Riforma processo civile: le novità in materia di appello nel rito del lavoro

Antonio Lombardi
12 Aprile 2023

Le novità di cui al d.lgs. n. 149/2022, in tema di appello del lavoro, risultano caratterizzate da una limitata capacità innovativa, essendo piuttosto volte al riordino di istituti esistenti, contraddistinti da formulazioni farraginose ed aspetti applicativi problematici.
Inquadramento

La riforma ex d.lgs. n. 149/2022 ha apportato modifiche anche al procedimento di appello nel rito del lavoro. Da un lato risulta modificato l'art. 434 c.p.c., nella direzione della maggiore chiarezza e sistematicità del contenuto del ricorso in appello, in conformità alle principali acquisizioni dottrinali e giurisprudenziali del decennio di applicazione della riforma di cui al d.l. n. 83/2012, il tutto senza snaturare in alcun modo la natura del gravame, quale mezzo di impugnazione a critica libera con effetti totalmente devolutivi. Dall'altro, risulta modificato il meccanismo del cd. filtro di ammissibilità dell'appello, di cui all'art. 436-bis c.p.c., che ricomprende non soltanto il vaglio di manifesta infondatezza dell'impugnazione, ma anche quello di manifesta fondatezza, oltre che le fattispecie di inammissibilità ed improcedibilità che, nel precedente sistema, andavano decise con sentenza all'esito della discussione, pur essendo logicamente oggetto di disamina preliminare da parte del collegio.

Il ricorso

La riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022, attuativa della delega conferita con l. n. 206/2021, ha apportato talune modifiche anche al procedimento di appello trattato con rito del lavoro.

La prima novità di rilievo è rappresentata dalla modifica dell'art. 434 c.p.c., in analogia con quanto operato con riferimento all'art. 342 c.p.c., in attuazione del criterio generale previsto alla lett. c) della l. delega n. 206/2021, che richiedeva di prevedere, negli atti introduttivi dell'appello, la chiara, sintetica e specifica esposizione delle indicazioni a pena di inammissibilità, funzionale al perseguimento del complesso equilibrio tra le esigenze di chiarezza e sinteticità dell'esposizione defensionale ed effettività dell'esercizio del diritto di azione e difesa.

Nel vigore della formulazione dell'art. 434 ex d.l. n. 83/2012 (dal 26 giugno 2012 al 28 febbraio 2023), ove l'atto d'appello avesse indicato in maniera sufficientemente chiara e circostanziata le parti della sentenza impugnate, contenesse un'analitica censura alla ricostruzione in fatto ed alle argomentazioni in diritto, esposte dal primo giudice, evidenziando le conseguenze sul diverso esito della lite, quale espressione dell'interesse ad impugnare, il ricorso doveva considerarsi rispettoso dei precetti contenuti nella norma, superando il vaglio di ammissibilità.

Dopo il primo inciso, che permane inalterato, e contiene il rinvio per relationem al contenuto del ricorso ex art. 414 c.p.c., la disposizione novellata specifica non soltanto che l'appello debba essere motivato, ma che ciascun motivo vada espresso in modo chiaro, sintetico e specifico.

La locuzione appare il frutto della decennale elaborazione giurisprudenziale in tema di modalità di redazione degli atti giudiziari. Dinanzi all'ingravescente prolissità degli atti redatti con modalità telematiche, la Cassazione ha individuato uno specifico precetto, a carico delle parti, di osservare criteri di chiarezza e sinteticità (Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2012, n. 11199), ventilando, per il caso di inosservanza dello stesso, la gravosa sanzione dell'inammissibilità del ricorso, per violazione dei principi di sinteticità e chiarezza, in quanto proiezione di un vero e proprio dovere processuale delle parti, pilastro dei principi del giusto processo.

Secondo altra prospettazione l'onere di redigere atti chiari e sintetici rappresenta una proiezione dei doveri di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c., la cui violazione può, al più, comportare conseguenze in tema di regolamentazione delle spese di lite, sino alle estreme conseguenze della responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell'art. 96 c.p.c..

Tale impostazione risulta recepita dal d.lgs. n. 149/2022, che all'art. 46 disp. att. c.p.c., come novellato, ha previsto che gli atti giudiziari siano scritti in carattere chiaro e facilmente leggibile, demandando al Ministero della giustizia, sentiti CSM e CNF, l'elaborazione di un decreto che stabilisca, tra l'altro, i limiti degli atti processuali e, per effetto del 6° comma, che il mancato rispetto dei criteri e limiti di redazione dell'atto non comporti invalidità dello stesso, ma possa essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo.

Il punto 1) dell'art. 434 prevede, inoltre, l'onere di specificare, a pena di inammissibilità, il capo della decisione di primo grado che viene impugnato, che sostituisce l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare, di cui alla precedente formulazione.

La precedente, farraginosa versione, risulta adeguatamente precisata. Dal tenore dell'atto di appello dovrà essere chiaramente identificabile la parte della sentenza appellata che, risolvendo una questione avente una propria individualità ed autonomia, integri una decisione indipendente e scindibile, distinguibile dalle mere argomentazioni, ossia dalla semplice esposizione di tesi giuridiche, benché utile a risolvere questioni strumentali all'attribuzione del bene controverso.

Analogamente, l'inciso relativo alle censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado precisa opportunamente l'indicazione delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado, non apportando alcuna novità, se non limitatamente all'attenuazione della portata precettiva. La precedente formulazione evocava, difatti, la necessità di un modello ricostruttivo autonomo, che nell'attuale versione scompare, lasciando spazio alla mera censura di erroneità della ricostruzione fattuale operata in prime cure, coerentemente con la natura di impugnazione a critica libera e gli effetti integralmente devolutivi.

L'indicazione delle violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata precisa e sintetizza il contenuto argomentativo in diritto (contrapposto a quello fattuale di cui al punto 2), nonché l'illustrazione del profilo della rilevanza, quale proiezione dell'interesse ad impugnare già presenti nella precedente versione, che curiosamente annetteva le censure relative alla violazione di legge alla denuncia di circostanze, locuzione opportunamente eliminata.

Anche nella nuova versione l'espressione violazione di legge andrà interpretata in senso ampio, alla stregua di violazioni di ordine giuridico, ben potendo l'appello contenere doglianze non espressione di violazioni di legge in senso stretto, come nel caso della lamentata erroneità ed ingiustizia della sentenza per erronea valutazione delle prove o per il cattivo uso dei poteri discrezionali del giudice. Anche alla luce delle nuove disposizioni dovrà, dunque, concludersi nel senso che il giudice possa accogliere il gravame per ragioni diverse da quelle esposte dall'impugnante, eventualmente richiamando il principio iura novit curia, potendo il giudice dell'appello, nell'ambito del quantum appellatum, ritenere fondata l'impugnazione per ragioni diverse da quelle prospettate, non risultando snaturata la natura di mezzo a critica libera.

Il filtro di ammissibilità

Ulteriore modifica apportata dal legislatore della riforma concerne il cd. filtro di ammissibilità dell'appello, istituto introdotto dalla riforma ex d.l. n. 83/2012, bersaglio di incessanti critiche sin dalla sua introduzione ed oggetto di contenuta applicazione, nell'ambito del rito del lavoro, nel decennio di vigenza dell'originaria formulazione.

L'art. 436-bis c.p.c., previsto dal d.l. n. 83/2012, ha esteso all'appello trattato con il rito del lavoro gli artt. 348-bis e ter, introdotti nel corpo dell'appello cd ordinario, prevedenti il cd. filtro di ammissibilità, id est la facoltà di arrestare in limine il processo d'appello laddove ricorresse una nuova e ibrida fattispecie di pronuncia, espressamente qualificata alla stregua di inammissibilità ma frutto di un vaglio preliminare del merito della controversia, concluso con prognosi sfavorevole, nei casi in cui l'appello fosse privo di ragionevole probabilità di essere accolto.

L'asimmetria del sistema era apparsa ancora più evidente alla luce dell'inciso iniziale della disposizione di cui all'art. 348-bis, che eccettuava dal sistema del filtro i casi in cui dovesse essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o improcedibilità del ricorso. Inammissibilità ed improcedibilità, connesse alla variegata congerie di fattispecie, concernenti l'assenza di requisiti di forma-sostanza dell'impugnazione ed altre ipotesi specificamente normate ovvero al difetto di una condizione di proponibilità o procedibilità del ricorso, pur essendo eventi condizionanti la delibazione del merito, dovevano essere pronunciate con sentenza all'esito della discussione della causa, a fronte di una nuova fattispecie di inammissibilità, che pur presupponendo una valutazione del merito, andava decisa in limine litis, con ordinanza avente funzione filtrante.

Dubbia è apparsa, inoltre, sin dalla sua introduzione, la ricostruzione del concetto di ragionevole probabilità di accoglimento, la cui carenza poteva dar luogo all'attivazione del meccanismo del filtro, ed in particolare il grado della valutazione probabilistica da compiere da parte del collegio giudicante, investito della valutazione del ricorso.

Di eccessiva ampiezza appare la tesi secondo cui la valutazione debba avere ad oggetto la ricorrenza del fumus boni iuris di accoglibilità dell'impugnazione, non potendosi demandare conseguenze di tale portata ad una valutazione sommaria fondata su un inadeguato grado probabilistico. Preferibile è apparsa la diversa tesi secondo cui tali conseguenze non possono che conseguire ad una cognizione piena dei profili di merito del ricorso, benché condotta in limine, che porti ad una valutazione di manifesta infondatezza, come precisato dall'immediato intervento nomofilattico della Cassazione (Cass. civ., sez. VI, 17 aprile 2014, n. 8940), volto a scongiurare prospettazioni ermeneutiche potenzialmente lesive del diritto all'impugnazione, quale declinazione del diritto di azione ex art. 24 Cost.

Va dichiarato inammissibile in sede di filtro, dunque, il ricorso che appaia ictu oculi privo di ogni consistenza in quanto, ad esempio, fondato su una ricostruzione fattuale inverosimile o palesemente contrastante con le risultanze istruttorie, connotato da evidenti errori di diritto nell'interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso stesso, come può accadere allorché si invochi una norma inesistente nell'ordinamento o si disconosca l'esistenza o il senso assolutamente univoco di una determinata disposizione di legge, ovvero ancora si riproponga una questione già costantemente decisa dalla giurisprudenza di legittimità in senso opposto a quello sostenuto dal ricorrente, senza addurre motivi nuovi o diversi.

L'art. 348-ter c.p.c., parimenti richiamato dall'art. 436-bis, prevedeva che la pronuncia di inammissibilità dell'appello, per mancato superamento del vaglio preliminare di merito, dovesse essere pronunciata all'udienza di discussione ex art. 350 c.p.c., nel contraddittorio delle parti e prima di procedere alla trattazione, con ordinanza succintamente motivata, eventualmente anche facendo rinvio agli elementi di fatto riportati negli atti di causa ed ai precedenti conformi, e contenesse la regolamentazione delle spese di lite. In caso di impugnazione incidentale, condizione per la pronuncia di inammissibilità risultava la ricorrenza dei presupposti di manifesta infondatezza per tutte le impugnazioni proposte contro la stessa pronuncia dovendosi, in caso contrario provvedere alla trattazione delle stesse.

In caso di pronuncia di inammissibilità, la norma prevedeva la possibilità di ricorrere in Cassazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., avverso la pronuncia di primo grado, con limitazione dei motivi di ricorso a quelli di cui ai nn. 1, 2 3 e 4 in caso di doppia conforme, laddove l'inammissibilità risultasse fondata sulle stesse ragioni di fatto poste a base della sentenza impugnata.

Le Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 2 febbraio 2016, n. 1914) hanno, inoltre, chiarito, come avverso l'ordinanza di inammissibilità ex art. 348-ter c.p.c. fosse sempre ammissibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 comma 7 cost. limitatamente ai vizi propri della medesima, costituenti violazioni della legge processuale compatibili con la logica (e la struttura) del giudizio sotteso all'ordinanza in questione.

Il nuovo art. 436-bis, applicabile alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023, risulta, analogamente alla precedente disposizione, strutturato mediante un rinvio per relationem a disposizioni contenute nella disciplina ordinaria dell'appello, segnatamente agli artt. 348, 348-bis e ter. Scompare, dunque, il riferimento all'art. 348-ter, recante la disciplina del subprocedimento di filtro ed il regime delle impugnazioni che, con decorrenza dall'entrata in vigore della normativa, viene abrogato, per fare luogo al rinvio agli artt. 348 e 350, comma 3, c.p.c., non presenti nella precedente formulazione dell'art. 436-bis. Il rinvio ricettizio all'art. 348-bis c.p.c. risulta, inoltre, operato alla versione riformulata della disposizione, di portata più ampia rispetto alla precedente.

Il filtro, a partire dall'entrata in vigore delle nuove norme, risulterà ricomprendere non soltanto il vaglio di manifesta infondatezza dell'impugnazione, ma anche quello di manifesta fondatezza (ex art. 350, comma 3), oltre che le fattispecie di inammissibilità ed improcedibilità dell'appello, che nel sistema precedente andavano decise con sentenza all'esito della discussione, risultando espressamente escluse dal meccanismo, pur essendo logicamente oggetto di disamina preliminare.

Fondamentale appare, inoltre, il chiarimento lessicale (e concettuale) dell'ipotesi originaria, introdotta dal d.l. n. 83/2012, che transita dall'assenza di ragionevole probabilità di accoglimento del ricorso, che dava luogo a rischi di interpretazioni falcidianti, alla manifesta infondatezza dello stesso, recependo pertanto le indicazioni della giurisprudenza di legittimità intervenuta a chiarire il concetto.

La nozione di manifesta fondatezza, introdotta dall'art. 350, comma 3, appare ricostruibile in modo esattamente speculare a quello della manifesta fondatezza, e ricorre quando l'inverosimiglianza della ricostruzione fattuale o il palese contrasto con le risultanze probatorie, l'evidenza dell'errore giuridico o il porsi in voluto contrasto con univoci orientamenti giurisprudenziali in assenza di significativi elementi motivazionali di segno contrario caratterizzino la pronuncia impugnata.

Scomparso il riferimento all'abrogato art. 348-ter, il nuovo art. 436-bis provvede a dettare le regole procedurali da seguire in caso di attivazione del filtro, introducendo un modulo decisorio semplificato, modellato sulla falsariga dall'art. 429 1° co. c.p.c. (nonché dell'art. 281-sexies), caratterizzato dalla pronuncia, con immediata pubblicazione mediante lettura in udienza, della sentenza contestuale, ovvero del dispositivo corredato dalle succinte motivazioni a corredo del dictum giudiziale.

I due modelli non risultano, tuttavia, pienamente sovrapponibili, non soltanto perché nel processo del lavoro di primo grado la pubblicazione della motivazione contestuale costituisce la regola, mentre nel rito d'appello risulterà utilizzabile soltanto nel subprocedimento di filtro, ma anche in ragione della struttura particolarmente semplificata che assume in appello.

Mentre l'art. 429, comma 1, c.p.c. individua la discussione della causa quale momento di espletamento delle prerogative difensive, l'art. 436-bis c.p.c. allude ad una mera audizione dei procuratori, dalla quale traspaiono manifeste esigenze di celerità e concisione. Lo stesso provvedimento conclusivo del subprocedimento di filtro, benché avente veste decisoria e non più, quantomeno formalmente, ordinatoria, deve essere redatto in forma sintetica, compatibile con l'esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi, laddove nessuna menzione delle tecniche redazionali della motivazione risulta presente nell'ambito dell'art. 429 c.p.c., dovendosi fare riferimento all'art. 132 disp. att. c.p.c..

L'eliminazione del farraginoso sistema di impugnazioni previsto dall'art. 348-ter, commi 3, 4 e 5 ed il mutamento della veste formale del provvedimento reso all'esito dell'attivazione del subprocedimento di filtro inducono a ritenere applicabile l'ordinario regime di impugnazione avverso le sentenze rese in grado di appello.

Infine, in coerenza con tale nuovo assetto, risulta modificato il successivo art. 437 c.p.c., che distingue il modulo decisorio ordinario (lettura del dispositivo con riserva di pubblicazione della sentenza) e quello, eccezionale, previsto dall'art. 436-bis per il nuovo filtro.

Risulta, infine, modificato in conformità anche l'art. 438 c.p.c., coordinato con la variazione apportata all'art. 430, prevedendo che al di fuori delle ipotesi di decisione semplificata di cui all'art. 436-bis, le motivazioni della sentenza debbano essere depositate entro il termine di sessanta giorni ordinariamente previsto per i giudizi di appello.

In conclusione

Le novità di cui al d.lgs. n. 149/2022, in tema di appello, lavoro risultano caratterizzate da una limitata capacità innovativa, essendo piuttosto volte al riordino di istituti esistenti, contraddistinti da formulazioni farraginose ed aspetti applicativi problematici.

Da un lato, quanto all'art. 434 c.p.c., la norma risulta perfezionata sotto il profilo lessicale e concettuale ed introducendo locuzioni che recepiscono le più recenti indicazioni giurisprudenziali e novità normative circa le modalità di redazione degli atti giudiziari.

Quanto al filtro, dalla lettura ed interpretazione comparativa del complesso meccanismo di rinvii appare evidente come, con la riforma, si sia voluto realizzare un'opera di ampliamento, sistematizzazione, e chiarificazione dell'istituto.

L'apprezzabile opera di sistematizzazione risulta evidente dall'eliminazione della distonia del sistema precedente, che non soltanto prevedeva la commistione di concetti propri del vaglio preliminare in rito e della delibazione di merito, ma escludeva dal filtro le preliminari in rito, quali l'inammissibilità (in senso stretto e proprio) e l'improcedibilità, non soltanto logicamente prioritarie rispetto ad ogni valutazione del merito, ma caratterizzate da pronta soluzione, tendenziale semplicità della cognizione, in piena coerenza con la struttura del filtro.

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