Modificazione della domanda: dalla liquidazione giudiziale alla liquidazione controllata

Daniele Portinaro
12 Aprile 2023

Con l'introduzione del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, in assenza di una espressa presa di posizione del legislatore, ci si chiede se il creditore abbia la facoltà, specie a seguito dello svolgimento della fase istruttoria nel procedimento unitario, di modificare la propria domanda di apertura della liquidazione giudiziale del debitore in una domanda di apertura della liquidazione controllata.

Di sovente accade che il creditore, pur essendo ignaro del superamento o meno delle soglie dimensionali previste (in precedenza dalla Legge fallimentare e) oggi dall'art. 2, comma 1, lett. d), CCII, a fronte di persistenti inadempimenti del proprio debitore, decida di formulare nei confronti di quest'ultimo un'istanza di apertura della liquidazione giudiziale.

La situazione di incertezza testé descritta si verifica, in particolare, in tutti i casi in cui il debitore sia un'impresa individuale o una società di persone, le quali, come noto, non sono tenute all'iscrizione presso il registro delle imprese di un bilancio annuale, in grado di fornire la dimostrazione dell'avvenuto superamento delle soglie relative all'impresa “minore”.

In tali casi, potrebbe accadere che il debitore, costituendosi nel procedimento unitario, produca in giudizio idonea documentazione funzionale a dimostrare il mancato superamento delle soglie dimensionali.

È lecito chiedersi se, in tali fattispecie, il creditore istante possa mutare la propria domanda e conservarne gli effetti, evitando così di vedersi costretto, dopo il rigetto del ricorso, a formulare una nuova istanza per l'apertura della liquidazione controllata.

Sul punto, la lettera della legge tace. Non vi sono infatti specifiche disposizioni all'interno del procedimento unitario che attribuiscano al soggetto instante la facoltà di modificare la propria domanda, ma solo previsioni che disciplinano il confluire di altre domande – quelle del debitore e dei terzi – nel medesimo procedimento.

Per risolvere il quesito, dunque, occorre far leva su elementi di carattere sistematico e richiamare principi che reggono l'intero ordinamento processuale.

Senza entrare in questa sede nel merito dei rapporti fra la “causa petendi” della domanda di LG e quella di LC, un primo argomento che parrebbe dover orientare l'interprete ad una risposta positiva consiste nella stessa funzione del procedimento unitario, ovverosia quella di canalizzare in un unico alveo processuale tutte le domande che le parti possono formulare. Così come è possibile per il debitore formulare, nel procedimento unitario, nuove domande, dovrebbe essere possibile per il creditore, specie all'esito dell'istruzione probatoria, modificare la propria richiesta al giudice.

Peraltro, non può sfuggire agli operatori del diritto che l'organo giurisdizionale chiamato ad esprimersi sulla domanda di apertura della liquidazione giudiziale è lo stesso che deve pronunciare l'apertura della liquidazione controllata: il tribunale in composizione collegiale. Questo non può che costituire un ulteriore elemento a supporto della tesi della modificabilità della domanda.

In ultimo, per giungere ad una conclusione, non appare superfluo un richiamo ai principi della conservazione degli atti processuali e all'economicità del processo, i quali orientano, ancora una volta, nella direzione della salvezza del ricorso formulato e dell'ammissibilità del mutamento della domanda. Appare infatti irragionevole e antieconomico imporre al creditore ricorrente, che viene a conoscenza del mancato superamento delle soglie dimensionali di cui all'art. 2, comma 1, lett. d), CCII solo nel corso dell'istruttoria del procedimento unitario, di subire un rigetto della domanda e costringerlo a formularne una nuova.

Assumendo, dunque, che il creditore possa modificare la propria domanda di apertura della liquidazione giudiziale in istanza per l'apertura della liquidazione controllata nel corso del procedimento unitario, si ritiene che il termine ultimo entro il quale possa agire in questo senso sia quello della rimessione del fascicolo al collegio per la decisione. A partire da quest'ultimo momento, infatti, le parti non possono più interagire con l'organo giudicante il quale è chiamato a pronunciarsi sulla base del materiale raccolto nell'istruttoria.

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