Il Codice del consumo (D.Lgs. 206/2005) contiene le norme di riferimento in materia di pubblicità e disciplina nel dettaglio i casi in cui questa pratica commerciale debba considerarsi scorretta.
La pubblicità: panoramica delle fonti normative
Con il termine di “pubblicità” si definisce, generalmente, un qualunque tipo di messaggio al pubblico destinato a far conoscere ai consumatori prodotti e servizi allo scopo di promuoverne od incrementarne la domanda e la vendita.
Esistono poi norme specifiche che dettano regole o divieti relativi alla promozione e pubblicizzazione di particolari categorie di prodotti (ad esempio prodotti da fumo), nonché usi di settore contenute nelle raccolte delle camere di commercio.
Tutti i soggetti che operano nell’ambito della comunicazione pubblicitaria sono inoltre tenuti a conformarsi alle norme deontologiche contenute nel Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale (d’ora in avanti “Codice di Autodisciplina”), emanato dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (d’ora in avanti “IAP”). Il Codice di Autodisciplina è vincolante per gli utenti ed agenti pubblicitari, i consulenti di pubblicità e marketing, i media ed i gestori di veicoli pubblicitari di ogni tipo e per tutti coloro che abbiano accettato il rispetto di tale normativa deontologica, non solo, direttamente, ma anche a seguito di iscrizione ad associazioni o organismi a loro volta aderenti al sistema autodisciplinare.
Il rispetto del Codice di Autodisciplina è garantito dalla sottoscrizione della clausola di accettazione del Codice di Autodisciplina (che comprende anche l’obbligo a uniformarsi alle decisioni emesse dal relativo organo “giurisdizionale” denominato Giurì tenuto per l’appunto a pronunciarsi sulla conformità o meno del messaggio pubblicitario al detto Codice), inserita obbligatoriamente in tutti i contratti pubblicitari redatti dalle principali associazioni di categoria a partire dal 1971. Tale clausola è vincolante per ogni singolo contratto nel quale viene inserita.
La pubblicità nel Codice del Consumo e nel Codice di Autodisciplina
Come detto la principale fonte normativa in materia di pubblicità è il Codice del Consumo che ha come obiettivo quello di garantire al consumatore la correttezza dei messaggi pubblicitari divulgati. Anzitutto, l'art. 18 D.Lgs. 206/2005 definisce pratica commerciale: “qualsiasi azione, omissione, condotta, dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori”, dovendosi ricomprendere tra queste, oltre alla pubblicità (espressamente prevista dalla norma), anche l'attività di marketing nonché tutte le iniziative ed attività di promozione di un prodotto, anche successive alla vendita. Sono invece espressamente escluse dall'ambito di applicazione le “pratiche commerciali realizzate principalmente per altri scopi, comprese ad esempio le comunicazioni commerciali rivolte agli investitori, come le relazioni annuali e le pubblicazioni promozionali delle aziende”.
Secondo l'art. 20 c. 2 D.Lgs. 206/2005: “Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”. Al successivo art. 20 c. 14 D.Lgs. 206/2005 le pratiche commerciali scorrette sono suddivise in due categorie:
le pratiche ingannevoli, disciplinate dagli artt. 21,22 e 23 D.Lgs. 206/2005, che si concretizzano (i) in una condotta commissiva idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere decisioni che altrimenti non avrebbe preso oppure (ii) in una condotta omissiva (che si sostanzia, di fatto, in una lacuna nelle informazioni fornite) determinante ai fini orientare il consumatore riguardo a una scelta di carattere commerciale;
le pratiche aggressive, previste dagli artt. 24,25 e 26 D.Lgs. 206/2005, che si sostanziano in tutte quelle condotte moleste, coercitive – compreso il ricorso alla forza fisica o all'indebito condizionamento – che, valutate alla luce delle circostanze del caso, sono idonee a limitare considerevolmente la libertà di scelta del consumatore medio in relazione al prodotto e, quale conseguenza, lo inducono o sono idonee a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che, non condizionato, non avrebbe assunto.
Come espressamente previsto dal Codice del Consumo, il parametro di riferimento da assumere per la valutazione è quello del consumatore medio, tenuto conto anche dello specifico prodotto o servizio protagonista del messaggio pubblicitario. La valutazione deve, pertanto, essere realizzata prendendo in considerazione gli elementi presenti caso per caso. Costituiscono invece “pratiche in ogni caso ingannevoli” quelle previste dall'art. 23 D.Lgs. 206/2005 ovvero:
l'esibizione o l'apposizione su un prodotto di un marchio di qualità o equivalente di cui l'impresa non è titolare o che non possiede le necessarie caratteristiche previste dal marchio di qualità;
la spendita di informazioni false (inveritiere) riguardo (i) alla liceità della vendita di un prodotto (ii) o sulla sua limitata disponibilità sul mercato in un determinato numero di prodotti o in un determinato lasso temporale oppure (iii) sulla sua capacità di curare malattie e malesseri.
Oltre che il Codice del Consumo, gli operatori pubblicitari devono – come detto – osservare le norme previste dal Codice di Autodisciplina.
E dunque, ai sensi dell'art. 1 del Codice di Autodisciplina, “La comunicazione commerciale deve essere onesta, veritiera e corretta. Essa deve evitare tutto ciò che possa screditarla”. Si tratta di un vero e proprio obbligo di veridicità, inteso come divieto che, nel messaggio pubblicitario, siano contenute informazioni false e, perciò, ingannevoli; detta norma contiene inoltre un divieto di discredito della pubblicità, inteso come divieto di diffusione di messaggi pubblicitari provocatori e idonei a suscitare in chi li guarda sentimenti di ostilità nei confronti della pubblicità come medium utilizzato dagli operatori di mercato.
L'art. 2 del Codice di Autodisciplina vieta poi diffusione di qualsiasi dichiarazione, rappresentazione o messaggio che sia tale da indurre il consumatore medio in errore – anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche – riguardo al prezzo, alla gratuità, alle condizioni di vendita, ai premi, alle qualità e ai riconoscimenti di un determinato prodotto. Tale principio, indirettamente, impone altresì l'obbligo di fornire al consumatore le informazioni essenziali affinché questo non sia indotto a ritenere che il prodotto o il servizio pubblicizzato possieda delle caratteristiche o delle qualità che questo, in realtà, non possiede.
Sfuggono a tale divieto le “esagerazioni palesemente iperboliche”, ossia le rappresentazioni, affermazioni o messaggi che siano evidentemente riconoscibili dal pubblico come un eccesso.
L'art. 7 del Codice di Autodisciplina contiene poi il generale obbligo di trasparenza, ovvero di piena riconoscibilità della pubblicità come tale (in contrapposizione alla presentazione di un messaggio pubblicitario sotto mentite spoglie), allo scopo di tutelare, non solo, i consumatori ma anche la credibilità dell'intero sistema pubblicitario e dei messaggi che vengono diffusi. Nello specifico, detto art. 7 stabilisce che “La comunicazione commerciale deve sempre essere riconoscibile come tale. Nei mezzi e nelle forme di comunicazione commerciale in cui vengono diffusi contenuti e informazioni di altro genere, la comunicazione commerciale deve essere nettamente distinta per mezzo di idonei accorgimenti. Per quanto riguarda talune forme di comunicazione commerciale diffuse attraverso internet, i principali idonei accorgimenti sono indicati nel Regolamento Digital Chart”.
Esiste infine anche una norma codicistica che, per giurisprudenza costante, è applicabile ai casi di diffusione di messaggi pubblicitari ingannevoli, ovvero l'art. 2598 n. 3 c.c. secondo cui compie atto di concorrenza sleale colui che “si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda”.
Il controllo della pubblicità: Autorità Garante Concorrenza e Mercato, Giurì e Comitato di Controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria
Il controllo sui messaggi pubblicitari ingannevoli è affidato:
a livello nazionale, all’Autorità Garante Concorrenza e Mercato (AGCM) o all’autorità giurisdizionale ordinaria in caso di contestazione di atto di concorrenza sleale per diffusione di messaggio pubblicitario ingannevole;
a livello deontologico allo IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria), per tramite del suo organo giurisdizionale denominato Giurì e del Comitato di Controllo.
Quanto alla procedura avanti l’AGCM, questa, ricevuta un’istanza di intervento contenente la segnalazione di una pratica commerciale per la quale sussistano fondati motivi di ritenere che costituisca pubblicità ingannevole, comparativa illecita o pratica commerciale scorretta, può invitare l’utente pubblicitario/professionista a rimuovere i profili di possibile ingannevolezza o illiceità di una pubblicità ovvero di possibile scorrettezza di una pratica commerciale (moral suasion). Qualora l’invito formulato non abbia esito favorevole, l’AGCM apre un’istruttoria che prevede per l’utente pubblicitario/professionista segnalato la possibilità di presentare memorie scritte difensive.
Entro quarantacinque giorni dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento, l’utente pubblicitario/professionista può presentare impegni di rimozione dei profili di scorrettezza della pubblicità. L’AGCM ne valuterà nel dettaglio l’idoneità a far venire meno i profili di illegittimità contestati. Chiusa dell’istruttoria, l’AGCM potrà adottare uno dei seguenti provvedimenti finali:
decisione di non ingannevolezza/illiceità del messaggio pubblicitario ovvero di non scorrettezza della pratica commerciale o di chiusura del procedimento per insufficienza degli elementi probatori;
decisione di ingannevolezza/illiceità del messaggio pubblicitario ovvero di scorrettezza della pratica commerciale, accompagnata da diffida e sanzione pecuniaria ed eventualmente da pubblicazione di estratto del provvedimento e/o di una dichiarazione rettificativa e/o dall’assegnazione di un termine per l’adeguamento della confezione del prodotto;
decisione di accoglimento di impegni che li rende obbligatori per il professionista, senza accertamento dell’infrazione contestata in sede di avvio del procedimento.
In casi di particolare urgenza, l’Autorità può anche disporre, d’ufficio e con atto motivato, la sospensione della pubblicità ritenuta ingannevole o della pubblicità comparativa ritenuta illecita ovvero della pratica commerciale ritenuta scorretta.
Il Giurì dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria è un giudice privato, la cui giurisdizione deriva dall’accettazione da parte degli operatori/imprenditori/professionisti/utenti pubblicitari dell’applicazione del Codice di Autodisciplina che impone anche l’accettazione delle decisioni del Giurì.
Legittimato a richiedere l’intervento del Giurì è chiunque ritenga di subire pregiudizio da attività di comunicazione commerciale contrarie al Codice di Autodisciplina da parte di chi, avendo accettato il Codice stesso, abbia compiuto le attività ritenute pregiudizievoli. La parte interessata deve presentare una istanza scritta indicando la comunicazione commerciale che intende sottoporre all’esame del Giurì, esponendo le proprie ragioni ed allegando la relativa documentazione.
Ricevuta l’istanza, il Presidente del Giurì, dopo un primo esame, nomina un relatore e dispone la comunicazione degli atti alle parti interessate, assegnando un termine per il deposito di deduzioni ed eventuali documenti a supporto. Le parti, se lo desiderano, possono farsi assistere dai loro legali e dai propri consulenti di fiducia nel corso del procedimento.
La decisione del Giurì – presa in camera di consiglio a maggioranza dei componenti (solo in caso di parità dei voti prevale il voto del Presidente) – viene resa all’esito della discussione fra le parti: il dispositivo della decisione del Giurì, solitamente, viene letto in aula in presenza delle parti. La decisione del Giurì ha effetti dal momento della pronuncia: in caso di accoglimento, il messaggio pubblicitario riconosciuto in violazione con il Codice di Autodisciplina non potrà essere più essere trasmesso o pubblicato. La pronuncia viene successivamente depositata completa di motivazione in fatto ed in diritto presso l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria.
All’interno dell’IAP opera anche il Comitato di Controllo che ha il compito di agire nel caso in cui un messaggio pubblicitario sia ritenuto essere in violazione delle disposizioni del Codice di Autodisciplina.
Esso, in virtù della propria indipendenza ed imparzialità, può procedere d’ufficio e/o su segnalazione o denuncia di un qualsiasi consumatore o operatore concorrente. Il Comitato può sottoporre al Giurì i messaggi ritenuti non conformi al Codice; può operare con un’azione di moral suasion, invitando gli inserzionisti a modificare le comunicazioni che presentano scorrettezze e può emettere le ingiunzioni di desistenza nei casi di manifesta contrarietà al Codice. Su richiesta, può esaminare in via preventiva le comunicazioni commerciali non ancora diffuse per dare indicazioni sulla loro conformità al Codice di Autodisciplina.
Se la comunicazione commerciale presa in esame appare manifestamente contraria a una o più norme del Codice di Autodisciplina, il Presidente del Comitato di Controllo, con proprio provvedimento, può ingiungere all’utente pubblicitario/professionista di desistere dalla medesima. Il provvedimento, succintamente motivato, viene trasmesso con l’avvertenza che può essere proposta motivata opposizione al Comitato di Controllo nel termine non prorogabile di sette giorni. La mancata presentazione dell’opposizione, o l’inosservanza del termine prescritto, o l’assenza di motivazione, vengono constatate dal Presidente del Comitato di Controllo. In questi casi, l’ingiunzione acquista efficacia di decisione e viene nuovamente comunicata affinché l’utente pubblicitario/professionista vi si conformi. Se invece l’opposizione è proposta nel termine stabilito ed è motivata, l’ingiunzione si intende sospesa. In tal caso, il Presidente del Comitato di Controllo, prese in considerazione le circostanze e le ragioni opposte dalle parti, può decidere, sentito il Comitato, di revocare l’ingiunzione e di archiviare il caso, dandone atto alle parti stesse. Qualora invece il Comitato di Controllo ritenga non convincenti le ragioni dell’opposizione, gli atti vengono trasmessi al Presidente del Giurì con la relativa motivazione. Se pure questi giudica non convincenti le ragioni dell’opposizione, restituisce gli atti al Presidente del Comitato di Controllo che comunica all’utente pubblicitario/professionista l’obbligo di conformarsi all’ingiunzione di desistenza. Se invece ritiene opportuna una decisione del Giurì, convoca le parti per la discussione della vertenza entro il termine più breve possibile e comunque non oltre i termini previsti per la procedura ordinaria; in pendenza del procedimento ordinario che si apre a seguito della rimessione del caso avanti il Giurì, l’ingiunzione di desistenza si considera revocata in attesa della sua decisione finale.
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Sommario
La pubblicità: panoramica delle fonti normative
La pubblicità nel Codice del Consumo e nel Codice di Autodisciplina
Il controllo della pubblicità: Autorità Garante Concorrenza e Mercato, Giurì e Comitato di Controllo dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria