Disciplina delle delocalizzazioni: il problema delle restituzioni delle sovvenzioni

Roberto Cosio
20 Aprile 2023

La materia delle delocalizzazioni costituisce un cantiere aperto. La nuova disciplina prevista nella legge n. 234/2021 (articolo 1, commi da 224 a 238) è stata modificata dalla legge 17 novembre 2022, n. 175. Il Decreto aiuti-ter (d.l. n. 144/2022), in questo contesto, ha aggiunto alle sanzioni civilistiche un altro tipo di sanzione che prevede un obbligo di restituzione delle sovvenzioni e dei contributi, sussidi, ausili finanziari o vantaggi economici, a carico della finanza pubblica, di cui il datore di lavoro abbia beneficiato per gli stabilimenti produttivi oggetto di cessazioni o riduzioni di attività. Il comma 3, dell'art. 37 del decreto aiuti-ter specifica che le "disposizioni di cui ai commi 1 e 2" si applicano anche alle procedure avviate prima dell'entrata in vigore (il 24 settembre 2022) del Decreto aiuti-ter e non ancora concluse. Disposizione che crea delicatissime questioni di carattere costituzionale e di possibile contrasto con l'ordinamento dell'Unione europea. In particolare, sotto il profilo della violazione del principio del legittimo affidamento. Tema che viene esaminato alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia.
1. La normativa sulle delocalizzazioni. Un cantiere aperto (*)

La delocalizzazione “costituisce (…) un atto di gestione e una tecnica di law shopping volta a decentralizzare la regolamentazione” [1] e rappresenta l'espressione più puntuale del moderno “capitalismo geograficamente mobile” [2].

La materia, nell'ultimo periodo, ha conosciuto tre interventi significativi.

Il primo, di tipo normativo, attiene alla nuova disciplina contenuta nell'articolo 1, commi da 224 a 238 della legge 30 dicembre 2021, n. 234 [3].

Il secondo, di tipo giurisprudenziale, riguarda il decreto del Tribunale del lavoro di Trieste, del 23 settembre 2022, che affronta la delicata questione del rapporto tra gli obblighi informativi contenuti negli accordi collettivi e quelli previsti dalla disciplina legale (l. 30 dicembre 2021, n. 234 e l. 23 luglio 1991, n. 223) [4].

Il terzo, di tipo normativo, attiene alla legge 17 novembre 2022, n. 175 che, all'art, 37, contiene rilevanti modifiche alla disciplina prevista nella legge 30 dicembre 2021, n. 234 [5].

Ma occorre procedere per ordine, ricordando, sia pure in breve, la “storia” di questo “tsunami” normativo che si snoda tra precedenti normativi e interventi giurisprudenziali in tema di licenziamenti collettivi per cessazione dell'attività.

2. I precedenti: tra fallimenti legislativi e interventi giurisprudenziali

La normativa di contrasto alla delocalizzazione è frammentata ed ispirata a finalità eterogenee.

Sul piano europeo [6] si ricordano i vincoli per la concessione di aiuti di Stato a finalità regionale (sottoposte all'obbligo di notifica individuale alla Commissione e a controlli rigorosi) e la normativa che riguarda i programmi co-finanziati dai Fondi SIE, ovvero i fondi strutturali e di investimento europeo disciplinati dal regolamento n. 1060/2021 [7].

Sul piano nazionale, il fenomeno delle delocalizzazioni è stato regolato, in passato, dalla legge l. 27 dicembre 2013, n. 147 che, nei commi 60 e 61 dell'art. 1, prevedeva alcune norme sulla decadenza dei benefici ricevuti dalle imprese che delocalizzano la propria produzione e dal decreto Dignità [8] (d.l. 12 luglio 2018, n. 87, conv., in l. 9 agosto 2018, n. 96, artt. 5 e 6) che prevedeva due limiti alla delocalizzazione: il primo si applicava in relazione agli aiuti di Stato diretti a sostenere “investimenti produttivi” e riguardava le sole delocalizzazioni verso Stati extra–Ue o non aderenti allo spazio economico europeo (SEE); il secondo si applicava in relazione agli aiuti di Stato diretti a sostenere “investimenti produttivi specificamente localizzati” e riguardava ogni trasferimento al di fuori del sito produttivo incentivato [9].

Lo scarso impatto positivo di queste misure per contrastare il fenomeno della delocalizzazione ha sollecitato la presentazione di alcuni disegni di legge quali, ad esempio, il S. 2021 “recante misure per il contrasto alle delocalizzazioni e la salvaguardia dei livelli occupazionali” e il DDL 2206/2021 recante disposizioni “per sostenere i livelli occupazionali e produttivi e per contrastare la pratica della delocalizzazione delle attività produttive” [10] .

Gli annunci di licenziamenti collettivi con cessazioni di attività decisi nel secondo semestre del 2021 (i casi GKN di Firenze [11], Giannotti Ruote di Ceriano Laghetto in Brianza [12] e dello stabilimento della Whirlpool di Napoli [13]) hanno accelerato la previsione di un nuovo modello normativo sulle delocalizzazioni che si è concretizzato nella legge n. 234/2021 [14].

Normativa che è stata, peraltro, modificata dal Decreto aiuti-ter.

3. La legge n. 234/2021. Finalità e ambito di applicazione

La disciplina contenuta nell'art. 1, commi da 224 a 238 della legge 30 dicembre 2021, n. 234 si propone un progetto ambizioso: contrastare le delocalizzazioni delle aziende con misure che “garantiscano la salvaguardia del tessuto occupazionale e produttivo” [15].

Le disposizioni riguardano i datori di lavoro che, nell'anno precedente [16], abbiano occupato con contratto di lavoro subordinato (inclusi gli apprendisti e i dirigenti) “mediamente almeno 250 dipendenti” e che intendano procedere alla chiusura di una sede (“stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo situato nel territorio nazionale [17]) con “cessazione definitiva della relativa attività e con licenziamento di un numero di lavoratori non inferiore a 50”.

Tre considerazioni.

In primo luogo, la disciplina non si applica alle sole delocalizzazioni all'estero [18].

La disposizione, infatti, non si riferisce unicamente alle imprese (anche italiane) che delocalizzano all'estero ma anche a quelle che avendo un organico di almeno 250 dipendenti con presenze di almeno 50 dipendenti presenti nelle unità interessate, le chiudono, “magari prospettando una razionalizzazione dell'attività con un accorpamento in altra sede del territorio nazionale” [19].

In secondo luogo, la procedura si applica non solo alla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa ma anche quando il datore di lavoro decida di chiudere una singola unità produttiva, licenziando 50 o più dipendenti.

In terzo luogo, in ordine alle modalità di calcolo del personale interessato si fa riferimento ad una media di lavoratori in forza con rapporto di lavoro subordinato, compresi i dirigenti e gli apprendisti [20].

Per gli intermittenti [21] trova applicazione l'art. 18 del D.lgs. n. 81/2015 (ove il computo nell'organico dell'impresa va effettuato in proporzione all'orario effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre), mentre resta salva la modalità di calcolo dei lavoratori a tempo parziale (computo pro quota).

Per i lavoratori a tempo determinato si dovrebbe fare riferimento ai chiarimenti forniti dal Ministero del lavoro nella risposta ad interpello n. 30 del 19 novembre 2013, secondo il quale “ai fini della corretta determinazione della base di computo, occorre effettuare la somma di tutti i periodi di rapporto di lavoro a tempo determinato, svolti a favore del datore di lavoro nell'ultimo biennio e successivamente dividere il totale per 24 mesi”.

Sono, infine, esclusi dal campo di applicazione della nuova disciplina i datori di lavoro che si trovino “in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza e che possono accedere alla procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa di cui al decreto legge 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 ottobre 2021, n. 147” [22].

La legge n. 234/2021 è già stata esaminata in altra sede [23].

In questa riflessione, si esaminano le modifiche apportate dal Decreto aiuti-ter, con particolare riferimento al problema delle restituzioni delle sovvenzioni.

4. Le modifiche del Decreto aiuti-ter (d.l. n. 144/2022)

L'articolo 37 del d.l. n. 144/2022, come convertito nella legge 17 novembre 2022, n. 175 reca alcune modifiche alla disciplina dell'art. 1, commi da 224 a 237, della l. n. 234/2021.

La novella, alla lettera a) del comma 1, modifica il termine entro il quale il datore di lavoro è tenuto a dare comunicazione per iscritto dell'intenzione di procedere alla chiusura.

Il comma 227 della l. n. 234/2021 prevedeva che la comunicazione fosse effettuata almeno novanta giorni prima dell'avvio della procedura concernente i licenziamenti collettivi.

La novella eleva tale termine dilatorio a centottanta giorni.

Nel dossier del Senato del 7 ottobre 2022, veniva evidenziato che “l'elevamento del termine viene operato solo nel secondo periodo del comma oggetto di novella e non anche nel primo”; con l'opportunità, quindi, di una revisione formale della disposizione.

Revisione che è stata effettuata in sede di conversione in legge.

Resta fermo che i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo e i licenziamenti collettivi intimati in mancanza della comunicazione o prima dello scadere del termine, ora elevato a centottanta giorni, sono nulli.

Tuttavia, la novella specifica che i licenziamenti intimati dopo la sottoscrizione del piano (previsto dalla disciplina dalla legge n. 234/2021) sono validi anche qualora essi siano effettuati durante il periodo temporale sopra menzionato (novanta giorni [24]).

La novella, alla lettera b) del comma 1, modifica il termine entro il quale il piano deve essere discusso con le rappresentanze sindacali aziendali o la rappresentanza sindacale unitaria, alla presenza delle regioni interessate, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dello sviluppo economico e dell'ANPAL.

La disposizione del comma 231 della l. n. 234/2021, prevedeva che l'esame venisse svolto entro trenta giorni dalla presentazione del piano.

La novella eleva il termine a centoventi giorni.

La norma transitoria del comma 3 della novella specifica che anche qualora, alla data di entrata in vigore del presente D.l. n. 144 (24 settembre 2022), la suddetta comunicazione iniziale sia già stata effettuata, il termine entro il quale il piano deve essere discusso è pari a centoventi giorni (decorrenti dalla presentazione del piano medesimo), anziché al termine previgente di trenta giorni.

La novella, alla lettera c) del comma 1, in primo luogo, modifica gli effetti della mancata sottoscrizione del piano da parte delle organizzazioni sindacali.

Modificando la disciplina del comma 235 della legge n. 234/2021 si prevede che, in tale ipotesi, il datore di lavoro sia tenuto a versare all'INPS il contributo previsto per le cessazioni di rapporti di lavoro [25] “innalzato [26] del 500 per cento”(così, testualmente la disposizione).

Sempre con riferimento all'ipotesi di mancata sottoscrizione da parte delle organizzazioni sindacali, la lettera d) del comma 1 sopprime la previsione secondo cui il datore di lavoro, decorso il suddetto termine dilatorio (elevato ora a centottanta giorni) decorrente dalla comunicazione, possa avviare la procedura relativa ai licenziamenti collettivi senza lo svolgimento, in seno ad essa, della fase di esame congiunto con le rappresentanze sindacali [27].

5. Il problema delle restituzioni delle sovvenzioni

Il Decreto aiuti-ter, nel comma 2 dell'art. 37, aggiunge alle sanzioni civilistiche un altro tipo di sanzione con riferimento ad alcuni esiti delle procedure rientranti nella disciplina in oggetto.

In particolare, per l'ipotesi che, dopo lo svolgimento delle suddette procedure (nel testo della legge n. 175/2022 si legge: “nel caso in cui, all'esito della procedura di cui all'art. 1, commi da 224 a 237, della legge 30 dicembre 2021, n. 234”), il datore di lavoro cessi definitivamente l'attività produttiva o una parte significativa della stessa, anche per effetto di delocalizzazioni, con contestuale riduzione di personale superiore al 40 per cento di quello impiegato mediamente nell'ultimo anno, a livello nazionale o locale ovvero nel reparto oggetto della delocalizzazione o chiusura, si prevede l'obbligo di restituzione delle sovvenzioni e dei contributi, sussidi, ausili finanziari o vantaggi economici, a carico della finanza pubblica, di cui il datore abbia beneficiato per gli stabilimenti produttivi oggetto dei medesimi cessazioni o ridimensionamenti di attività; tale obbligo concerne i benefici rientranti fra quelli oggetto di iscrizione obbligatoria nel Registro nazionale degli aiuti di Stato, percepiti nei dieci anni antecedenti l'avvio delle procedure suddette, e l'importo da restituire è determinato in proporzione alla percentuale di riduzione del personale.

Fino al completo adempimento dell'obbligo di restituzione, al soggetto debitore non possono essere concessi ulteriori sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili.

Il provvedimento delle singole amministrazioni (eroganti i suddetti benefici) che dia atto della sussistenza dei presupposti per la restituzione costituisce titolo per la riscossione coattiva mediante ruolo, ai sensi del D.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.

Le somme riscosse in base a tale obbligo di restituzione sono riversate in apposito capitolo di bilancio e sono destinate in favore di processi di reindustrializzazione o riconversione industriale delle aree interessate dalla cessazione dell'attività.

Il comma 3 specifica che le “disposizioni di cui ai commi 1 e 2” si applicano anche alle procedure avviate prima dell'entrata in vigore (il 24 settembre 2022) del Decreto aiuti-ter e non ancora concluse.

La disposizione, estremamente complessa, può avere un impatto devastante sulle imprese interessate.

Per analizzare la disposizione è bene ricordare il precedente intervento legislativo.

Con il decreto dignità (d.l. n. 80/2018 convertito con modificazioni nella legge n. 96/2018) erano state introdotte tre tipologie di vincoli applicabili alle imprese beneficiarie di aiuti di Stato.

All'art. 5 si stabiliva la decadenza dal beneficio, con conseguente restituzione delle somme eventualmente riscosse, per le imprese che: a) avessero beneficiato di aiuti di stato che prevedevano l'effettuazione di “investimenti produttivi” ai fini dell'attribuzione del beneficio e avessero delocalizzato l'attività economica interessata dal beneficio (o una sua parte) in Stati non appartenenti allo spazio economico europeo; b) avessero beneficiato di aiuti di stato che prevedevano l'effettuazione di “investimenti produttivi specificamente localizzati”, al di fuori dei casi previsti nel comma 1, e avessero delocalizzato l'attività economica interessata dal beneficio (o una sua parte) al di fuori dell'ambito territoriale del sito produttivo di origine.

L'art. 6 era diretto a preservare il mantenimento dei livelli occupazionali in seno ad imprese – operanti sul territorio nazionale – che avessero beneficiato di aiuti di Stato che “prevedono una valutazione di impatto occupazionale”.

L'impresa decadeva interamente dal beneficio qualora avesse ridotto i livelli occupazionali degli addetti all'unità produttiva o all'attività interessata dal beneficio in misura superiore al cinquanta per cento entro cinque anni dalla data di completamento dell'investimento.

In caso di riduzione dei livelli occupazionali in misura superiore al dieci per cento (ma inferiore al cinquanta) il beneficio veniva ridotto in modo proporzionale.

Una lettura, a specchio, della disciplina “vecchia” e “nuova” consente di formulare alcune considerazioni.

In primo luogo, sul raggio di azione delle due, diverse, discipline.

L'impostazione di fondo del decreto dignità era chiaro: “agganciare all'utilizzo di risorse pubbliche nazionali, finanziate dalla fiscalità nazionale, l'impegno imprenditoriale alla permanenza nel territorio per un certo lasso di tempo, con la garanzia, in alcuni casi, del mantenimento di determinati livelli occupazionali” [28].

L'ambito di applicazione del nuovo intervento è, in parte, diverso e, comunque, non strettamente legato alle c.d. “delocalizzazioni”.

Gli elementi costitutivi della fattispecie sono due:

In positivo, la “cessazione definitiva dell'attività produttiva o una parte significativa di essa, anche (e non solo) per effetto di delocalizzazioni, con contestuale riduzione di personale superiore al 40 per cento di quello impiegato mediamente nell'ultimo anno”.

In negativo, che le imprese interessate non versioni “in situazioni di crisi” (come si legge nella rubrica dell'art. 37 del Decreto aiuti-ter).

La ratio della norma è, quindi, quella di ridurre la possibilità di cessazioni di attività (anche parziali) con il mantenimento di determinati livelli occupazionali a prescindere se vi sia, o meno, un fenomeno di delocalizzazione all'estero.

Il comma 2 dell'art. 37 del Decreto aiuti-ter solleva numerosi dubbi interpretativi oltre che questioni di legittimità costituzionale e/o di compatibilità con l'ordinamento dell'Unione europea.

In primo luogo, in ordine ai soggetti coinvolti.

La decadenza dei benefici si applica anche in caso di cessazioni di attività decise da imprese controllate o collegate, ai sensi dell'art. 2359 c.c.?

A favore della risposta positiva si era espressa una parte della dottrina [29] in ordine all'interpretazione del decreto dignità.

In secondo luogo, in ordine agli obblighi di restituzione.

La disposizione parla di: “sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o vantaggi economici a carico della finanza”.

Dizione che, per un verso, sembra ricomprendere anche la cassa integrazione guadagni (che, viceversa, veniva esclusa, da una parte della dottrina [30], dal raggio di azione dell'art. 5 del decreto dignità) e che, sotto altro profilo lascia una totale discrezionalità all'interprete circa la delimitazione del concetto di “vantaggi economici a carico della finanza”.

In terzo luogo, in relazione al periodo temporale nel quale trova applicazione la nuova disciplina.

L'art. 6, comma 3, del decreto dignità faceva salvi i benefici già concessi prima della data di entrata in vigore del decreto (14 luglio 2018).

Il comma 3 dell'art. 37 del decreto aiuti-ter specifica che le “disposizioni di cui ai commi 1 e 2” si applicano anche alle procedure avviate prima dell'entrata in vigore (il 24 settembre 2022) del decreto aiuti-ter e non ancora concluse.

Disposizione che solleva delicate questioni di legittimità costituzionale e di contrasto con l'ordinamento dell'Unione europea.

6. Questioni di legittimità costituzionale e/ o di contrasto con l'ordinamento europeo

Il Decreto aiuti-ter solleva non poche perplessità di natura costituzionale [31] e di possibile contrasto con l'ordinamento dell'Unione europea [32].

L'obbligo di restituzione delle sovvenzioni e dei contributi, sussidi, ausili finanziari o vantaggi economici, a carico della finanza pubblica, di cui il datore abbia beneficiato per gli stabilimenti produttivi oggetto delle cessazioni o ridimensionamenti di attività applicato “anche alle procedure avviate prima dell'entrata in vigore (il 24 settembre 2022) del decreto aiuti-ter e non ancora concluse” [33] solleva non poche perplessità per la possibile violazione del principio di affidamento che rappresenta un principio costituzionale generale non scritto della nostra Carta costituzionale [34].

Il legittimo affidamento costituisce un limite alla discrezionalità del legislatore nell'elaborazione di norme sopravvenute regolatrici in senso peggiorativo.

Limite, certamente, non assoluto (come nel caso della legge penale) ma che deve essere “governato” [35] magari con disposizioni transitorie, per proteggere, quanto più è possibile, quei rapporti giuridici – ancora in itinere – nati nel regime normativo di segno più favorevole.

Il tema richiede un approfondimento.

7. La tutela del legittimo affidamento e il principio di irretroattività

Il principio del legittimo affidamento non è espressamente contemplato nei Trattati dell'Unione Europea.

Il suo riconoscimento come principio cardine del diritto europeo è dovuto all'attività creativa della Corte di Giustizia, la quale, con la sentenza Töpfer del 3 Maggio 1978, ha per la prima volta sancito che: “il principio della tutela dell'affidamento fa parte dell'ordinamento giuridico comunitario” [36].

Il principio del legittimo affidamento, così come non trova riconoscimento esplicito nei Trattati dell'Unione Europea, non lo trova neppure nella Costituzione italiana.

Dottrina e giurisprudenza hanno fatto inizialmente riferimento al principio di buona fede, a sua volta non espressamente menzionato nel dettato costituzionale, ma il quale troverebbe riconoscimento nel principio di solidarietà sociale espresso dall'art. 2 Cost., secondo cui «la Repubblica (…) richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

Successivamente, in seguito all'affermazione dell'affidamento a livello comunitario ed alla sua espansione al diritto pubblico, dottrina e giurisprudenza hanno spostato l'accento sui principi di legalità, di certezza del diritto e di uguaglianza comuni a tutti i moderni Stati di diritto [37].

Nell'ambito della giurisprudenza dell'Unione Europea il legittimo affidamento costituisce un corollario del più ampio principio della certezza del diritto.

In riferimento a quest'ultimo, ritenuto un cardine per ogni moderno Stato di diritto, ne è stata sottolineata la natura “una e trina”.

Secondo questa dottrina [38], il principio della certezza del diritto si comporrebbe infatti di tre sottoprincipi: l'irretroattività degli atti normativi, la tutela del legittimo affidamento e la protezione dei diritti quesiti.

Secondo altra impostazione [39] il principio della certezza del diritto si distingue da quello del legittimo affidamento anche in riferimento all'irretroattività della legge.

Il primo serve a definire la regola, il secondo ne limita l'eccezione.

I tre leading cases che hanno portato alla definizione dell'attuale orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia in materia di irretroattività della legge sono le sentenze Brock, Irca e Racke.

La prima ha fissato la regola generale dell'irretroattività delle leggi, affermando che «il principio della certezza del diritto osta, come norma generale, a che l'efficacia nel tempo di un atto comunitario decorra da una data anteriore alla sua pubblicazione» [40].

La seconda ha introdotto la possibilità di derogare alla regola generale, affermando il principio per cui il diritto comunitario non esclude del tutto la retroattività degli atti normativi [41].

La terza (sentenza Racke) ha limitato l'eccezione introdotta dalla sentenza Irca alla regola generale imponendo il rispetto di due condizioni: una disposizione di legge può essere retroattiva soltanto se ciò è richiesto dallo scopo perseguito dalla norma ed a condizione che sia salvaguardato il legittimo affidamento degli interessati [42].

Nella pronuncia Meiko [43] la Corte di Giustizia è stata chiamata, in particolare, a valutare la legittimità di un regolamento, il quale era intervenuto modificando con efficacia retroattiva le condizioni stabilite da parte di un precedente regolamento per poter beneficiare di alcune agevolazioni previste in favore dei produttori ortofrutticoli. In particolare, il Regolamento n. 1530/78 prevedeva degli aiuti alla produzione in favore dei soggetti che avessero stipulato contratti entro il 31 Luglio 1980, a condizione che una copia del contratto fosse stata trasmessa al competente ufficio nazionale anteriormente alla prima consegna. Successivamente, il Regolamento n. 2546/80 è intervenuto con efficacia retroattiva prevedendo l'erogazione dei benefici soltanto a coloro che avessero trasmesso il contratto entro e non oltre il termine del 31 Luglio 1980.

In questo caso la Corte di Giustizia ha riconosciuto la violazione del principio del legittimo affidamento da parte della Commissione, affermando che: «nel subordinare a posteriori il beneficio dell'aiuto alla trasmissione dei contratti entro e non oltre il 31 Luglio 1980 la Commissione ha trasgredito il principio del legittimo affidamento degli interessati che, tenuto conto delle disposizioni in vigore al momento della conclusione dei contratti, non potevano ragionevolmente presumere di vedersi opporre retroattivamente l'inosservanza di un termine per la notifica dei suddetti contratti la cui scadenza coincide con il termine ultimo della loro stipulazione».

Analogamente: «al fine di rispettare i principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento, le norme sostanziali del diritto dell'Unione devono, in linea di principio, essere interpretate come applicabili solo a situazioni createsi successivamente alla loro entrata in vigore [44]. (…) Pertanto, il principio della certezza del diritto osta, in linea di massima, a che l'efficacia nel tempo di un atto dell'Unione decorra da prima della sua pubblicazione o della sua notifica, a seconda dei casi, posto che la Corte ha statuito che può avvenire diversamente, in via eccezionale, qualora lo esiga uno scopo di interesse generale e sia debitamente rispettato il legittimo affidamento degli interessati (…)» [45]. Dunque, la Corte, pur riconoscendo la generale operatività del principio di irretroattività, ne ammette la deroga in un numero chiuso di casi.

Innanzitutto, essa può aversi ove la norma sopravvenuta «sia accompagnata da disposizioni particolari che determinano specificamente le sue condizioni di applicazione nel tempo» [46].

Inoltre, la soccombenza del legittimo affidamento del privato rispetto alla retroattività è ancorata al requisito della prevedibilità, oggetto di valutazione attraverso il canone prospettico dell'«operatore economico prudente e accorto».

Alla luce di questi principi, appare possibile sostenere che, nella specie, vi è una lesione del principio del legittimo affidamento in quanto l'impresa al momento della emanazione del decreto aiuti-ter non era in grado di prevedere il mutamento della situazione giuridica da cui originava il suo affidamento, tenendo conto, peraltro, che nella disciplina anteriore era stata (opportunamente) prevista una disciplina transitoria [47].

Note

* Roberta Cosio Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto civile - Università Ca' Foscari di Venezia. Roberto Cosio Avvocato Giuslavorista presso il foro di Catania. Il contributo è frutto di una riflessione comune. Tuttavia i paragrafi dal n. 1 al n. 6 sono da attribuire a Roberta Cosio, mentre il n. 7 a Roberto Cosio.

[1] Testualmente, C. BERNARD, Socila dumping and race to the bottom: some lessons for the European Union from Delaware?, in European Legal Roots, 2000, 57 ss.

[2] Cfr. R. DE LUCA TAMAJO, L'accordo di Pomigliano: una storia italiana, in Arg. dir. lav., 2011, 1080.

[3] Sul tema, senza pretesa di completezza, si veda R. ROMEI, La nuova procedura in caso di cessazione di una attività produttiva, in Riv. it. dir. lav., 2022, I, 29 ss; I ALVINO, Cessazione dell'attività dell'impresa e ruolo del sindacato, ivi, I, 469 ss; V. NUZZO, Delocalizzazioni e chiusura di stabilimenti: i nuovi limiti all'iniziativa economica privata tra scelte legislative e prospettive possibili, ivi, I, 57 ss; R. COSIO e R. COSIO, Le delocalizzazioni nel mercato globale, Mass. Giur. lav., n. 2/2022, 291 ss.

[4] Sul Decreto di Trieste si veda V.A. POSO, Arriverà davvero la quiete dopo la tempesta perfetta di Trieste? Wartsila Italia ha dato esecuzione al decreto ex art. 28, stat. lav., pronunciato dal Tribunale, rinunciando alla sua impugnazione; ha revocato la comunicazione di avvio del procedimento di chiusura del sito aziendale prevista dall'art. 1, comma 224 e ss, l. 30 dicembre 2021, n. 234; ed ha ripreso l'attività produttiva, in www.rivistalabor.it, 12 aprile 2023.

[5] D. MEZZACAPO, I licenziamenti “per delocalizzazione” dopo il c.d. decreto aiuti ter, in Riv. it. dir. lav., 2022, I, 495 ss.

[6] Cfr. G. ZAMPINI, Delocalizzazioni e tutela della occupazione nel governo multilivello del mercato globale. Problemi e prospettive, in Arg. dir. lav., n.5/2019, 980 ss.

[7] Sul tema si veda R. TONELLI, Delocalizzazione di imprese beneficiarie di aiuti di Stato: problemi e prospettive evolutive di una disciplina inefficace, in LavoroDirittiEuropa, n. 4/2021.

[8] Sul decreto dignità si veda L. TEBANO, Limiti alle delocalizzazioni e modelli di aiuti, in Decreto dignità e Corte costituzionale n. 194 del 2018, a cura di L. FIORILLO- A PERULLI, Torino, 2019, 123 ss.

[9] Sul tema V. BRINO, Delocalizzazioni e misure di contrasto, in Decreto dignità e Corte costituzionale n. 194 del 2018, a cura di L. FIORILLO-A PERULLI, cit., 115. Dello stesso Autore si veda Diritto del lavoro e catene globali del valore, Torino, 2020.

[10] Entrambi commentati da A. PERULLI, Giustizia e ingiustizia della globalizzazione, LavoroDirittiEuropa, n. 4/2021. Si veda anche V. BRINO, Dentro e oltre le delocalizzazioni: prove di responsabilizzazione delle imprese nello scenario globale? In LavoroDirittiEuropa, n. 4/2021.

[11] Trib Firenze 20 settembre 2021. Sul tema si veda A. POSO, In claris fit interpretatio? Le relazioni sindacali “pericolose” alla GKN Driveline di Campi Bisenzio e le conseguenze sulla decisione aziendale di cessare l'attività d'impresa e avviare la procedura dei licenziamenti collettivi, in www.rivistalabor, 27 settembre 2021

[12] Sulla vicenda si veda Trib. di Monza, 12 ottobre 2021, in www.rivistalabor, 3 novembre 2021 e sentenza del Trib. di Monza, resa in sede di opposizione, del 28 gennaio 2022, in www.rivistalabor, 8 aprile 2022, entrambe annotate da M. A. POLLAROLI.

[13] Cfr. Trib. Napoli, 3 novembre 2021, in www.rivistalabor, con nota di M. FALSONE. Si veda, altresì, sul caso Caterpillar, Trib. Ancona, 22 febbraio 2022, in www.rivistalabor, 28 febbraio 2022, con nota di A. POSO. Per un esame, complessivo, del contenzioso richiamato si veda l'intervista di A. POSO a R. DE LUCA TAMAJO, Le relazioni industriali “politicamente corrette” e il conflitto sindacale nella crisi aziendale, tra obblighi di informazione e consultazione preventivi e in corso di procedura, rispetto delle prerogative del sindacato e della libera iniziativa economica, inwww.giustiziainsieme.it, 11 marzo 2022.

[14] Tra i primi commenti della legge n. 234/2021 si veda M. MISCIONE, Il diritto del lavoro omnicomprensivo e la legge di bilancio 2022, in Lav. Giur., n. 2/2022, 113 ss.; R. COSIO, Le misure sulle delocalizzazioni delle aziende nella legge di bilancio del 2022. Prime osservazioni. Il giuslavorista, Focus 13 gennaio 2022. L. TRIA, Tanta fatica ma poco lavoro: dallo Job Study del 1994 alle delocalizzazioni contemporanee, in LavoroDirittiEuropa, n. 1/2022. Per la legislazione francese si veda P. LOKIEC, La loi Florange o il licenziamento come extrema ratio, in LavoroDirittiEuropa, n. 4/2021.

[15] Le misure di protezionismo sono, peraltro, armi a doppio taglio “perché inducono, prima o poi, analoghe ritorsioni da parte degli altri Paesi operanti all'interno dello stesso mercato”; in questi termini G. CAZZOLA, Politically (in) correct – Guerra alle delocalizzazioni? Va vanti tu che a me viene da ridere, in Bollettino Adapt 20 dicembre 2021, n. 45.

[16] Si pone il problema se il dato normativo debba essere inteso come diretto all'anno solare che precede l'avvio della procedura (e quindi una media calcolata sui 365 giorni precedenti l'invio della comunicazione oggetto della disciplina) ovvero l'anno di calendario precedente a quello in cui la procedura è avviata.

[17] La norma prende come riferimento solo il territorio nazionale, indipendentemente dal numero dei dipendenti impiegati dal datore di lavoro all'estero.

[18] In questo senso si veda F. ROTONDI, Norme anti-delocalizzazioni. È solo apparenza? IPSOA quotidiano, 19 marzo 2022.

[19] Cfr. E. MASSI, Delocalizzazioni: procedura e criticità operative, in Dottrina per il lavoro, n. 12/2022, 714 ss.

[20] Così derogando all'art. 47 del D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, a mente del quale “fatte salve le diverse previsioni di legge o di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti dalla legge e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti”.

[21] Cfr. E. MASSI, Delocalizzazioni: procedura e criticità operative, cit., 715.

[22] Sul tema si veda G. CASTANO, Relazioni industriali e contrattazione collettiva nella gestione delle crisi aziendali, in Working Paper Adapt, n. 2/2022.

[23] R. COSIO, Le delocalizzazioni nell'ordinamento complesso, in IUS UE e internazionale (www.iusgiuffrefl.it).

[24] “Ovvero del minor termine entro il quale è sottoscritto il piano di cui al comma 233”. In questo senso il dossier del Senato del 7 ottobre 2022.

[25] La contribuzione in esame è dovuta - oltre che per i licenziamenti, individuali o collettivi - per i casi di dimissioni per giusta causa del dipendente o di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della l. 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Per un quadro generale del contributo in oggetto si veda la circolare dell'INPS n. 137 del 17 settembre 2021.

[26] Nella conversione in legge si utilizza il termine, più corretto, “aumentato”.

[27] Su queste modifiche si veda D. MEZZACAPO, I licenziamenti “per delocalizzazione” dopo il c.d. decreto aiuti ter, cit. 503 ss.

[28] Cfr. G. ZAMPINI, Delocalizzazioni e tutela della occupazione nel governo multilivello del mercato globale, cit., 991.

[29] Cfr. G. ZAMPINI, Delocalizzazioni e tutela della occupazione nel governo multilivello del mercato globale, cit., 994-995.

[30] Cfr. A. TURSI, Delocalizzazioni e occupazione: il lato oscuro del decreto dignità. Facciamo chiarezza, Ipsoa Quotidiano, 15 dicembre 2018.

[31] Sul profilo della “ragionevolezza” della disposizione come osserva D. MEZZACAPO, I licenziamenti “per delocalizzazione” dopo il c.d. decreto aiuti ter, cit., 511.

[32] Per le questioni di possibile contrasto con il diritto dell'Unione europea si veda R. COSIO, Le delocalizzazioni nell'ordinamento complesso, in IUS UE e internazionale (www.iusgiuffrefl.it), cit.

[33] Non è inutile ricordare che la disciplina previgente (art. 6, comma 3, della legge n. 96/2018) faceva salvi, in caso di obbligo di restituzione, i benefici già concessi o banditi prima dell'entrata in vigore del decreto (14 luglio 2018). Sul tema si veda G. ZAMPINI, Delocalizzazioni e tutela della occupazione nel governo multilivello del mercato globale. Problemi e prospettive, cit., 998.

[34] Sul tema si veda F. MERUSI, Buona fede e affidamento nel diritto pubblico. Dagli anni trenta all'alternanza, Milano, 2001.

[35] Cfr. F.F.PAGANO, Il principio di affidamento nella giurisprudenza nazionale e sovranazionale, in Dir. pubbl., n. 2/2014, 583.

[36] CGUE sentenza 3 maggio 1978, C-12/77. Sul tema si veda S. BASTIANON, La tutela del legittimo affidamento nel diritto dell'Unione Europea, Milano, 2012.

[37] R. SESTINI, Legittimo affidamento e certezza giuridica, in www.agatif.org/download/2012-Lione-relSestini.pdf, pp. 2-3.

[38] S. BASTIANON, op. cit., p. 52.

[39] G. TESAURO, Manuale di diritto dell'Unione europea, Napoli, 2020, 160. Sul tema si veda CGUE sentenza 9 ottobre 2014, C-492/13.

[40] CGUE sentenza 14 aprile 1970, C-68/69.

[41] CGUE sentenza 7 luglio 1976, C-7/76.

[42] CGUE sentenza 25 gennaio 1979, C-98/78.

[43] CGUE sentenza 14 luglio 1983, C-224/82.

[44] CGUE sentenza 24 settembre 2002, cause riunite C_74/00 P e C-75/00 P, punto 119.

[45] CGUE sentenza 28 novembre 2006, C-413/04, punto 75.

[46] CGUE sentenza 25 febbraio 2021, C-129/20.

[47] Sull'opportunità della predisposizione di una normativa transitoria si veda CGUE sentenza 30 aprile 2020, C-184/19.

V. anche sul tema: Roberto Cosio, Le misure sulle delocalizzazioni delle aziende nella legge di bilancio del 2022. Prime osservazioni.

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