In mancanza di apposito provvedimento del Tribunale, la presentazione della domanda di concordato non esclude l’omesso versamento di ritenute

14 Aprile 2023

I Giudici di legittimità, nell'aderire ad un indirizzo ermeneutico ormai consolidato, affermano un importante principio giurisprudenziale in tema di scriminante del reato di omesso versamento di ritenute di cui all'art. 10-bis D.Lgs. 74/2000 relativo agli obblighi scaduti tra la presentazione dell'istanza di ammissione al concordato e l'adozione del relativo decreto.
Massima

La procedura di concordato preventivo scrimina il reato di omesso versamento di ritenute di cui all'art. 10-bis D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, riguardante gli obblighi scaduti tra la presentazione dell'istanza di ammissione al concordato, sia esso "in bianco" che con deposito del piano, e l'adozione del relativo decreto, solo ove sia intervenuto un provvedimento del Tribunale che abbia vietato, o comunque non autorizzato, come invece richiesto dall'interessato, il pagamento dei suddetti debiti, essendo in tal caso configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità di cui all'art. 51 c.p.

Il caso

Con sentenza del 24 gennaio 2023, n. 2858, la Corte di cassazione ha sancito il principio secondo cui il reato previsto dall'art. 10-bis D.Lgs. 74/2000 (Omesso versamento di ritenute) non si estingue in caso di presentazione di una domanda di concordato.

In particolare, da quanto si evince dai fatti della causa, un contribuente aveva impugnato presso la Corte di appello competente una sentenza del Tribunale, il quale, sulla ipotizzata sussistenza del reato di cui all'art. 10-bis sopracitato, lo aveva condannato.

La difesa si era basata sul fatto che il reato non sussisteva poiché il soggetto imputato, nella sua qualità di legale rappresentante di una società di capitali, aveva chiesto, prima della scadenza del termine per la consumazione del reato, l'ammissione alla procedura di concordato preventivo della società, per cui, tenuto conto della natura pubblicistica della procedura, non avrebbe più potuto adempiere ai pagamenti delle ritenute, cosicché la sua responsabilità avrebbe dovuto essere esclusa per mancanza di dolo.

Tale tesi, però, non è stata accolta dalla Suprema Corte, la quale ha affermato che la procedura di concordato preventivo scrimina il reato di omesso versamento di ritenute di cui all'art. 10-bis del DLgs. 74/2000, riguardante gli obblighi scaduti tra la presentazione dell'istanza di ammissione al concordato, sia esso “in bianco” che con deposito del piano, e l'adozione del relativo decreto, solo ove sia intervenuto un provvedimento del tribunale che abbia vietato, o comunque non autorizzato il pagamento dei suddetti debiti, essendo in tal caso configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità di cui all'art. 51 c.p.

Per capire le motivazioni della sentenza, è necessario soffermarsi brevemente sul quadro normativo di riferimento.



Il quadro normativo

Il delitto di omesso versamento di ritenute previsto all'art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000, così come modificato dal D.Lgs. 158/2015, si verifica quando un soggetto non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a centocinquantamila euro per ciascun periodo d'imposta.

Con sentenza della Corte Costituzionale del 14 luglio 2022, n. 175, la norma relativa al delitto di omesso versamento delle ritenute è stata dichiarata parzialmente illegittima.

In particolare, si è rilevato che il legislatore delegato ha introdotto nell'art. 10-bis una nuova fattispecie penale (omesso versamento di ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione del sostituto), affiancandola a quella già esistente (omesso versamento di ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti), senza essere autorizzato a farlo dalla legge delega.

Per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale viene, pertanto, ripristinato il regime vigente prima del D.Lgs. 158/2015, sicché, da una parte, l'integrazione dell'art. 10-bis richiede che il mancato versamento da parte del sostituto, per un importo superiore alla soglia di punibilità, riguardi le ritenute certificate; dall'altra, il mancato versamento delle ritenute risultanti dalla dichiarazione, ma delle quali non c'è prova del rilascio delle relative certificazioni ai sostituiti, costituisce illecito amministrativo tributario.

Come sancito dalla Corte di cassazione con la sentenza del 16 dicembre 2022, n. 47687, le condotte contestate con riferimento a quella parte della norma perdono rilevanza penale con effetto ex tunc, vale a dire sono assimilabili ad un fatto non più previsto dalla legge come reato (art. 2 c.p.).
La parziale declaratoria d'illegittimità costituzionale rende infatti necessario, in sede penale, accertare se (e, ancor prima, contestare in imputazione che) l'omesso versamento si riferisce a ritenute risultanti da certificazioni rilasciate ai soggetti sostituiti.

Pertanto, viene data applicazione a quanto stabilito da Corte Cost. 175/2022 con cui è stata dichiarata l'illegittimità parziale della previsione del delitto di omesso versamento di ritenute dovute o certificate (art. 10-bis del D.Lgs. 74/2000) nella parte in cui fa riferimento alle ritenute meramente "dovute", introdotta con il D.Lgs. 158/2015. Si torna ora ad applicare, anche in via retroattiva, il precedente principio per cui la dichiarazione proveniente dal sostituto di imposta ("Modello 770") non può essere ritenuta di per sé sola sufficiente ad integrare la prova della avvenuta consegna al sostituito della certificazione fiscale (così sentenza della Corte di cassazione del 15 novembre 2022, n. 43238).

Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, è necessario ricordare che, in caso di forza maggiore che impedisce di assolvere l'obbligo di versamento, il soggetto non può essere punito.

A tal fine è importante sottolineare che la nozione di forza maggiore, in materia tributaria, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all'operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall'obbligo dell'interessato di premunirsi contro le conseguenze dell'evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (cfr. Risposta 1.7 contenuta nella Circolare dell'Agenzia delle Entrate del 2 aprile 2020, n. 8/E).

Ad esempio, la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l'omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell'IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l'emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (così Cass. pen. 29 maggio 2019, n. 23796).Inoltre, sempre secondo parte della giurisprudenza, l'omesso versamento dell'Iva non può essere giustificato, ai sensi dell'art. 51 c.p., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l'ordine di preferenza, che impone l'adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 c.c.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 c.c.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della par condicio creditorum, al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato (così Cass. 3 marzo 2020, n. 8519).

Come sancito recentemente dalla Suprema Corte, nei reati omissivi propri integra la causa di forza maggiore l'assoluta impossibilità, e non la semplice difficoltà, di porre in essere il comportamento omesso, dovendosi ricollegare ad eventi che sfuggono al dominio finalistico dell'agente. In questo caso, l'imputato potrà invocare la situazione di crisi economica come causa dell'impossibilità di adempimento dell'obbligazione fiscale, al fine di escludere la responsabilità penale, purché assolva agli oneri di allegazione riguardanti, sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica, sia l'aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto. Dovrà, in altri termini, essere dimostrato che non sia stato in alcun modo possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili. Secondo tale tesi, pertanto, il contribuente, il quale eserciti un'attività imprenditoriale, è chiamato ad accantonare le somme necessarie agli adempimenti tributari cui è gravato. Diversamente, deve ritenersi che l'imprenditore si sia rappresentato la probabilità che, per il normale rischio connesso all'esercizio della propria attività economica, al momento della scadenza del termine per il pagamento non siano presenti le somme necessarie ad onorare il debito fiscale, accettandone tuttavia il rischio, pur di conseguire il proprio obiettivo, configurandosi una ipotesi di dolo eventuale (Cass. pen. 15 maggio 2020, n. 15218).

Tali criteri, precisa la S. Corte (Cass. 1 dicembre 2022, n. 35360), vanno applicati anche per le sanzioni amministrative tributarie, e quindi non si ha forza maggiore a causa del sequestro penale di ingenti somme in un momento antecedente all'avviso bonario con cui erano liquidati i redditi soggetti a tassazione separata.

È stato precisato che la revoca degli affidamenti bancari a ridosso della scadenza del termine "lungo" di cui all'art. 10-ter, non ha alcuna rilevanza e tale inadempimento non può essere considerato causato da forza maggiore (Cass. 26 ottobre 2021, n. 38177), così come la mancanza di pagamenti e la carenza di liquidità derivante dai ritardi dei pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni (Cass. 19 ottobre 2022, n. 30760).

Nel reato di omesso versamento delle ritenute certificate, la situazione di difficoltà finanziaria dell'imprenditore non costituisce causa di forza maggiore che esclude la responsabilità prevista dall'art. 10-bis D.Lgs. 74 del 2000. L'unico limite alla integrazione del reato, nel caso di omesso versamento delle ritenute certificate per un importo superiore a quello previsto dalla legge, è costituito dal caso fortuito o dalla forza maggiore (cfr. Cass. 10 ottobre 2017,n. 46459), in qualche decisione ritenuto integrato dalla non imputabilità al contribuente della crisi economica aziendale e, insieme, dalla impossibilità di fronteggiare questa crisi tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto ( cfr. Cass. 15 maggio 2014, n. 20266,).



Le questioni giuridiche

I Giudici della Suprema Corte, con la sentenza in esame, hanno dovuto stabilire se, ai fini della configurabilità del reato in oggetto, assume o meno rilevanza, sia sul piano dell'elemento soggettivo, che su quello della esigibilità della condotta, l'ammissione ad un concordato preventivo avvenuta precedentemente alla data prevista dalla normativa penale.

La loro conclusione è stata positiva, in quanto la semplice domanda non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione ma prima dell'adozione di provvedimenti da parte del Tribunale.

Tale tesi si basa sul fatto che la procedura di concordato preventivo, a differenza della procedura fallimentare, non priva l'imprenditore in crisi dell'amministrazione dei beni, ma gli consente il compimento di alcuni atti gestori, situazione che viene comunemente indicata come "spossessamento attenuato" (così Cass. pen. 28 aprile 2020, n. 13092).

In particolare, viene sostenuto che, per effetto della limitata facoltà di disposizione e dello spossessamento attenuato che si attua nel concordato, il legislatore ha previsto che l'imprenditore, il quale ha presentato una domanda di concordato anche con riserva, conservi l'amministrazione del patrimonio e la gestione dell'impresa potendo compiere gli atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli straordinari sono condizionati all'autorizzazione del Tribunale.

In tale ambito, infatti, la disciplina prevista dalla Legge fallimentare contempla la possibilità per l'imprenditore che ha fatto domanda di concordato, e anche prima della sua ammissione nel caso di concordato con riserva, la possibilità di compiere atti gestori, e ciò in coerenza con il limitato spossessamento dei beni cui segue la limitata facoltà di gestione patrimoniale, potendo compiere gli atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli urgenti di straordinaria amministrazione (nel caso di concordato con riserva) e quelli di straordinaria amministrazione, possono essere compiuti dietro autorizzazione del Tribunale.

Come stabilito da altra giurisprudenza, la distinzione tra atto di ordinaria o di straordinaria amministrazione resta incentrata sulla sua idoneità a pregiudicare i valori dell'attivo compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, tenuto conto esclusivamente dell'interesse di questi ultimi e non dell'imprenditore insolvente, essendo quindi possibile che atti astrattamente qualificabili di ordinaria amministrazione, se compiuti nel normale esercizio dell'impresa, possano invece assumere un diverso connotato nell'ambito di una procedura concorsuale (così Cass. 29 maggio 2019, n. 14713). Da cui, si arriverebbe alla conclusione che il pagamento del debito tributario dell'imprenditore in concordato preventivo, e sorto precedentemente, sia atto di straordinaria amministrazione.

Del resto, dall'art. 167 l. fall. , che disciplina degli atti di straordinaria amministrazione, discende che il patrimonio dell'imprenditore in pendenza del concordato è oggetto di una amministrazione “giurisdizionalizzata”, perché il patrimonio è destinato a garantire il soddisfacimento di tutti i creditori.

Ne segue il divieto, posto dall'art. 168 l. fall., di azioni esecutive da parte dei creditori, divieto che comporta implicitamente il divieto di pagamento di debiti anteriori, perché sarebbe incongruo che ciò che il creditore non può ottenere in via di esecuzione forzata possa conseguire in virtù di spontaneo adempimento, e l'ulteriore previsione di cui all'art. 184 l. fall., che nel prevedere che il concordato sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori, implica che non possa darsi l'ipotesi di un pagamento di debito concorsuale al di fuori dei casi e dei modi previsti dalla legge (art. 167 l. fall.)

Pertanto, la condotta omissiva non avrebbe rilevanza penale se, in data antecedente alla scadenza del debito, sia intervenuto un provvedimento del Tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori, essendo configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità di cui all'art. 51 c.p., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario

E' necessario a questo punto ricordare che parte della giurisprudenza ha sancito che, una volta intervenuto il provvedimento di ammissione del debitore al concordato, anche le pregresse condotte omissive, consistenti in omessi pagamenti di obbligazioni giunte a maturazione nell'intervallo fra la presentazione della istanza e la sua positiva evasione da parte dell'organo giurisdizionale a ciò preposto, cessano, atteso che tali condotte neppure possono essere considerate compiute in violazione della legge, in quanto legittimate – a tutto voler concedere a posteriori – dall'avvenuta ammissione alla procedura concorsuale (così Cass. 2 aprile 2019, n.36320).

Tale orientamento, però, sembrerebbe non essere in linea con quanto sancito da altra giurisprudenza, secondo la quale l'ammissione alla procedura non vale tuttavia a scriminare sic e simpliciter l'omissione alla scadenza o a escludere successivamente gli effetti penali dell'omissione, dovendosi dare rilievo, ai fini che qui rilevano, unicamente alla situazione nella quale vi sia stato un provvedimento del tribunale che abbia vietato, o comunque non abbia autorizzato, il pagamento dei crediti, essendo configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità di cui all'art. 51 c.p., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario (così Cass. penale 5 maggio 2020, n. 13628).



La decisione della Corte

La sentenza in esame è conforme a quest'ultimo orientamento.

In particolare, viene specificato che spetta all'imprenditore in crisi, che sa di avere un debito fiscale che verrà a scadenza certa, ponderare la migliore soluzione della crisi di impresa e valutare in tale ambito anche le conseguenze penali della sua eventuale omissione del pagamento del debito, anche perché il soggetto in concordato è la società e non l'imputato, e l'impossibilità di provvedere al pagamento a causa dei vincoli derivanti dal concordato preventivo riguarda solo la società e non anche l'imputato, che è, invece, l'autore del reato.

Nel caso specifico, è stata esclusa la situazione di forza maggiore dal momento che la situazione di crisi aziendale era imputabile alla gestione dell'amministratore imputato, risalente ad almeno tre anni prima dell'omesso versamento delle ritenute certificate per il quale è stata pronunciata condanna, e non è stata fronteggiata con misure efficaci.

Inoltre, la scelta di corrispondere gli stipendi al personale per assicurare la continuità dell'attività di impresa, con contestuale omissione dei versamenti dovuti per le ritenute certificate, non costituisce causa di giustificazione che esclude l'illiceità penale della condotta sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000.

Anche se il termine rilevante ai fini penali è scaduto dopo la presentazione della domanda di concordato, il reato di omesso pagamento risponde all'esigenza di garantire in modo particolarmente pregnante il credito erariale, rispetto al quale l'ordinamento appronta anche lo strumento della confisca, la quale svolge una funzione che, vista dal lato dello Stato, ha un carattere sostanzialmente ripristinatorio.
Pertanto, dal momento che non è intervenuto alcun provvedimento del tribunale che abbia vietato, o comunque non autorizzato, il pagamento dei suddetti debiti, la Corte di cassazione ha dichiarato la penale responsabilità per il reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui all'art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2001.



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