L'incapacità a testimoniare non può essere rilevata d'ufficio

Redazione scientifica
07 Aprile 2023

Le Sezioni Unite hanno stabilito che l'incapacità a testimoniare disciplinata dall'art. 246 c.p.c. non è rilevabile d'ufficio, sicchè, ove la parte non formuli l'eccezione di incapacità a testimoniare prima dell'ammissione del mezzo, detta eccezione rimane definitivamente preclusa.

Le Sezioni Unite si sono pronunciate sulla questione rimessa con ordinanza interlocutoria n. 18601/2022, con cui la terza sezione rimettente chiedeva di valutare l'attualità e l'effettiva portata del principio secondo cui l'incapacità a testimoniare, prevista dall'art. 246 c.p.c., determina la nullità della deposizione e non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata a farla valere al momento dell'espletamento della prova o nella prima difesa successiva, restando altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157, comma 2, senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare possa ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza, comunque ammessa ed assunta nonostante l'opposizione.

Osserva preliminarmente la Corte di non aver mai dubitato che l'incapacità a testimoniare debba essere eccepita dalla parte interessata, secondo la sequenza che più avanti si vedrà. Si evidenzia, infatti, che proprio perché l'impianto del processo civile non è improntato ad un assetto autoritario, è alle parti che spetta di scegliere, nei limiti in cui l'ordinamento lo prevede, i percorsi istruttori da seguire al fine della dimostrazione dei propri assunti, senza che possano ammettersi poteri officiosi del giudice, quanto al rilievo dell'incapacità a testimoniare, che non discendano dalla legge, sia pure per via di interpretazione sistematica.

Quanto alle modalità di formulazione dell'eccezione di incapacità a testimoniare, la Corte rileva che l'eccezione di incapacità a testimoniare va formulata prima dell'ammissione della prova testimoniale, per l'ovvia ragione che, in mancanza di essa, il giudice, che non può rilevare d'ufficio l'incapacità, non ha il potere di applicare la regola di esclusione prevista dall'art. 246 c.p.c., sicchè è tenuto ad ammettere il mezzo, in concorso, ovviamente, coi normali requisiti dell'ammissibilità e rilevanza, sottoposti al suo controllo. Né, d'altro canto, potrebbe pensarsi ad un'eccezione di nullità sollevata soltanto ex post, a seguito dell'assunzione, ma non preceduta dalla preventiva eccezione di incapacità, e ciò perché una simile condotta si scontra con il precetto dell'ultimo comma dell'art. 157 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa. Dopodichè ove il giudice ammetta la prova, nonostante l'eccezione di incapacità, in violazione dell'art. 246 c.p.c., la prova assunta è nulla e la nullità, a carattere relativo, va fatta valere nel rispetto della previsione dell'art. 157, comma 2, subito dopo l'escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, altrimenti la nullità dell'assunzione deve ritenersi definitivamente sanata per acquiescenza. Ed è qui, osserva la Corte, che l'eccezione di nullità, con la sua collocazione a ridosso dell'assunzione del mezzo risponde ad un'esigenza di ordine pubblico processuale: l'esigenza di celerità del processo, i cui atti non devono essere passibili di caducazione per un tempo indefinito. Da ultimo, rileva il collegio che l'eccezione di nullità della testimonianza resa da teste incapace ai sensi dell'art. 246 c.p.c. va infine coltivata con la precisazione delle conclusioni, di cui all'art. 189 c.p.c., intendendosi con ciò l'elencazione, effettuata in modo preciso e puntuale, sulla base di quanto emerso durante il corso della trattazione e dell'istruzione probatoria, delle domande e delle eccezioni rivolte al giudice, ivi comprese le eventuali richieste istruttorie: precisazione della conclusioni volta a fissare definitivamente l'ambito entro cui il giudice dovrà provvedere. L'esigenza di reiterazione si ricollega alla previsione del terzo comma dell'art. 157, secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha rinunciato «anche tacitamente» e si inquadra nella prospettiva di ordine generale concernente il trattamento che riceve, in sede di p.c., la mancata riproposizione delle richieste istruttorie.

In definitiva, il Supremo Collegio ha affermato i seguenti principi di diritto: a) L'incapacità a testimoniare disciplinata dall'art. 246 c.p.c. non è rilevabile d'ufficio, sicchè, ove la parte non formuli l'eccezione di incapacità a testimoniare prima dell'ammissione del mezzo, detta eccezione rimane definitivamente preclusa, senza che possa poi proporsi, ove il mezzo sia ammesso ed assunto, eccezione di nullità della prova; b) ove la parte abbia formulato l'eccezione di incapacità a testimoniare, e cionondimeno il giudice abbia ammesso il mezzo ed abbia dato corso alla sua assunzione, la testimonianza così assunta è affetta da nullità, che, ai sensi dell'art. 157 c.p.c., l'interessato ha l'onere di eccepire subito dopo l'escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità, c) la parte che ha tempestivamente formulato l'eccezione di nullità della testimonianza resa da un teste che si assume essere incapace a testimoniare, deve poi dolersene in modo preciso e puntuale anche in sede di precisazioni delle conclusioni, dovendosi altrimenti ritenere l'eccezione rinunciata, così da non potere essere riproposta in sede di impugnazione.

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