Danno permanente futuro, criteri di accertamento e quantificazione: anticipata capitalizzazione o rendita?
21 Aprile 2023
Riguardo la prima parte del quesito, laddove si riferisce di un “immediato esborso di € 10.000 per un primo intervento ricostruttivo”, va premesso che la formulazione del quesito non consente di comprendere se tale spesa sia stata già sostenuta al momento dell'instaurazione del giudizio o se essa debba essere ancora sostenuta in un futuro prossimo successivo alla liquidazione giudiziale.
Nella prima ipotesi (laddove tale spesa sia stata già sostenuta) non v'è alcun dubbio che, trattandosi di danno emergente passato per esborsi riconducibili all'illecito, essa andrà liquidata non al valore nominale di € 10.000, ma applicando a tale somma: (I) gli interessi legali, ovvero il danno da ritardo e, cioè, il lucro cessante, per il ritardato pagamento delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno, sotto forma di interessi legali su tutte le somme liquidate e da liquidarsi via via rivalutate anno per anno dall'evento alla data di deposito della sentenza, se definitiva; (II) gli interessi legali sulla somma capitale rivalutata - dalla data di deposito della sentenza, se definitiva, sino all'effettivo soddisfo.
Nella seconda ipotesi (laddove tale spesa non sia stata ancora sostenuta) non v'è alcun dubbio che, trattandosi di danno emergente futuro ma anche “immediato” (cioè di un danno “che si sta già producendo nel momento della liquidazione” e che continuerà “a prodursi in futuro”, come definito da Cass. n. 31235/2018), ad esso dovrà conseguire una liquidazione risarcitoria senza applicazione di alcun coefficiente di riduzione. In tale ipotesi, pertanto, la liquidazione dovrà avvenire secondo il valore nominale della relativa spesa, cui andranno applicate le seguenti voci accessorie: (-) l'I.V.A., se fiscalmente dovuta (qualora non sia già compresa nella quantificazione di € 10.000) all'aliquota vigente del 22%, ottenendo così un danno risarcibile, in capitale, pari ad € 12.200,00. Alcun dubbio residua circa la necessità che il risarcimento vada determinato includendovi tale imposta, essendo questo un costo che grava pur sempre sul danneggiato e tenuto conto che, come di recente affermato dalla S.C., “In tema di IVA, le prestazioni mediche e paramediche di chirurgia estetica si distinguono dalle prestazioni a contenuto meramente cosmetico e sono esenti di imposta, ex art. 10, n. 18, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei limiti in cui sono finalizzate a trattare o curare persone che, a seguito di una malattia, di un trauma o di un handicap fisico congenito, subiscono disagi psico-fisici e, dunque, sono rivolte alla tutela della salute, gravando sul contribuente l'onere di provare la sussistenza dei suddetti requisiti soggettivi e oggettivi” (Cass. Civ. Sez. VI - 5, Ordinanza n. 27947 del 13 ottobre 2021). Pertanto, qualora il caso di specie difetti della prova in relazione a significativi disagi psichici, non è configurabile alcuna esenzione dal pagamento dell'imposta. (-) la rivalutazione monetaria, in quanto l'indicato importo, essendo espresso in valori monetari risalenti ad un momento certamente precedente alla liquidazione risarcitoria (ad esempio qualora venga stimato tramite un preventivo prodotto dalla parte o secondo l'apprezzamento del C.T.U.), costituendo pur sempre oggetto di un'obbligazione di valore - e tenendo conto che di norma il potere d'acquisto del denaro si svaluta con il decorso degli anni - deve essere sicuramente rivalutato all'attualità, al momento della liquidazione, secondo gli indici di rivalutazione ISTAT più aggiornati. (-) gli interessi legali compensativi a titolo di danno da ritardo.
Più complesso risulta il discorso relativamente alla seconda parte del quesito, avente ad oggetto il danno emergente futuro relativo ai futuri esborsi periodici e “permanenti” dovuti per far fronte ai periodici interventi chirurgici futuri da praticare lungo tutto il decorso della vita residua e finalizzati al periodico rinnovo dell'apparato odontoiatrico. Su tale voci di danno emergente futuro si concentrerà la seguente parte di risposta al quesito.
Accertamento del danno futuro
Sebbene il danno emergente costituisca, per tradizione giuridica ormai consolidata, una delle due dimensioni fondamentali del danno patrimoniale, va premesso che appare errata qualsiasi visione dogmatica che pretenda di far coincidere in maniera “simmetrica” e “parallela” la natura del danno (patrimoniale/non patrimoniale) con la natura dell'interesse concretamente leso dall'illecito: infatti, la lesione di un interesse non patrimoniale ben può avere ripercussioni dannose di tipo patrimoniale, e viceversa.
È notorio che il danno futuro si configura come un danno che, all'atto della liquidazione, non si è ancora verificato. Va premesso che, in merito al suo accertamento - e, dunque, alla sua risarcibilità - la Suprema Corte nega alla vittima il diritto a vedersi risarcite le spese sanitarie future ove non se ne dimostri la ragionevole e fondata prevedibilità (cfr. Cass. civ. 23 gennaio 2006, n. 1215; Cass. civ. 23 gennaio 2002, n. 752; Cass. civ. 20 gennaio 1987, n. 495).
Va altresì premesso che, rifacendosi ad una risalente ma mai decaduta pronuncia della S.C. (cfr. Sez. I, n. 1266, 17 aprile 1958, Rv. 882361): (-) è risarcibile quel danno che, radicandosi in una causa presente, abbia ripercussioni nel futuro; (-) non è risarcibile quel danno che, pur allacciandosi ad una causa attuale, per estrinsecarsi, abbia bisogno di un'altra causa la quale, come potrebbe sorgere nel futuro, così potrebbe anche mancare.
Sulla base di tali premesse, la pur eterogenea giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di accertamento del danno futuro ha fatto comunque emergere, in via prevalente, due filoni omogenei.
In casi del genere, quando tale proiezione futura del danno emerga dagli elementi istruttori – e, cioè, secondo il criterio probabilistico - il danno-conseguenza futuro non è condizionato da successive scelte soggettive (in quanto lo stato patologico del danneggiato è destinato, secondo il criterio probabilistico, a divenire via via più severo e ciò dimostra la proiezione futura del danno). Quindi, in tali ipotesi, il configurarsi del danno futuro può dirsi sufficientemente certo (rectius: altamente probabile) e non dipendente da successive determinazioni volitive (cioè non dipende da successive cause estrinsecanti).
L'esempio tipico che ricorre in tale ipotesi è quello della perdita di chance: la concreta probabilità di conseguire un risultato/bene futuro di cui si lamenta il perduto raggiungimento (pregiudizio derivante, ab initio, dalla causa lesiva/causa prima), in caso di positivo accertamento, secondo le emergenze istruttorie, costituirà evento dannoso altamente probabile, proiettato nel futuro, sulla base della regola probabilistica, dunque non necessitevole di ulteriori cause “estrinsecanti” (cioè non dipendente da future ed eventuali determinazioni volitive-soggettive del danneggiato).
Perché il danno futuro sia risarcibile, però, non basta una generica ed ipotetica eventualità, ma occorre la “certezza civilistica” (equiparata, come noto, ad un elevato grado di probabilità) dell'insorgenza di un danno futuro che, per quanto non ancora verificatosi in tutto o in parte, trovi ragionevole fondamento in una lesione già avvenuta, da ricercare in quei fatti “obiettivi” che si ricolleghino direttamente al fatto illecito e rappresentino una causa-efficiente già in atto (cfr. Cass. civ., sez. II, sent. 15 dicembre 2021, n. 40120).
Nel caso di specie, avuto riguardo all'età, ancora relativamente giovane della danneggiata menzionata nel quesito (22 anni), una volta accertata la causa-efficiente già in atto tra illecito e danno, è ragionevole ritenere che ella debba in futuro sottoporsi ai periodici interventi ricostruttivi-riparatori.
Criteri di liquidazione del danno futuro
Il risarcimento del danno, come noto, deve essere integrale e, cioè, deve comprendere tanto la perdita subita quanto il mancato guadagno (art. 1223 c.c.). È principio consolidato, in tema di danno futuro, che “Il danno permanente futuro, consistente nella necessità di dovere sostenere una spesa periodica vita natural durante, non può essere liquidato semplicemente moltiplicando la spesa annua per il numero di anni di vita stimata della vittima, ma va liquidato o in forma di rendita; oppure moltiplicando il danno annuo per il numero di anni per cui verrà sopportato, e quindi abbattendo il risultato in base ad coefficiente di anticipazione; od infine attraverso il metodo della capitalizzazione, consistente nel moltiplicare il danno annuo per un coefficiente di capitalizzazione delle rendite vitalizie” (Cass., sez. III, 20 aprile 2016, n.7774).
I criteri dettati dalla S.C. sono dunque tre: la rendita periodica, l'attualizzazione con applicazione del saggio di sconto, l'attualizzazione con applicazione del coefficiente di anticipata capitalizzazione.
Criteri di attualizzazione
Distogliendo momentaneamente l'attenzione dalla liquidazione in forma di rendita (la quale verrà esaminata nel successivo paragrafo), v'è da dire che, con riguardo ai due metodi di attualizzazione della liquidazione del danno futuro su citati, sorge la necessità di individuare un criterio che riequilibri le posizioni di entrambe le parti. Infatti, è indubbio che, condannando il debitore a pagare anticipatamente una somma per un danno che non si è ancora verificato (e che, di conseguenza, la vittima non ha ancora integralmente patito), si arrechi un maggior pregiudizio al debitore ed un ingiustificato vantaggio per il creditore. Al fine di comprendere la necessità di apportare un correttivo alla liquidazione attualizzata di un danno patrimoniale che, pur connesso alla causa-efficiente già in atto, si manifesterà nella sua interezza in futuro, occorre fare un'ulteriore premessa: possedere in futuro, invece che nel momento presente, una somma di danaro, ha un costo; tale costo è uguale all'utile (rendimento) che si sarebbe ottenuto investendo tale somma se percepita in un momento antecedente. Tale rendimento è definito tasso di attualizzazione o di sconto.
Come accennato, la Suprema Corte (cfr. Cass., 20 aprile 2016, n.7774), al fine riequilibrare la situazione tra debitore e creditore in conseguenza dello scarto temporale tra il futuro verificarsi del danno e la sua liquidazione “attualizzata”, ha previsto - allorché non si opti per la liquidazione sotto forma di rendita - la possibilità di far ricorso a due criteri di attualizzazione: (-) il primo è quello di sommare tutti i danni che la vittima patirà tra i due momenti - quello della liquidazione e quello del futuro verificarsi del danno - e moltiplicare il risultato per un saggio di sconto in considerazione dell'anticipato pagamento; (-) il secondo è quello di moltiplicare il danno annuo patito dalla vittima dal momento della liquidazione per un coefficiente numerico che tenga già conto del montante di anticipazione. Questo “numero” è detto coefficiente di capitalizzazione.
Se si sceglie il primo criterio su enunciato, il risultato ottenuto dovrà essere ridotto attraverso lo sconto matematico o commerciale (pari al “compenso” spettante a chi paga un debito prima della scadenza), ovvero “moltiplicando il capitale per il saggio di sconto, e dividendo il prodotto per il tempo di anticipazione, espresso in dodicesimi” (Cass. 4 dicembre 2018 n. 31235). Il tasso di sconto matematico o commerciale si esprime in percentuale in riferimento all'anno o agli anni di anticipo del pagamento. È ius receptum, infatti, che “Per tenere conto dell'anticipato pagamento si deve ricorrere alla formula dello sconto matematico, che è pari al rapporto tra il prodotto del capitale per il saggio d'interesse (ndr, attualmente pari al 5%), atteso o previsto, e il tempo di anticipazione” (Cass. 2 luglio 2019 n. 17735).
Se si sceglie il secondo criterio su enunciato (capitalizzazione), invece, “non vi è bisogno né di sconto, né di riduzioni di sorta, perché qualsiasi coefficiente di capitalizzazione, restituendo il valore attuale di una rendita pagabile per “n” anni, ingloba in sé il calcolo dello sconto” (Cass. 4 dicembre 2018 n. 31235).
Su tale ultimo aspetto urge tuttavia una precisazione. È pur vero che il giudice di merito, nella determinazione del danno, è libero di utilizzare, nel suo più ampio potere discrezionale, il coefficiente di capitalizzazione che ritiene giusto, ma nel farlo: (-) da un lato non può impiegare i coefficienti allegati al R.D. 9 ottobre 1922 n. 1403, i quali, essendo fondati su dati risalenti al 1911, forniscono criteri di valutazione non più attendibili e razionali; (-) dall'altro deve certamente tener conto dell'effettivo atteso di vita desumibile dagli studi statistici. È ius receptum, infatti, che “il giudice di merito resta libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili, purché aggiornati e scientificamente corretti. Potranno a tal fine essere adottati i coefficienti di capitalizzazione approvati con provvedimenti normativi vigenti per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali, come pure i coefficienti elaborati dalla dottrina per la specifica materia del risarcimento del danno aquiliano […] Il danno permanente da incapacità di guadagno non può essere liquidato in base ai coefficienti di capitalizzazione approvati con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403, i quali a causa dell'innalzamento della durata media della vita e dell'abbassamento dei saggi di interesse non garantiscono l'integrale ristoro del danno, e non sono perciò consentiti dalla regola di integrante del risarcimento di cui all'art. 1223 c.c.” (Cass. 14 ottobre 15 n. 20615; conf. Cass. 28 aprile 17 n. 10499; Cass. 30 luglio 15 n. 16197).
Ai fini dell'anticipata capitalizzazione del danno patrimoniale futuro, la Suprema Corte ha infatti più volte ribadito che non è possibile far riferimento ai coefficienti approvati con R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403 calcolati sulla base delle tavole di mortalità ricavate dal censimento della popolazione italiana del 1911 e che presuppongono una produttività del denaro al saggio del 4,5%. I suddetti coefficienti, pertanto, non consentono l'integrale ristoro del danno prescritto dall'art. 1223 c.c., e la loro adozione non è dunque consentita nemmeno in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. per quattro ragioni:
Pertanto, liquidare il danno permanente in base ad un coefficiente calcolato su una speranza di vita inferiore di oltre un terzo a quella reale non può dirsi in alcun modo un risarcimento “integrale” ai sensi dell'art. 1223 c.c.
Il saggio del 4,5%, al quale sono calcolati i coefficienti di cui ai R.D. n. 1403 del 1922, non è più corrispondente alla realtà, in un'epoca in cui il tasso legale degli interessi è <0,5% e gli investimenti in titoli a reddito fisso raramente garantiscono rendimenti superiori al 2%. Pertanto l'adozione dei coefficienti di cui al R.D. n. 1403 del 1922 ha l'effetto di decurtare dal risarcimento un importo superiore a quello che, per effetto dell'anticipato pagamento, il danneggiato potrebbe ottenere attraverso l'impiego proficuo di quella somma: anche sotto tale profilo, pertanto, i coefficienti in esame non soddisfano la regola di integralità di cui all'art. 1223 c.c.
Ne consegue che il giudice di merito è libero di adottare i coefficienti di capitalizzazione che ritiene preferibili a condizione, però, che si avvalga di coefficienti aggiornati e scientificamente corretti.
Questi sopra enunciati sono, pertanto, i criteri di liquidazione all'attualità del danno patrimoniale futuro individuati dalla Suprema Corte la quale ha, altresì, precisato che “se il danno per spese mediche e di assistenza era già in fase di produzione al momento della liquidazione, e dunque non v'era alcuno iato temporale tra tale momento, e quello in cui il danno avrebbe iniziato a prodursi, non si applica alcun coefficiente di riduzione” (Cass. 4 dicembre 2018 n. 31235).
Liquidazione in forma di rendita: un tertium genus
L'art. 2057 c.c. - di recente oggetto di una assai discussa pronuncia in cui tale forma di liquidazione è stata definita “opzione risarcitoria privilegiata” anche per i danni non patrimoniali da macrolesioni (Cass. n. 31574/2022) - esprime il concetto per cui se il pregiudizio è continuativo, parimenti il risarcimento può a sua volta “protrarsi” nel tempo tramite l'attribuzione di una rendita (pur suffragata da “opportune cautele” poste a tutela della posizione del danneggiato).
Va premesso che, in relazione al caso oggetto del quesito in commento, non risulta preferibile tale metodo di liquidazione in quanto, come recentemente osservato al paragrafo 5.3.17. di Cass. n. 31574/2022, “La liquidazione in forma di rendita non sarà, viceversa, in alcun modo opportuna nel caso in cui le lesioni siano di lieve o media entità, in quanto il relativo gettito sarebbe così esiguo da non arrecare alcuna sostanziale utilità al danneggiato”.
In ogni caso, in termini astratti, tale opzione risarcitoria deve comunque necessariamente avere un valore finanziariamente equivalente al capitale da cui è stata ricavata per l'intera durata della vita prevedibile del danneggiato-creditore che si trova a patire il danno per un periodo continuativo. La somma capitale del danno emergente futuro (nel caso in esame: € 16.400) andrebbe in tal caso divisa per un coefficiente, anche in questo caso oggetto di valutazione discrezionale del giudice, purché esso rispetti i parametri dettati dalla S.C. (coefficiente che deve risultare, secondo Cass. 31574/2022), “a) scientificamente fondato; b) aggiornato; c) corrispondente all'età della vittima alla data dell'infortunio; d) progressivo, cioè variabile in funzione (almeno) di anno, se non di frazione di anno”). Dividendo il capitale per tale coefficiente si otterrebbe così il rateo annuo, che andrebbe ulteriormente diviso per dodici, se si volesse liquidare una somma mensile invece che annuale.
Ulteriore precisazione, sempre mutuata dalla citata Cass. n. 31574/2022, è che risultano inapplicabili: (-) il coefficiente di cui all'art. 46, lettera (c), d.p.r. n. 131/1986, dettato per la determinazione della base imponibile dell'imposta di registro dovuta per gli atti di costituzione di rendite vitalizie, in quanto presenta una progressione che non corrisponde al principio di integralità ed indifferenza del risarcimento dettato dall'art. 1223 c.c. (esso, infatti, risulta non variabile per le persone di età compresa tra 0 e 20 anni, di talché la sua applicazione nella liquidazione del risarcimento per danno da invalidità permanente comporterebbe, iniquamente, lo stesso risarcimento per un neonato e per un ventenne, in violazione dell'art. 1223 c.c.); (-) il coefficiente di cui alle tabelle INAIL per gli infortuni mortali sul lavoro allegate al D.M. 1° aprile 2008 e ss.mm., poiché tali tabelle prevedono coefficienti diversi a seconda del grado di invalidità permanente e, nello specifico, essi sono inversamente proporzionali al grado di I.P., sulla base del (generico ed errato) presupposto che più alta è l'invalidità, minore è la speranza di vita.
Va infine puntualizzato che l'eventuale minore aspettativa di vita conseguente all'illecito non potrebbe giammai influenzare la determinazione del coefficiente per il calcolo della rendita vitalizia ex art. 2057 c.c. (come chiaramente statuito da Cass. n. 31574/2022).
La S.C. ha inoltre offerto un “utile riferimento paranormativo”, che può essere lo stesso indicato per la liquidazione del danno da incapacità lavorativa diffuso dal Consiglio Superiore della Magistratura (cfr. Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, in Quaderni del CSM, 1990, n. 41, pp. 127 e ss).
Casistica frequente ed osservazioni
Ipotesi frequente nella casistica di merito è quella ove venga negato il risarcimento del danno emergente futuro per i necessari interventi chirurgici riparativi, ricostruttivi e/o di revisione degli inestetismi dovuti, ad esempio, ad avulsione dentaria, esiti cicatriziali deturpanti, asimmetrie anatomiche, ecc. In tali casistiche sono spesso i C.T.U. ad escludere, talvolta con mere formule di stile e non con “vere” motivazioni calate sulle specificità del caso concreto, che non vi possa essere in prosieguo, per il danneggiato, necessità di ulteriori cure e/o trattamenti di cura, per cui non ricorrono gli estremi per dover riconoscere un futuro danno emergente.
In tali casi, così come nel caso posto dal quesito in esame, non viene sovente considerato che la spesa futura, di cui il danneggiato invoca il ristoro attualizzato, non attiene ad una generica “cura” o ad un trattamento “riabilitativo” o “cosmetico” fisiologicamente connesso al pregiudizio biologico subìto, quanto piuttosto ad un intervento di chirurgia ricostruttiva, necessario per ridimensionare (nei limiti del possibile), le conseguenze pregiudizievoli del danno originariamente causato dall'illecito. Ne consegue che spesso il parere contrario espresso dal C.T.U. circa la valutazione degli esborsi futuri per tali tipologie di chirurgia ricostruttiva-riparativa non si riveli ostativo al riconoscimento della risarcibilità degli stessi.
Né, del resto, varrebbe obiettare che il danneggiato non abbia ancora, al momento dell'instaurazione del giudizio e/o della liquidazione risarcitoria, provveduto già a sostenere la spesa. Infatti, al riguardo, la Cassazione ha, in fattispecie analoga, affermato che “in caso di lesioni personali con postumi permanenti costituiti da esiti cicatriziali eliminabili solo con un nuovo intervento, non incide sul diritto all'attribuzione dei relativi costi, quali spese mediche future, la circostanza che, a notevole distanza di tempo dal verificarsi dell'evento, l'infortunato non abbia ancora affrontato il nuovo intervento” e che “gli incerti esiti e la difficoltà dell'intervento sono elementi che, lungi dall'elidere il diritto al ristoro del danno emergente costituito dalle spese mediche non ancora sostenute, possono semmai incidere, in una valutazione a carattere necessariamente equitativo, sulla quantificazione della relativa posta, che andrà liquidata tenendo conto dei prezzi normalmente praticati da centri altamente specializzati” (cfr. Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 10616/2012).
|