L'art. 5 legge n. 89/2001 nel testo oggi vigente e, cioè, quello modificato dall'art. 55, comma 1, lett. e), d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012 n. 134:
- al comma 1 dispone che il ricorso di equa riparazione e il decreto di accoglimento della domanda vanno notificati in copia autentica al soggetto nei cui confronti la domanda è stata accolta;
- al comma 2 prevede che:
- il decreto diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento;
- la domanda di equa riparazione non può essere più proposta.
La giurisprudenza di legittimità, in tema di redazione della sentenza in formato cartaceo - ma i principi possono essere applicarti analogicamente a qualsiasi provvedimento decisorio e, quindi, anche al decreto monitorio ex legge n. 89/2001 - ha precisato che:
- ai sensi dell'art. 133 c.p.c. la pubblicazione della sentenza - dalla cui data decorre il termine cd. lungo di impugnazione di cui all'art. 327 c.p.c. - non è né un posterius né un'attività diversa rispetto al suo deposito;
- il deposito e la pubblicazione della sentenza, pertanto, coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione;
- qualora tali momenti risultino impropriamente scissi mediante apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, ai fini della verifica della tempestività dell'impugnazione, il giudice deve accertare - attraverso istruttoria documentale, ovvero ricorrendo a presunzioni semplici o, infine, alla regola di cui all'art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all'impugnante provare la tempestività della propria impugnazione - quando la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria e il suo inserimento nell'elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo (sez. un. 22 settembre 2016 n. 18569).
La giurisprudenza di legittimità, in tema di redazione della sentenza in formato elettronico, ha chiarito che la pubblicazione della sentenza, ai fini della decorrenza del termine cd. lungo di impugnazione di cui all'art. 327 c.p.c., si perfeziona (non nel momento in cui il giudice la trasmette con la sua firma digitale all'Ufficio di Cancelleria, bensì) nel momento in cui il sistema informatico provvede, per il tramite del cancelliere, ad attribuire alla sentenza il numero identificativo e la data, poiché è da tale momento che il provvedimento diviene ostensibile agli interessati (Cass. 9 novembre 2022 n. 33019; conf. Cass. 29 dicembre 2020 n. 29803; Cass. 31 maggio 2019 n. 14875; Cass. 29 gennaio 2019 n. 2362; Cass. 9 ottobre 2018 n. 24891; Cass. 23 agosto 2016 n. 17278).
Dovrebbe pertanto ritenersi, in base a un'interpretazione letterale e restrittiva dell'art. 5 legge n. 89/2001, che il termine perentorio per la notifica sia del ricorso di equa riparazione che del decreto monitorio di accoglimento della domanda decorra dalla data di pubblicazione del decreto.
La giurisprudenza di legittimità, però, non è stata dello stesso avviso e ha fornito un'interpretazione diversa dell'art. 5 legge n. 89/2001 pervenendo a una conclusione diametralmente opposta rispetto a quella letterale.
La S.C., in particolare, ha affermato che “sebbene la legge n. 89 del 2001, art. 5, comma 2, preveda che il decreto diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento, deve ritenersi che tale termine decorra dalla comunicazione del decreto alla parte ricorrente” (Cass. 2 gennaio 2023, n. 1; conf. Cass. 22 aprile 2022, n. 12875; Cass. 29 aprile 2019, n. 11361; Cass. 12 aprile 2019, n. 10365; Cass. 21 marzo 2017, n. 7185, che rappresenta il leading case).
La S.C., in un primo momento, è giunta a tale soluzione sulla scorta di due considerazioni:
- la prima tratta dal testo dell'art. 5, comma 4, legge n. 89/2001 che prevede che il decreto che accoglie la domanda “è altresì comunicato” al procuratore generale della Corte dei conti e ai titolari dell'azione disciplinare e ciò in perfetta continuità normativa rispetto al testo precedente della norma che, prima delle modifiche apportate dal d.l. n. 83/2012, disponeva espressamente che il decreto fosse comunicato, oltre che alle parti, alle suddette autorità (anche se per la verità l'avverbio “altresì” rimasto nel testo normativo oggi vigente sembra un mero refuso della modifica normativa);
- la seconda rilevata dalla difformità delle conseguenze che derivano dall'inefficacia del decreto ingiuntivo (che costituisce il modello di riferimento del procedimento ex legge n. 89/2001) e del decreto monitorio ex legge n. 89/2001 conseguenti alla mancata tempestiva notifica: nel primo caso la domanda è riproponibile, nel secondo caso la domanda non è riproponibile per l'espresso divieto di cui all'art. 5, comma 2, legge n. 89/2001 (Cass. 22 aprile 202,2 n. 12875; Cass. 29 aprile 2019, n. 11361; Cass. 12 aprile 2019, n. 10365; Cass. 21 marzo 2017, n. 7185).
La S.C., in un secondo momento, ha confermato la detta soluzione ma, alle considerazioni già svolte, ne ha aggiunte altre due:
- la prima cosiddetta finalistica secondo cui la soluzione accolta risponde al doppio intento di porre la parte al riparo da conseguenze pregiudizievoli in dipendenza del mancato compimento di un attività per la quale è previsto un termine perentorio breve e di non onerare la parte stessa di un attività potenzialmente defatigante (ossia di verificare il deposito del provvedimento) o che, comunque, mal si concilia con la previsione dell'obbligo di comunicazione a opera della cancelleria, adempimento che sarebbe inutilmente contemplato ove l'interessato fosse tenuto ad autonomamente attivarsi per non incorrere in decadenza;
- la seconda di ampio respiro costituzionale e tratta dagli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale in base ai quali deve ritenersi che ai fini di tutelare i diritti dell'interessato è necessario che i termini processuali di decadenza decorrano dalla comunicazione dei provvedimenti e non dal deposito nell'ipotesi in cui sia imposto un termine oggettivamente esiguo, situazione nella quale non può esigersi un onere eccedente la normale diligenza o comunque ingiustificato (Cass. 2 gennaio 2023, n. 1).
Tali ultimi principi, senz'altro corretti in quanto tutelano il diritto di difesa delle parti, sono stati più volte affermati:
- dalla Consulta che:
- in materia fallimentare li ha posti alla base delle declaratorie di illegittimità costituzionale di norme relative alla decorrenza di termini processuali per l'impugnazione di un atto da un determinato evento (Corte Cost. n. 201/1993; Corte Cost. n. 881/1988; Corte Cost. n. 156/1986; Corte Cost. n. 102/1986; Corte Cost. n. 303/1985) o dall'affissione (Corte Cost. n. 224/2004; Corte Cost. n. 211/2001; Corte Cost. n. 152/1980; Corte Cost. n. 151/1980);
- in materia processual-civilistica li ha posti alla base della declaratoria di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale prima dell'art. 327, comma 1, c.p.c. (Corte Cost. 297/2008) e poi degli artt. 133, commi 1 e 2 e 327, comma 1, c.p.c. (Corte Cost. n. 3/2015).
- dalla stessa S.C. che li ha posti alla base del rigetto dell'istanza di rimessione in termini per l'impugnazione (Cass. 8 novembre 2022 n. 32777).
A sostegno della corretta interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata dell'art. 5, comma 1, legge n. 89/2001 fornita dalla S.C. con le indicate decisioni si potrebbe aggiungere un'ulteriore considerazione tratta dal testo dell'art. 5-ter, comma 1, legge n. 89/2001 (articolo inserito dall'art. 55, comma 1, lett. f), D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012 n. 134 e, quindi, coevo con l'art. 5 legge n. 89/2001 nel testo oggi vigente).
Tale norma, infatti, prevede che contro il decreto monitorio possa essere proposta opposizione nel termine perentorio di trenta giorni decorrente (non dalla pubblicazione, bensì) dalla comunicazione del provvedimento ovvero dalla sua notificazione.
L'interpretazione dell'art. 5, comma 1, L. n. 89/2001 fornita dalla S.C., pertanto, pone rimedio a tale discrasia e riallinea coerentemente il dies a quo del termine perentorio per la notifica del ricorso di equa riparazione e del decreto monitorio di accoglimento della domanda con quello del termine perentorio per la sua impugnazione mediante opposizione che non avrebbe alcun senso, né logico né giuridico, siano differenti.
Se così non fosse, infatti, dovrebbe ritenersi che le parti - che siano già incappate nell'inefficacia del decreto monitorio e nel divieto di riproposizione della domanda per non aver notificato il ricorso di equa riparazione e il decreto monitorio nel termine di trenta giorni dal deposito in cancelleria del provvedimento - possano impugnare il decreto monitorio:
- in caso di sua mancata comunicazione o notificazione, senza limiti di tempo;
- in caso di sua comunicazione o notificazione perfezionata in data successiva al deposito, nel diverso termine di trenta giorni decorrente dalla comunicazione o notificazione.
Le parti, pertanto, in tali casi sarebbero certamente invogliate a proporre opposizione avverso il decreto monitorio per un qualsiasi motivo al solo fine di rimediare all'inefficacia del provvedimento e al divieto di riproposizione della domanda.
È ius receptum, infatti, che:
- in caso di accoglimento dell'opposizione, il decreto collegiale si sostituisce al decreto monitorio che, pertanto, va necessariamente revocato;
- in caso di rigetto dell'opposizione, il decreto monocratico sopravvive (Cass. 16 marzo 2023 n. 7597; Cass. 30 settembre 2022 n. 28476; Cass. 30 settembre 2022 n. 28475; Cass. 9 giugno 2022 n. 18573; Cass. 13 aprile 2022 n. 12027).
L'interpretazione meramente letterale dell'art. 5, comma 1, L. n. 89/2001, pertanto, nei casi innanzi evidenziati, del tutto irragionevolmente:
- incentiverebbe le impugnazioni delle decisioni per conseguire l'indennizzo di cui alla L. 24 marzo 2001 n. 89;
- vanificherebbe le eventuali misure legislative e organizzative poste dallo Stato per consentire ai propri organi di pervenire alla decisione delle cause nel rispetto di un termine ragionevole;
- causerebbe l'ulteriore allungamento del tempo generale nella trattazione dei processi per l'aumentato numero di impugnazioni;
- peggiorerebbe certamente e ulteriormente:
- la “già abnorme mole del contenzioso…innegabilmente aggravata dal flusso indiscriminato dei procedimenti per equo indennizzo ex lege n. 89 del 2001” (Corte Cost.23 giugno 2020 n. 121; conf. Corte Cost. 26 giugno 2018 n. 135; Corte Cost. 4 giugno 2014 n. 157);
- “la inappagante funzionalità della giustizia civile (la quale dipende soprattutto dai lunghi tempi di definizione, a sua volta correlati alla variabile niente affatto indipendente del numero delle cause promosse) fra le ragioni di uno sviluppo economico inferiore a quello possibile, segnatamente sotto il profilo dell'abbassamento della propensione agli investimenti” (sez. un. 16 luglio 2008 n. 19499).
Ma tutto ciò sarebbe in palese contrasto:
- con la ratio dell'intera normativa (L. 24 marzo 2001 n. 89 che disciplina la ragionevole durata del processo e l'equa riparazione in caso di violazione);
- con il principio costituzionale ed eurounitario del giusto processo che deve avere una durata ragionevole (artt. 111, commi 1 e 2, Cost., 6, paragrafo 1, Convenzione EDU e 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea);
- con il principio costituzionale della ragionevolezza delle norme e delle varie parti dell'ordinamento che nasce come corollario del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) ma si è da esso emancipato (M. Cartabia, I principi di ragionevolezza e proporzionalità nella giurisprudenza costituzionale italiana, 12 novembre 2013).
Deve ritenersi, pertanto, per tutto quanto fin qui esposto che in base a una corretta interpretazione logica (secondo il criterio storico e sistematico), coerente con il testo organico in cui è inserita (L. 24 marzo 2001 n. 89) e costituzionalmente orientata dell'art. 5 legge n. 89/2001, il “dies a quo” del termine perentorio per la notifica del ricorso di equa riparazione e del decreto monitorio di accoglimento della domanda decorre dalla comunicazione del provvedimento.