazionale.
Sin dalla decisione 168 del 2002 della Corte di Giustizia, si è affermato che l'art. 5 della Direttiva n. 90/314/CEE sui pacchetti turistici, deve essere interpretato nel senso che il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante dall'inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite in occasione di un viaggio tutto compreso, per via del fatto che questo tipo di danno non patrimoniale ha spesso una incidenza ben maggiore della eventuale perdita patrimoniale.
Ha poi inciso sulla materia il codice del consumo (l. 79 del 2011), ed infine la legge n. 62 del 2018, che, in attuazione della Direttiva UE 2015/ 2302, ha disciplinato per intero la materia. Danno da inadempimento e quello atipico
Il danno da vacanza rovinata è un pregiudizio, di natura non patrimoniale, che consegue, normalmente, all'inadempimento di una obbligazione volta a soddisfare un interesse turistico: solitamente presuppone un contratto con cui una parte, che di norma vende pacchetti turistici, si obbliga ad organizzare una vacanza e renderla fruibile al cliente (Spunti in C. Rossello, Il danno da vacanza rovinata dopo le Sezioni Unite del 2008 sul nuovo statuto del danno non patrimoniale, in Nuova giur. civ. comm., n. 10/2009; da ultimo anche G. De Cristofaro, La disciplina dei contratti aventi ad oggetto “pacchetti turistici” nel “codice del turismo” (d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79): profili di novità e questioni problematiche, Studium Juris, 2011, I, 1143, II, 1282 s.; P. Battilani, Vacanze di pochi e vacanze di tutti. L'evoluzione del turismo europeo (Bologna 2017). AAVV., Codice del consumo, a cura di V. Cuffaro, A. Barba e A. Barenghi (Milano 2018), 1159 s. E, prima della novella legislativa, L. Rossi Carleo - M. Dona, Il contratto di viaggio turistico (Napoli 2010). Il danno da vacanza rovinata è dunque l'effetto dell'inadempimento di tale obbligazione.
In questo ambito, dei contratti del turismo, l'inadempimento di qualsiasi obbligazione assunta verso un turista può generare danno risarcibile (ad esempio per il ritardo di un volo, Cass. 12143 del 2016), purché incida in modo apprezzabile, come si dirà in seguito, sull'interesse del turista a godere della vacanza.
Secondo un orientamento di merito è necessario che il turista abbia acquistato un intero pacchetto turistico, mentre il danno non è risarcibile se è stato acquistato un singolo biglietto (Trib. Milano 5986 del 2019): questa tesi però non tiene conto del fatto che la cancellazione di un volo può pregiudicare il godimento dell'intera vacanza. Regola dovrebbe essere quella, invece, di valutare caso per caso l'incidenza dell'inadempimento sullo scopo concreto del turista.
Questa ratio giustifica quindi anche una applicazione analogica delle disposizioni della legge 62 del 2018 a casi diversi dalla vendita di un intero pacchetto turistico, purché il contratto sia finalizzato a fornire una vacanza.
Non si applica invece la legge ai casi in cui la vacanza è solo uno scopo secondario del viaggio: ad esempio quello del professionista che acquista un pacchetto turistico, perché, dovendo recarsi in un certo posto per lavoro, ne vuole approfittare per godersi anche un periodo di relax. Il contratto turistico, ossia il contratto di viaggio, ha come causa concreta lo scopo turistico, che deve essere quello esclusivo o principale dell'acquisto.
Ovviamente va da sé che la rilevanza di tale danno non patrimoniale sfugge alla regola, ormai da tempo fissata dalla prassi, secondo cui il danno non patrimoniale da illecito civile è risarcibile solo ove derivi dalla violazione di un interesse costituzionalmente rilevante o protetto (si ricorderà in tale senso Cass. Sez. Un. 26972 del 2008).
Per due motivi almeno: intanto in quanto il danno da vacanza rovinata è espressamente ritenuto risarcibile dalla legge: dunque la rilevanza dell'interesse (quello a godere della vacanza) è già valutata dall'ordinamento e non ha bisogno di un apprezzamento da parte del giudice.
Come è noto, infatti, il risarcimento del danno per una vacanza rovinata è stato dapprima previsto con la legge n. 79 del 2011, ed ora con la numero 62 del 2018, la quale, all'articolo 46, prevede che: "nel caso in cui l'inadempimento delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto non è di scarsa importanza ai sensi dell'art. 1455 c.c., il viaggiatore può chiedere all'organizzatore o al venditore, secondo la responsabilità derivante dalla violazione dei rispettivi obblighi assunti con i rispettivi contratti, oltre ed indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all'irripetibilità dell'occasione perduta. Il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni, ovvero nel più lungo periodo per il risarcimento del danno alla persona previsto dalle disposizioni che regolano i servizi compresi nel pacchetto, a decorrere dalla data del rientro del viaggiatore nel luogo di partenza."
Ma c'è una seconda ragione: il danno da vacanza rovinata è un tipo di danno che deriva da un inadempimento, e pertanto è sottratto alla regola propria del danno non patrimoniale da illecito extracontrattuale.
E, non essendo un danno che ha bisogno dei criteri aquiliani per essere risarcito, non dovrebbe rilevare neanche il criterio, dettato per l'illecito extracontrattuale, della necessaria gravità, o del superamento della normale tollerabilità (niente affatto condivisibile, allora Cass. 17724 del 2018, che pretende una valutazione basata sul criterio di tolleranza delle lesioni minime e di gravità del danno, come fosse un pregiudizio derivante da illecito extracontrattuale, analogamente Cass. 7256 del 2012. E cosi il precedente in termini 14662 del 2015 che statuisce: “ll danno non patrimoniale da vacanza rovinata richiede la verifica della gravità della lesione e della serietà del pregiudizio patito dall'istante, al fine di accertarne la compatibilità col principio di tolleranza delle lesioni minime (precipitato, a propria volta, del dovere di solidarietà sociale previsto dall'art. 2 Cost.), e si traduce in un'operazione di bilanciamento demandata al prudente apprezzamento del giudice di merito, il quale, dalla constatazione della violazione della norma di legge che contempla il diritto oggetto di lesione, attribuisce rilievo solo a quelle condotte che offendono in modo sensibile la portata effettiva dello stesso”). Allora giova ripercorrere la questione.
Come è noto, ad un certo punto della riflessione sul danno non patrimoniale sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. n. 26972 del 2008) che hanno sostanzialmente imposto il seguente principio di diritto: il danno non patrimoniale è risarcibile, anche fuori dai casi in cui ciò è espressamente previsto dalla legge, purché esso derivi dalla lesione di un interesse costituzionalmente tutelato.
Tuttavia, anche in caso di lesione di un tale interesse, il danno non patrimoniale che ne deriva è risarcibile purché la lesione sia grave e seria, con irrilevanza dunque dei pregiudizi che, per la loro modesta dimensione, dovrebbero dirsi normalmente tollerati nelle relazioni sociali.
Questa regola, dettata per il danno non patrimoniale da illecito extracontrattuale, è stata, ma in realtà più come obiter dictum che come principio di diritto, estesa anche al danno non patrimoniale da inadempimento di un contratto.
La regola è stata recepita dalle decisioni successive, che hanno escluso il risarcimento del danno da inadempimento, ogni volta che l'interesse di cui si lamentava la lesione non era ritenuto costituzionalmente tutelato (come ad esempio Cass. 17894 del 2020, che si pone il problema se il diritto di usare il telefono, leso dall'inadempimento del gestore di telefonia che ha causato interruzione di servizio, sia un diritto costituzionalmente tutelato; e lo esclude sostenendo che la possibilità di comunicare può essere soddisfatta altrimenti, con ciò confondendo tra l'altro la natura del diritto con la sua possibilità di esercizio).
In sostanza, va riaffermato che altro è il danno non patrimoniale da illecito extracontrattuale, altro quello da inadempimento. Per il primo è necessario sapere se l'interesse leso, da cui il danno deriva, abbia una rilevanza costituzionale, altrimenti non è ammesso risarcimento, in ragione della regola di tipicità (ormai però creativamente superata dalla giurisprudenza) dell'art. 2059 c.c., e rispetto al quale si può anche discutere di gravità rilevante, ossia ci si può domandare se sia il caso di ammettere risarcimento nei casi in cui, pur derivando il danno non patrimoniale dalla lesione di un interesse di rango costituzionale, debba limitarsene il risarcimento ai casi di serietà e gravità.
Regole queste però che non hanno alcuna attinenza con il danno da inadempimento: in questo caso, infatti, la rilevanza dell'interesse è stabilita dalle parti, e non ha bisogno di essere apprezzata dal giudice nella sua rilevanza costituzionale.
Nel danno contrattuale sono le parti che decidono se tra i pregiudizi derivanti dall'inadempimento siano da risarcire anche quelli di natura non patrimoniale, a prescindere dalla circostanza che siano gravi e seri, essendo la rilevanza dell'interesse, ma anche la gravità della lesione e del pregiudizio, rimesse alla volontà dei contraenti (G. Cricenti, Persona e risarcimento, Padova, 2005).
Facciamo qualche esempio: supponiamo che un tale uccida il mio cane investendolo con la vettura, dunque provocandomi un danno da illecito extracontrattuale. Sulla scorta della regola imposta dalle ricordate sezioni unite (Cass. Sez. Un. 26972 del 2008), la giurisprudenza successiva ha escluso il risarcimento del danno non patrimoniale ritenendo che il valore di affezione verso l'animale non è un interesse costituzionalmente tutelato (Cass. 14846 del 2007; Cass. 26770 del 2018).
Ma supponiamo che io affidi l'animale ad una pensione per cani, dovendo partire, e che convenga con quest'ultima che, in caso di morte dell'animale per difetto di custodia, mi è dovuto il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a quella perdita.
Nessuno può seriamente dubitare che questa pattuizione è valida, e che non ha alcuna rilevanza se l'interesse dalla cui lesione deriva il danno non patrimoniale sia o meno costituzionalmente tutelato, in quanto la sua rilevanza è pattuita dalle parti.
Del resto, non è neanche seriamente contestabile che con la clausola penale le parti possono prevedere il risarcimento del danno non patrimoniale in caso di inadempimento di una delle due, e ciò a prescindere dalla natura dell'interesse leso: la risarcibilità deriverà dall'accordo delle parti. Sono queste ultime ad assegnare rilevanza all'interesse leso.
Non si può fare a meno, dunque, contro questa prassi eversiva, di ritenere che altro è il danno non patrimoniale da illecito extracontrattuale, altro quello da inadempimento, e che dunque in quest'ultimo caso non v'è nemmeno bisogno che il giudice verifichi se la lesione è grave ed apprezzabile o, per la sua minima incidenza, andava tollerata dal danneggiato, regola questa valida per il danno extracontrattuale, ma non per quello da inadempimento, dove è evidente che la rilevanza del danno si misura sulla rilevanza dell'inadempimento.
Tutto questo si dice perché il danno da vacanza rovinata, nella sua configurazione tipica, è un danno dovuto all'inadempimento di obbligazioni, di chi organizza o fornisce un viaggio, con prestazioni semplici (il solo viaggio) o complesse che siano (tutta la vacanza) e dunque sfugge alla regola di rilevanza aquiliana del danno non patrimoniale, per essere assoggettato a quella di rilevanza dell'inadempimento.
Con la conseguenza che i pregiudizi che derivano dal mancato o difficoltoso godimento della vacanza non vanno risarciti solo se gravi o se superano la normale tollerabilità o il normale rischio di vita, ma hanno una loro rilevanza legata alla gravità dell'inadempimento ed a quanto in realtà pattuito dalle parti.
Così che se si vuole proprio dare rilievo ai soli pregiudizi seri, che abbiano una certa importanza, escludendo il risarcimento dei disagi minimi che il turista ha subìto, occorrerà usare il parametro dell'importanza dell'inadempimento, avuto riguardo all'interesse della controparte, ossia del turista.
Qui c'è allora da ricavare regole dalla costruzione dommatica del contratto di viaggio.
E' un contratto, quello tra il turista e l'agente di viaggio (o l'operatore turistico in generale), che ha come causa , se si vuole, tipica, ossia astratta, lo scambio di denaro verso prestazione di servizi, ma che ha una causa concreta, che è lo scopo turistico, la finalità di far godere una vacanza al contraente; irrilevanti sono come noto i motivi soggettivi della vacanza, la cui lesione dunque, giusta la regola sopra ricordata, non comporta danno risarcibile.
Ad esempio, acquisto un pacchetto turistico per una località balneare per fare pesca subacquea.
La causa concreta del contratto è la finalità di turismo, l'interesse a fare pesca subacquea è un motivo individuale. Se, conseguentemente, l'agente di viaggio tace la circostanza che in quel periodo è sconsigliato fare pesca subacquea in quel luogo, incide su un motivo irrilevante, e dunque l'inadempimento non sarà tale da generare responsabilità.
Allo stesso modo, ove l'inadempimento non impedisca in modo apprezzabile per il turista la realizzazione della causa concreta, ossia il godimento della vacanza, escluso il diritto alla risoluzione, per la scarsa gravità dell'inadempimento, sarà escluso il risarcimento del danno, salvo quanto si dirà in seguito quanto ai rimedi in forma specifica accordati dalla legge.
Ovviamente, dato un danno da vacanza rovinata, per cosi dire, tipico, ossia previsto dalla legge come conseguenza dell'inadempimento, ci si può chiedere se possa prospettarsi anche un danno da vacanza rovinata di natura extracontrattuale.
Potrebbero farsi due ipotesi: quella di chi induce l'agente di viaggio a non adempiere, ossia una ipotesi di interferenza illecita nel rapporto contrattuale e quella in cui invece la vacanza è rovinata dal fatto illecito del terzo.
Si comprende come entrambe queste figure però esulino dalla vicenda tipica del danno da vacanza rovinata come descritta dall'articolo 46 l. 62 del 2018, e costituiscano fattispecie diverse.
La prima è una tipica ipotesi di induzione all'inadempimento che implica responsabilità del contraente che ha disatteso la prestazione e del terzo che lo ha indotto a farlo, ma a seconda, in questo ultimo caso, del tipo di interferenza (Per un esame di queste ipotesi, G. Cricenti, I principi della responsabilità civile, Bari, 2020): non sono ovviamente a carico dell'organizzatore del viaggio gli inadempimenti causati , sì, da un terzo, ma senza la cooperazione dell'organizzatore, come ad esempio nel caso in cui il terzo renda inservibile l'alloggio, o provochi un ritardo nel viaggio che poi determina una ripercussione nella vacanza. L'ipotesi è dunque quella dell'inadempimento non imputabile, dovuto al fatto del terzo, estraneo alla sfera del debitore. Espressamente è previsto che l'organizzatore non risponda del danno al turista (art. 43). Diversa è invece la cooperazione colposa all'inadempimento, in cui il fatto del terzo non è estraneo alla sfera del debitore, che dunque non va esente da responsabilità: quest'ultima però resta, per l'organizzatore, di fonte contrattuale e fa sorgere il risarcimento del danno non patrimoniale per via dell'articolo 46 citato, mentre la concorrente responsabilità del terzo ha natura extracontrattuale, per la quale però non vale la regola, di cui si è detto prima, della necessaria rilevanza costituzionale dell'interesse leso: il terzo concorre, anche a diverso titolo, pur sempre all'inadempimento, ed il danno che ne deriva ha fonte in esso.
La seconda è invece una ipotesi da trattare con le regole proprie della responsabilità aquiliana. Ad esempio: un tale programma di fare una vacanza in gommone e viaggia portando il natante in un rimorchio; altro tale lo tampona rendendo inservibile l'imbarcazione.
Il fatto produce un danno ovviamente patrimoniale, ma , per quanto ci riguarda, priva il danneggiato della possibilità di godere la vacanza per come aveva programmato, e questo è un danno non patrimoniale identico a quello che potrebbe derivare dall'inadempimento di un contratto di viaggio.
Solo che genera da un fatto illecito extracontrattuale. Qui il danno è risarcibile, allora, solo se si ritiene che l'interesse del turista a godere pienamente della vacanza sia un interesse costituzionalmente tutelato, secondo la regola propria di rilevanza del danno non patrimoniale da illecito civile.
Si potrebbe obiettare che una tale rilevanza il danno da vacanza rovinata da illecito extracontrattuale la ottiene già dalla legge 62 del 2018 che ammettendo il risarcimento per quel tipo di danno da inadempimento lo ammette altresì in caso di illecito extracontrattuale, ossia: la qualificazione di rilevanza fatta ai fini della responsabilità contrattuale vale anche per quella extracontrattuale. In altri termini, potrebbe apparire contraddittorio che, se il danno da vacanza rovinata deriva da inadempimento, allora è rilevante e risarcibile, mentre se deriva da illecito extracontrattuale no, o comunque no, se si nega rilevanza costituzionale all'interesse leso.
Ma, in realtà, non c'è alcuna contraddittorietà: come si è detto, il danno da vacanza rovinata presuppone l'inadempimento di obbligazioni assunte con la vendita di un pacchetto turistico, ed ha la sua ragione in tale rapporto tra turista e venditore del viaggio, che hanno dato concorde rilievo all'interesse del turista a godere della vacanza: qui la rilevanza di tale interesse è frutto della volontà delle parti, che difetta nel caso di violazione aquiliana del medesimo interesse. Gli obblighi delle parti ed i rimedi specifici
La legge 62 del 2018, come si è visto, espressamente prevede il risarcimento nel caso in cui vi sia difformità tra quanto promesso e quanto fruito dal turista, ossia inadempimento delle prestazioni concordate, di non scarsa importanza, secondo la regola generale, e dispone "un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all'irripetibilità dell'occasione perduta".
Tuttavia, il risarcimento del danno è un rimedio residuale, in quanto la legge (in particolare gli articoli 42 e ss.) prevede una serie di rimedi in corso di esecuzione del contratto al fine di garantire comunque il raggiungimento dello scopo.
È un sistema rimediale interessante che attribuisce preminenza all'adempimento, piuttosto che agli esiti risolutivi.
E' intanto previsto che il viaggiatore informi tempestivamente l'organizzatore del difetto, ossia della difformità del servizio rispetto a quanto pattuito; che, a seguito di tale informazione, l'organizzatore ponga rimedio al difetto in un tempo utile a consentire al viaggiatore di potere comunque usufruire della vacanza e che, ove l'intervento dell'organizzatore sia difficile da realizzare in quel termine, lo stesso viaggiatore possa provvedere con mezzi propri (ad esempio, cambiando hotel se quello offerto non risponde a quanto pattuito), salvo rimborso (art. 42).
Ove l'adeguamento non sia possibile, o meglio, ove non sia possibile fornire servizi di qualità pari a quella pattuita, allora il viaggiatore ha diritto alla riduzione del prezzo, salvo ovviamente che il difetto non sia a lui imputabile (art. 43).
Organizzatore e venditori hanno altresì obblighi di informazione, non solo sui servizi offerti, ma anche sulle condizioni dei posti di destinazione, e sono obblighi strumentali alla migliore realizzazione dello scopo, ossia del godimento della vacanza.
Non è riprodotta la norma, prevista dal codice del consumo, che originariamente ha costituito la fonte dei diritti del viaggiatore, che prevedeva che "nel corso delle trattative e comunque prima della conclusione del contratto, il venditore o l'organizzatore forniscono per iscritto informazioni di carattere generale concernenti le condizioni applicabili ai cittadini dello Stato membro dell'Unione europea in materia di passaporto e visto con l'indicazione dei termini per il rilascio, nonché gli obblighi sanitari e le relative formalità per l'effettuazione del viaggio e del soggiorno" (art. 87).
Sulla base di tale previsione, la giurisprudenza ha ritenuto responsabile il venditore del pacchetto turistico per non avere avvertito due viaggiatrici che andavano in Siria ed in Giordania, che avrebbero potuto avere problemi di ingresso dovuti al fatto che sul loro passaporto risultava un precedente ingresso in Israele (Cass. 14257/ 2020).
Una previsione che sebbene non riprodotta testualmente nella nuova legge è conforme a quanto previsto dall'articolo 34 che ha introdotto un più generico obbligo di fornire " le informazioni di carattere generale concernenti le condizioni in materia di passaporto e visti, compresi i tempi approssimativi per l'ottenimento dei visti e le formalita' sanitarie del paese di destinazione".
In generale, chi offre il pacchetto turistico è così tenuto ad informare il viaggiatore di ogni dato utile allo scopo: ovviamente il diritto al risarcimento potrà fondarsi sulla violazione anche del solo obbligo informativo purché quell'inadempimento abbia inciso negativamente sul godimento della vacanza, in modo apprezzabile.
In sostanza, la difformità può riguardare l'oggetto della prestazione: il venditore promette un certo servizio turistico ma in realtà ne vende uno diverso: secondo alcuni questa difformità, dovrebbe produrre nullità, che però è evitata dal legislatore nell'interesse del turista (In argomento Pasquinelli, L'inadempimento nei contratti del turismo. Soluzioni normative e questioni aperte, in Niuov. Giur. Civ. comm., 2015, II, p. 79 e ss.).
Si tratta invece di una difformità che analogamente alla vendita di aliud pro alio rende risolvibile il contratto, salvo il risarcimento del danno.
Può però la difformità riguardare la fase esecutiva, nel senso che o il servizio non è eseguito nei termini pattuiti (art. 42), oppure la difformità è dovuta a fatto estraneo all'organizzatore (art. 43). In entrambi i casi l'organizzatore è tenuto a rimediare offrendo un'alternativa o eliminando la difformità. Con il limite ovviamente della eccessiva onerosità o della impossibilità.
In un certo senso il regime delle sopravvenienze è qui aggravato a carico dell'organizzatore, il quale è sempre tenuto a rimediare alla difformità, ossia ad offrire comunque un servizio alternativo, salvo che, come si è accennato, la difformità sia imputabile allo stesso viaggiatore o ad un terzo, ma solo ove sia imprevedibile o inevitabile oppure dovuta a circostanze straordinarie (art. 43).
Quindi non basta un fatto del viaggiatore o del terzo qualunque, occorre che sia imprevedibile o inevitabile, o dovuto a circostanze straordinarie, rendendo la responsabilità dell'organizzatore quasi di tipo oggettivo.
Il contratto, nonostante il legislatore discorra di vendita, è un appalto di servizi: sia l'organizzatore che il venditore promettono prestazioni volte a consentire alla controparte il godimento di una vacanza.
Nel regime previgente, tuttavia, la responsabilità di entrambi era solidale: il turista poteva rivolgersi all'uno o all'altro a prescindere da quale prestazione fosse inadempiuta.
La giurisprudenza giustificava la regola della solidarietà dicendo che "l'organizzatore del viaggio ed il venditore di un pacchetto turistico assumono, nell'ambito del rischio di impresa, un'obbligazione di risultato nei confronti dell'acquirente e, pertanto, la loro responsabilità solidale sussiste ogniqualvolta sia ravvisabile una responsabilità contrattuale diretta del prestatore di servizi nei confronti del consumatore per il servizio resogli (o non resogli), e non è correlata ad un difetto di diligenza nella scelta del prestatore di servizi di cui si avvalga il venditore del pacchetto, ovvero alla possibilità di controllarne in concreto le modalità operative nell'esecuzione della prestazione" (Cass. 8124/ 2020; Cass. 17724/2018; Cass. 25396/2009).
Invece, l'attuale articolo 46 prevede che "il viaggiatore puo' chiedere all'organizzatore o al venditore, secondo la responsabilita' derivante dalla violazione dei rispettivi obblighi assunti con i rispettivi contratti, oltre ed indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all'irripetibilita' dell'occasione perduta."
Il che rende chiaro che la responsabilità è ripartita in ragione delle obbligazioni assunte.
Si tratta probabilmente di una regola tesa ad attenuare rispetto al passato il ruolo del venditore dei servizi, estraneo alla prestazione assunta dall'organizzatore: il ruolo di quest'ultimo è preminente, tanto che l'articolo 42 l. 68 del 2011, lo ritiene responsabile, sia che abbia direttamente fornito lui i servizi, sia che lo abbia fatto attraverso terzi, venditore o altro, e richiama espressamente la regola della responsabilità contrattuale per fatto degli ausiliari, prevista dall'art. 1228 c.c. Prova e liquidazione del danno
Può ben dirsi che la prova del danno è fornita attraverso la prova dell'inadempimento: è sufficiente che il ricorrente dimostri questo per dimostrare quello (Trib. La Spezia n. 45 del 2019). Non è un danno in re ipsa, in quanto il pregiudizio è nella difformità tra il livello dei servizi promessi e quello di quelli in effetti prestati, ed è da tale difformità che si presume il disagio del turista (contrariamente a quanto assume Corte Appello Bari 24 giugno 2021, n. 1210). Va ricordato infatti che il danno in re ipsa è altro dal danno presunto: questo deriva da una induzione, attuata mediante regole di giudizio, mentre è in re ipsa il danno che coincide con la lesione senza la mediazione di criteri di giudizio. Si presume che, dato lo scarto tra il servizio offerto e quello erogato, il turista non ha goduto pienamente, o come avrebbe voluto, della vacanza acquistata.
In sostanza, la difformità tra il tipo di vacanza offerta e quella effettivamente goduta, quando ovviamente questa sia peggiore di quella, è indice presuntivo del disagio psichico che la legge intende sia risarcito.
Ovviamente la prova consistente nell'inadempimento, meglio, nel difetto della prestazione è sufficiente, ben potendo il turista dimostrare, se vi riesce, direttamente anche il disagio psichico conseguente.
Si è visto sopra come buona parte della giurisprudenza, anche di legittimità ritiene "che il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, anche nei profili particolarmente pregnanti elaborati dalla giurisprudenza comunitaria, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e della serietà del pregiudizio patito dall'istante, in quanto è consustanziale al principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., quello di tolleranza della lesione minima. Ciò vuol dire che non v'è diritto per cui non operi la regola del bilanciamento, in forza della quale, perchè si abbia una lesione ingiustificabile e risarcibile dello stesso, non basta la mera violazione delle disposizioni che lo riconoscono, ma è necessaria una violazione che ne offenda in modo sensibile la portata effettiva" (Cass. 14663/2015).
Questa soglia di rilevanza però non può essere argomentata in analogia con quanto accade nella responsabilità extracontrattuale: lì c'è bisogno di selezionare il danno risarcibile, in assenza di una pattuizione delle parti, ed allora si stabilisce che il danno debba essere comunque serio; qui c'è una pattuizione delle parti da cui emerge quale è l'interesse di ciascuna ed in modo particolare del viaggiatore, ed è in base a quanto pattuito che andrà valutata la gravità del danno. Ed infatti l'articolo 42 comma 5 prevede che il difetto di conformità deve costituire un inadempimento di non scarsa importanza ai sensi dell'articolo 1455 c.c. Poco dunque rileva il criterio della tollerabilità, criterio già di suo vago e privo di fondamento normativo, anche nella responsabilità extracontrattuale; piuttosto, conta l'importanza dell'inadempimento. La quantificazione non può che essere personalizzata, e basata su criteri equitativi. Poiché si presume che fino a che il turista è in vacanza non può agire per il risarcimento, la prescrizione decorre dal suo rientro (art. 46).
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