La tassazione del finanziamento soci in forma verbale in compensazione per la sottoscrizione dell'aumento di capitale

13 Aprile 2023

La Cassazione, con due sentenze gemelle dello scorso 8 febbraio, ha esaminato una fattispecie di finanziamento del socio alla società, in assenza di un'esplicita qualificazione giuridica di tale versamento, con una successiva utilizzazione della somma di danaro, in sede di delibera assembleare, per l'aumento di capitale deliberato dalla società, a copertura delle perdite.
Massima

Un finanziamento socio, ove sia eseguito in forma solo verbale (vale a dire, una mera datio di denaro senza atto scritto sottostante) e non assoggettato a registrazione entro termine fisso, non dà luogo all'applicazione dell'imposta di registro nel caso sia enunciato in un verbale assembleare deliberante il ripianamento delle perdite e la ricostituzione del capitale sociale mediante la rinuncia al rimborso di tale finanziamento.

Ciò, in quanto l'art. 22, comma 2, d.p.r. n. 131 del 26 aprile 1986 (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro) esclude l'imposta, per i soli contratti verbali, quando gli effetti delle disposizioni enunciate “sono già cessati o cessano in virtù dell'atto che contiene l'enunciazione”, come avviene in sede di verbale assembleare in cui i soci deliberano a favore del ripianamento delle perdite attraverso la rinuncia a conseguire la restituzione delle somme concesse a titolo di debito, determinando quindi la cessazione della disposizione enunciata.

Il caso

Le due sentenze “gemelle” della Corte di Cassazione in commento sono pronunce degne di nota, dall'importante risvolto pratico, e hanno il merito di meglio declinare l'indirizzo impresso dalla medesima Corte di cassazione con una “famosa” (e discussa) sentenza, ormai risalente al 2010 (Cass. Civ. Sez. Trib., 30 giugno 2010, n. 15585 in Riv. notariato 2011, 1, 145).

Il nucleo fattuale centrale dei due casi è similare: datio di una somma di danaro da parte del socio alla società, senza un contratto sottostante che qualifichi giuridicamente la natura del versamento, e successiva utilizzazione di tale somma di danaro, in sede di delibera assembleare, ai fini dell'aumento di capitale deliberato dalla società prenditrice la somma, a copertura delle perdite.

Lo svolgimento del processo, qui in estrema sintesi, è diverso: nel caso della sentenza n. 3841/2023, a ricorrere in Cassazione è stato il contribuente, avverso la sentenza della Commissione Tributaria della Regione Lazio che aveva deciso per l'accoglimento dell'appello dell'Agenzia delle Entrate statuendo per l'imponibilità del finanziamento socio enunciato nel verbale “trattandosi di atto avente ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, finalizzato a determinare una modificazione della sfera patrimoniale e suscettibile di valutazione economica”. Rigettando, peraltro, la qualificazione giuridica dell'operazione data dal contribuente, qualificante la somma come versamento a fondo perduto, poi utilizzato per sottoscrivere l'aumento di capitale, e non come finanziamento.

Nel caso della sentenza n. 3839/2023, a ricorrere in Cassazione è stata l'Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regione Lombardia, pronunciatasi a favore del contribuente confermando il primo grado, che aveva qualificato la somma utilizzata per ricostituire il capitale sociale e per coprire le perdite, come “effettuata in conto capitale, non a titolo di mutuo, per cui il suo utilizzo non poteva essere considerato una rinuncia al credito perché i versamenti di quel tipo concorrono a formare il patrimonio netto della società, la quale se ne appropria a titolo definitivo”.

In entrambi i casi, i giudici di legittimità non hanno ritenuto di dover valutare approfonditamente la questione della natura giuridica del versamento del socio. Si sono arrestati davanti a una scrupolosa, analitica e quanto mai utile rilettura dell'operazione dal punto di vista dell'art. 22 d.p.r. n. 131/1986. Hanno assunto, in altri termini, la qualifica di finanziamento (e non versamento a fondo perduto) delle somme, statuendone però al contempo la non assoggettabilità all'imposta di registro, nonostante l'enunciazione, non messa in discussione. Ciò, in quanto si era estinta, per avvenuta compensazione tra finanziamento e sottoscrizione dell'aumento di capitale, per il tramite dell'atto enunciante il finanziamento, l'originaria causa della datio della somma di danaro, integrandosi quindi la previsione dell'art. 22 cit.

Le questioni

In entrambi i casi, le argomentazioni delle parti si sono concentrate (anche) sulla qualificazione giuridica dell'operazione. Ciò, al fine di identificare la datio di denaro come un versamento a fondo perduto e non un finanziamento, derivandone in tal caso l'applicazione della sola imposta di registro in misura fissa (Euro 200) applicabile agli aumenti di capitale o del patrimonio netto, e non quella proporzionale applicabile ai finanziamenti. Tuttavia, tale analisi viene schivata dai giudici, ritenendo infatti che la diversa qualificazione giuridica del versamento non incidesse sull'individuazione del contenuto e dell'ambito applicativo dell'art. 22 d.p.r. n. 131/1986. E' dall'analisi di tale norma fiscale, che prescrive la cd. regola dell'enunciazione, che si stabilisce l'eventuale violazione, o meno, della tassazione dibattuta.

Rispetto a ciò, i giudici sono chiari nel ricostruire gli elementi qualificanti che consentono l'applicabilità della regola dell'enunciazione: (a) la compiuta enunciazione dell'atto/contratto, (b) l'identità di parti tra l'atto enunciante e l'atto enunciato e (c) la cd. permanenza degli effetti dell'atto enunciato.

Dando per assodata la piena enunciazione, con puntuale identificazione, del finanziamento effettuato nei verbali assembleari dei due casi in esame, i giudici hanno riscontrato anche il secondo elemento qualificante - l'identità delle parti - ai fini dell'applicazione della norma tributaria (su cui cfr. infra le Osservazioni). Al contrario, la Corte si è arrestata davanti alla verifica del terzo elemento qualificante (applicabile solo ai contratti verbali), della permanenza degli effetti. La norma infatti è chiara nell'escludere l'imposta "quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell'atto che contiene l'enunciazione". E tale fattispecie appare perfettamente integrata secondo i giudici di legittimità nei due casi in esame. Infatti, con la definitiva imputazione delle somme versate dal socio a capitale sociale, muta la causa originaria dell'operazione di versamento. Si determina, civilisticamente parlando, una vera e propria estinzione del debito della società verso il socio per il finanziamento ricevuto per compensazione con il credito dell'emittente da sottoscrizione e liberazione dell'aumento di capitale a copertura delle perdite (per approfondire il tema dell'aumento di capitale mediante compensazione crediti, cfr. la Massima del Consiglio Notarile di Milano n. 125/2013). E la cessazione degli effetti del finanziamento si concretizza proprio nel verbale di assemblea, in quanto l'enunciazione del finanziamento in tale sede consente di considerare compiutamente effettuata la rinuncia – e la conseguente sottoscrizione e liberazione dell'aumento di capitale - in sede assembleare.

Osservazioni

L'altro aspetto interessante contenuto nelle sentenze e in parte sopra accennato, riguarda l'analisi effettuata dai giudici circa il concetto di “identità di parti”, ai fini dell'applicabilità della disposizione tributaria di cui all'art. 22 d.p.r. n. 131/1986. L'antefatto logico è l'arresto della citata Cass. n. 15585/2010, pronunciatasi per l'imponibilità di un finanziamento socio enunciato nel verbale di un'assemblea in cui si deliberava il ripianamento delle perdite del capitale sociale e sua ricostituzione mediante rinuncia dei soci ai finanziamenti in precedenza effettuati. In dottrina (cfr., tra i vari, F. Laurini, in Notariato 6/2010, 705), l'impostazione è stata criticata, in ragione di una più precisa qualifica del verbale assembleare, che non può ricomprendere il concetto dell'identità di parti. Il verbale, infatti, non è un atto in cui compaiono parti al pari di un contratto, ma è un semplice resoconto degli accadimenti assembleari. Un atto "auto-riferito" e, dunque, senza parti. Non può esserci, insomma, “identità di parti tra atto enunciato (finanziamento) ed atto enunciante (verbale di assemblea)” e, di conseguenza, nemmeno applicazione dell'art. 22 d.p.r. n. 131/1986.

Rispetto a tale dibattito, le sentenze in commento non si discostano dall'impostazione data nel 2010, allineandosi in particolare ai criteri interpretativi della norma tributaria (su cui si veda, da ultimo, Cass. Civ. Sez. Unite, 25 luglio 2022, n. 23051). Si evidenzia come ai fini fiscali la norma citata allude a “un concetto di parti in senso non contrattualistico, ma inteso come soggetti che hanno partecipato alle due operazioni (finanziamento e deliberazione assembleare), in termini, cioè, di "interrelazione tra quelle intervenute nei due atti". Non si tratta, per i giudici, di promuovere una diversa qualificazione giuridica del verbale assembleare, ma di leggere le norme fiscali secondo “l'autonomia del diritto tributario rispetto a quello civile” interpretando quindi il concetto di parti “in senso a-tecnico”. Con la conseguenza che l'identità delle parti si ravvisa, anche per le sentenze in commento, laddove le medesime parti (socio e società) intervengano in un contesto non contrattuale, come il verbale assembleare.

Conclusioni

Le sentenze in commento hanno il merito di sviluppare e approfondire, anche “alla luce di una serie di problematiche”, l'orientamento della Cassazione del 2010 più volte citato. Oltre che di chiarire quale sia la concreta fattispecie in cui risulta applicabile l'art. 22, comma 2, del d.p.r. n. 131/1986, vale a dire i contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso, che, nel caso dei finanziamenti soci, si sostanziano in un'erogazione del socio alla società, priva di qualsiasi atto scritto.

Non si può escludere che le due sentenze in commento possano anche avere l'effetto di ridurre una prassi sviluppatasi dopo il 2010. Quella di evitare qualsiasi enunciazione di finanziamenti soci in sede di verbale assembleare e, solo ad assemblea chiusa, dare esecuzione all'aumento di capitale con lettere “private” di rinuncia al rimborso e compensazione ai fini della sottoscrizione dell'aumento del capitale. Infatti, l'enunciazione di un contratto meramente verbale di finanziamento soci non comporterebbe più problemi di registrazione ove si abbia l'accortezza di scrivere, a chiare lettere, nel verbale assembleare che la somma di cui si rinuncia il rimborso ai fini della copertura delle perdite deriva proprio da un contratto verbale che cessa i suoi effetti “in virtù dell'atto che contiene l'enunciazione”.

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