Sinistro stradale: le SU si pronunciano sull'incapacità a testimoniare e sulla nullità della testimonianza
13 Aprile 2023
Il caso trae origine da una causa di risarcimento danni in conseguenza di un sinistro stradale, causato da un veicolo rimasto sconosciuto. Dei due testi della parte danneggiata l'uno era stato ritenuto inattendibile, l'altro incapace di testimoniare. I Giudici di merito avevano respinte le domande risarcitorie per mancanza di prova, giudicando inattendibili le dichiarazioni rese dal teste Primo, ed inutilizzabili quelle della teste Seconda, terza trasportata, la cui testimonianza era stata assunta nonostante l'eccezione di incapacità formulata dalla società convenuta, poiché incapace a testimoniare ai sensi dell'art. 246 c.p.c. La questione può essere così articolata:
Da qui la questione di verificare l'attualità e l'effettiva portata del principio secondo cui l'incapacità a testimoniare, prevista dall'art. 246 c.p.c., determina la nullità della deposizione e non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata a farla valere al momento dell'espletamento della prova o nella prima difesa successiva, restando altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157 comma 2 c.p.c., senza che la preventiva eccezione di incapacità a testimoniare possa ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante l'opposizione. Le Sez. Un. osservano, in estrema sintesi, che:
In generale, l'incapacità a deporre prevista dall'art 246 si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell'interesse ad agire di cui all'art. 100, tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l'interesse di fatto a un determinato esito del processo - salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell'attendibilità del teste - né un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2018, n. 167). Così, nei giudizi sulla responsabilità civile derivante da circolazione stradale, il terzo trasportato è incapace a deporre, ai sensi dell'art 246, quando abbia riportato danni in conseguenza del sinistro (Cass. civ., sez. VI, 17 luglio 2019, n. 1912).
Da qui la comparazione storica (col codice previgente) e con altri sistemi giuridici europei che non conoscono una norma come l'art. 246 c.p.c.
Infatti, è manifestamente inammissibile, in riferimento agli art. 3, 24, 111 e 117 cost., la q.l.c. dell'art. 246 c.p.c., nella parte in cui non consente di assumere come testimoni persone già presenti nel processo come parti: pur essendo consentito alla parte di essere fonte di convinzione del giudice attraverso determinati strumenti - ad esempio l'interrogatorio libero - nel sistema del processo civile è ineludibile l'antitesi fra la posizione del teste e quella della parte processuale: soltanto in capo al primo è previsto sia l'obbligo, sotto comminatoria della sanzione penale, di dire la verità, che quello stesso, presidiato a sua volta da sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 255 c.p.c., di rendere testimonianza (Corte Cost., 8 maggio 2009, n. 1439).
Le Sez. Un. precisano che l'indubbia rilevabilità della nullità su eccezione di parte e non di ufficio, deve seguire una precisa sequenza. Prima di esaminare questa sequenza processuale, la Supr. Corte osserva che i limiti soggettivi e oggettivi all'ammissibilità della prova testimoniale sono, di regola, posti nell'interesse delle parti e non di un interesse di ordine pubblico generale processuale, che legittimerebbe la rilevabilità d'ufficio.
Sul punto le Sez. Un. espressamente escludo l'ingenua contrapposizione tra testimonianza del c.d. terzo estraneo (volto ad apportare al processo un oggettivo e schietto reportage della pura verità materiale) e il teste portatore di un interesse che ne legittimerebbe l'intervento in causa. Diversamente dal rito del lavoro, connotato a poteri officio istruttori (art. 421 c.p.c.), di regola nel rito ordinario vige il principio dispositivo. Un'eccezione, ad esempio, è data dall'inammissibilità della testimonianza diretta a dimostrare la conclusione di un contratto per il quale la legge richieda la forma scritta ad substantiam è rilevabile d'ufficio, ma perchè solo in tale ipotesi la norma risponde ad un interesse di rilievo pubblicistico.
I limiti oggettivi di ammissibilità della prova testimoniale, dunque, sono dettati da norme di carattere dispositivo e, proprio perché posti nell'interesse delle parti, sono altresì da queste derogabili, anche alla stregua di un accordo implicito desumibile dalla mancata opposizione: la violazione delle formalità stabilite per l'ammissione della prova testimoniale, poichè ritenuta lesiva soltanto di interessi individuali delle parti, rimane affidata al meccanismo dell'art. 157 comma 2 c.p.c. In continuità con questo indirizzo, la stessa regola affermata per i limiti oggettivi di ammissibilità della prova testimoniale vale altrettanto per quelli soggettivi fissati dall'art. 246 c.p.c. Interessante è, poi, esaminare le tre cadenze processuali evidenziate dalle Sez. Un.:
Parte I: l'eccezione di incapacità a testimoniare. Così si giunge alle modalità di formulazione dell'eccezione di incapacità a testimoniare: essa va formulata in vista dell'assunzione, il che non esime l'interessato dal proporre l'eccezione di nullità della testimonianza, ove assunta nonostante l'eccezione di incapacità, successivamente al suo espletamento, nonché in sede di precisazione delle conclusioni. Già in passato le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 23 settembre 2013, n. 21670) avevano chiarito che la nullità di una testimonianza resa da persona incapace ai sensi dell'art. 246 c.p.c., essendo posta a tutela dell'interesse delle parti, è configurabile come una nullità relativa e, in quanto tale, deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157 comma 2 c.p.c. qualora detta eccezione venga respinta, la parte interessata ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo.
L'eccezione di incapacità a testimoniare va formulata prima dell'ammissione della prova testimoniale, per l'ovvia ragione che non può essere rilevata d'ufficio, come visto. Né, l'eccezione di nullità potrebbe essere sollevata soltanto ex post, dopo l'assunzione, ma non preceduta dalla preventiva eccezione di incapacità: tale condotta si scontra con il precetto dell'ultimo comma dell'art. 157 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche tacitamente. Dunque è necessaria la preventiva eccezione di incapacità (anche perché, banalmente, si consentirebbe alla parte di valutare la convenienza della deposizione e decidere se sollevare l'eccezione di nullità se sfavorevole).
Parte II: la prova assunta e l'eccezione di nullità. E però, il giudice potrebbe ammettere egualmente la prova pur in presenza dell'eccezione di incapacità a testimoniare. La prova così assunta è nulla. Invero, sulla natura del vizio non vi è univocità di opinioni, ma la Sez. Un. “tirano dritto”.
L'incapacità a testimoniare è disciplinata da una norma specifica in materia di prova testimoniale (art. 246 c.p.c.) che, come tale, è una norma sul procedimento civile e, dunque, disciplinatrice della "forma" del relativo atto processuale ai sensi dell'art. 156 c.p.c. L'affidamento all'eccezione di parte della prospettazione dell'incapacità e, dunque, della deduzione della violazione della norma del procedimento, si risolve nella qualificazione di essa come eccezione di nullità ai sensi del citato art. 157 comma 1 c.p.c.
Quale ipotesi di nullità a carattere relativo, questa va fatta valere nel rispetto della previsione dell'art. 157 comma 2 c.p.c., e cioè «nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso», o, più precisamente, subito dopo l'escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successi, altrimenti la nullità va ritenuta sanata. In questa fase, l'eccezione di nullità, a differenza dell'eccezione di incapacità sopra vista, risponde ad un'esigenza di ordine pubblico processuale (celerità del processo).
Parte III: la coltivazione dell'eccezione di nullità. L'eccezione di nullità va attentamente coltivata in sede di precisazione delle conclusioni. È principio pacifico che in questa sede la parte ha l'onere di reiterare in modo specifico le istanze istruttorie già rigettate, senza limitarsi ad un richiamo generico agli atti difensivi, pena l'implicito abbandono e l'impossibilità di riproporle, anche nei successivi gradi di giudizio.
Le Sez. Un. valorizzano l'udienza di precisazione delle conclusioni, quale momento centrale e fondamentale del processo, proprio per definire le ultime domande ed eccezioni davanti al giudice e alla controparte: l'uno deve individuare le questioni su cui dovrà pronunziarsi, l'altra le questioni sulle quali dovrà difendersi. Dunque, l'eccezione di nullità per incapacità a testimoniare va espressamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, altrimenti ritenendosi rinunziata. Un'ultima nota sul ruolo dell'avvocato.
Le Sez. Un., nel richiamare l'attenzione sull'importanza dell'udienza di p.c., quale momento processuale di alto valore formale, ma anche di implicazioni di sostanza (esigenze di chiarezza, di puntualità, di certezza),”scivola” nella considerazione che nella realtà questa udienza richiede “l'intervento di un difensore che conosca la causa, e non, come sovente accade nella pratica, di un ignaro sostituto che voglia adempiere al proprio compito di sostituzione con il riportarsi sciattamente a tutto quanto dianzi dedotto e prodotto”. Per quanto l'osservazione (sulla necessità dell'intervento di un difensore che conosca gli atti di causa) sia del tutto condivisibile ed effettivamente svolga la funzione di porre l'accento sulla rilevata centralità e importanza dell'udienza di p.c., ciò non di meno si tratta di affermazione ingenerosa. Soprattutto, non costituisce una motivazione (giuridicamente) apprezzabile e necessaria (l'impianto argomentativo si regge perfettamente senza la necessità di tale osservazione). Al contrario, rischia di aprire facili e sterili discussioni, in generale, sui comportamenti di tutti gli attori del processo, non solo degli avvocati. Ad ogni modo, oltre alle questioni giuridiche, sarà interessante verificare se l'Avvocatura accetterà supinamente che la Supr. Corte si sia espressa in questi termini.
Concludendo, riprendendo le tre cadenze processuali, nell'interesse della legge, ai sensi dell'art. 363 c.p.c., le Sezioni Unite hanno affermato i seguenti principi di diritto:
(fonte: Diritto e giustizia.it)
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