E' contraria a buona fede l’instaurazione di plurime procedure esecutive per il recupero di un credito di modesto valore
27 Aprile 2023
Massima
Il creditore munito di più titoli esecutivi nei confronti del medesimo debitore non tiene una condotta conforme a correttezza e buona fede se, senza alcun vantaggio o interesse, effettua tanti pignoramenti del medesimo credito, quanti sono i titoli di cui dispone. In tal caso correttamente il giudice dell'esecuzione, riuniti i procedimenti, liquida al creditore procedente le sole spese ed i soli compensi professionali corrispondenti a quelli strettamente necessari per la notifica d'un solo precetto e d'un solo pignoramento, di valore pari alla somma dei titoli esecutivi separatamente azionati. Il caso
Un creditore, munito di sette diversi titoli giudiziali notificava all'amministrazione comunale sette precetti e, successivamente, sette pignoramenti presso terzi per una somma complessiva pari ad € 3.177,74. Il giudice dell'esecuzione, alla luce dell'entità dell'importo del credito complessivamente vantato, non ritenendo idonea la scelta di avviare plurime procedure esecutive avverso lo stesso soggetto debitore, decideva,con ordinanza, di riunire i sette pignoramenti, riconoscendo all'importo di € 3.177,74, anche la somma di € 669,56 a titolo di rimborso delle spese della procedura esecutiva, nonché l'importo di € 625,44 a titolo di onorari per la procedura esecutiva. Avverso tale decisione, il creditore proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c. lamentando la mancata liquidazione delle spese successive all'ordinanza di assegnazione e la sottostima dei compensi professionali. Il Tribunale di Roma rigettava l'opposizione e condannava l'opponente alle spese ed al pagamento d'una ulteriore somma ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. per aver azionato sette diverse esecuzioni per crediti di modesto valore nei confronti del medesimo debitore. Avverso la decisione veniva però proposto ricorso per cassazione, ritenendo corretta la decisione di avviare, per il recupero del credito, plurime procedure esecutive nei confronti dello stesso debitore. La questione
Viene così sottoposta al Supremo Collegio la questione relativa alla scelta, da parte del creditore, di avviare plurime procedure esecutive in danno dell'unico debitore, al fine di recuperare il credito vantato di modesto valore, con l'intento di vedersi liquidate spese di lite maggiorate. Le soluzioni giuridiche
La Cassazione rigetta il ricorso. Per il S.C., il creditore non poteva pretendere la liquidazione di sette diversi compensi professionali perché costituisce abuso del processo introdurre sette diverse procedure esecutive pignorando il medesimo credito. L'organo nomofilattico ha ritenuto che nel caso di specie le sette procedure esecutive introdotte dal creditore procedente dovessero essere considerate come una sola esecuzione ai fini della liquidazione delle spese di lite, in quanto il creditore procedente aveva introdotto sette diversi pignoramenti pur vantando un credito (totale) di modesta entità, ragion per cui era evidente che il ricorrente avesse proposto plurime procedure esecutive al solo fine di ottenere un maggiore compenso. Le sette esecuzioni, inoltre, erano state introdotte contestualmente, come si desume dai rispettivi numeri di ruolo. Pertanto, per il S.C., le sette procedure si devono considerare una sola, ai fini delle spese; considerarle, al contrario, quali distinte procedure esecutive quanti erano i titoli esecutivi di cui il creditore disponeva nei confronti del medesimo debitore significa integrare una condotta colposa (e anche disciplinarmente rilevante, come già ritenuto dall'orientamento consolidato della giurisprudenza – Cass., sez. un., 28 ottobre 2015, n. 21948). Per la Cassazione, infine, non sussiste il vizio di violazione dei parametri minimi previsti dal D.M. n. 55/2014, avendo il giudice dell'esecuzione accordato al creditore un compenso superiore a quello minimo previsto per legge. Osservazioni
Il principio di autoresponsabilità applicato alla materia delle spese processuali ha per corollario l'irripetibilità delle spese sostenute senza vantaggio alcuno per il creditore. Nel caso di specie, nelle sette procedure esecutive, medesimo era il creditore procedente, medesimo era il debitore, medesimo era il terzo pignorato, medesimo era il credito pignorato. Nulla, dunque, avrebbe impedito al creditore di procedere esecutivamente uno actu.La scelta di eseguire sette diversi pignoramenti presso terzi, pressoché contestuali ed in danno dello stesso debitore costituisce quindi una condotta capace di aggravare inutilmente la posizione di quest'ultimo, senza in nulla giovare al creditore, determinando un vero e proprio abuso giudiziale. A tal uopo, si ricorda la storica decisione della Cassazione (Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726) a mente della quale «non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto della obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto … con il principio di correttezza e buona fede … traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale». Da ciò si ricava che, evidentemente, il frazionamento è ammissibile, se vi è un interesse meritevole di tutela. Nella sentenza in commento, al contrario, la frammentazione del credito (di modesta entità) non rispondeva ad alcuna apprezzabile esigenza del creditore, ma si configurava come un mero espediente processuale per ottenere, attraverso il frazionamento della pretesa in più azioni esecutive e la mancata opposizione a taluno di esse (mancata opposizione ipoteticamente collegabile ad una molteplicità di ragioni ed anche a valutazioni di opportunità, dovute al modesto importo dell'ingiunzione), un giudicato di cui avvalersi in sede di una eventuale successiva opposizione all'esecuzione. La parcellizzazione della domanda di adempimento si risolve dunque in una forma di abuso del diritto. Nell'orientamento giuridico italiano, invero, non esiste una norma che ammetta in via generalizzata la figura dello abuso del diritto, che, pertanto, sarebbe nei soli casi tassativamente previsti dalla legge. Tuttavia, in questo caso il divieto di abusare degli strumenti processuali si desume non dal codice civile, ma direttamente dalla Costituzione. L'art. 111 Cost. prevede, infatti, che il processo, anche quello civile, si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge ed un processo non può essere giusto laddove vi sia stato l'abuso di uno strumento processuale. Ulteriore principio che sancisce l'irripetibilità delle spese, come nel caso esaminato, è determinato dall'intervenuta costituzionalizzazione della buona fede, riconducibile ai doveri inderogabili di solidarietà sociale ex art. 2 Cost., i quali integrano e conformano il rapporto obbligatorio, ma giungono a divenire strumento di sindacato dell'equilibrio dei contrapposti interessi dedotti nello strumento negoziale. Pertanto, il frazionamento della domanda di adempimento viola la buona fede. La buona fede impone alle parti pertanto di modellare il loro comportamento alle regole di lealtà, onestà e correttezza così da attivare una condotta che, non determinando un apprezzabile sacrificio personale, assicuri comunque al contraente di poter adempiere correttamente alla propria obbligazione sia in sede sostanziale che processuale. Riferimenti
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