Il Comune, come qualunque altro Ente impositore, non può integrare in giudizio la motivazione posta alla base della ripresa fiscale
02 Maggio 2023
Il caso. Una società riceveva dal Comune avvisi di accertamento emessi, per gli anni d'imposta dal 2014 al 2016, a titolo di omesso versamento dell'imposta IMU in relazione ad alcune unità immobiliari site in Milano. La contribuente aveva regolarmente presentato nel 2013 tramite Pec un'apposita dichiarazione al fine di godere del relativo regime di esenzione previsto per i cd. «beni merce» (art. 2 del d.l. 102/2013). Per rientrare in tale regime di favore occorre:
Nel caso di specie, erano tutti requisiti/adempimenti che la società aveva rispettato anche nel compilare la propria dichiarazione dei redditi. Il Comune, senza considerare che gli immobili in questione godevano del regime di esenzione dall'IMU per effetto della dichiarazione presentata dalla contribuente e senza menzionare le ragioni per cui tale esenzione andasse disapplicata, procedeva con l'emissione degli impugnati avvisi sulla base dell'omesso versamento. Il contribuente, per la prima volta, solo in occasione della costituzione in giudizio del Comune, era venuto a conoscenza delle effettive ragioni sottostanti la pretesa tributaria accertata negli atti impositivi impugnati apprendendo come la contestazione circa l'omesso versamento dell'IMU non conseguisse all'omesso riscontro della dichiarazione regolarmente presentata, bensì al disconoscimento del suo contenuto con riferimento alla insussistenza dei presupposti oggettivi (tipologia degli interventi di ristrutturazione effettuati) richiesti per l'applicabilità dell'esenzione IMU agli “immobili merce”.
L'accoglimento delle ragioni del contribuente. I giudici tributari hanno osservato come in considerazione del tempestivo adempimento da parte del contribuente dell'onere dichiarativo, gli immobili di sua proprietà si dovevano ritenere esenti dall'IMU in quanto “immobili merce”, ai sensi del comma 2 del d.l. 102/2013, fermo restando il potere di controllo di tale dichiarazione da parte del Comune che avrebbe potuto disconoscere l'agevolazione fiscale a fronte dell'accertata falsità o inesattezza dell'attestazione di possesso dei requisiti richiesti dalla norma per l'applicazione dell'esenzione dall'IMU. A tal proposito, la Corte ha ricordato come le modalità di esercizio di tale potere dell'Ufficio sono disciplinate dall'art. 1 della l. 206/2006, il cui comma 161, stabilisce che: “Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all'accertamento d'ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d'ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie…”. «Il tenore letterale della norma, hanno sottolineato gli interpreti, non lascia dubbi sull'alternatività, sulla non sovrapponibilità, né sull'equipollenza delle due distinte fattispecie accertative, pur se azionabili con la medesima tipologia di atto impositivo: l'infedeltà dichiarativa ovvero l'omesso, parziale o ritardato versamento del tributo. Disconoscere o comunque contestare la sussistenza dei presupposti necessari per usufruire di un'agevolazione fiscale, cui il contribuente ha acceduto ottemperando a specifico onere dichiarativo previsto dalla legge, implica lo svolgimento di un'attività amministrativa di accertamento dell'infedeltà dichiarativa commessa dal contribuente (che nel caso di specie non vi era stata), che deve essere motivata in relazione ai presupposti di fatto e di diritto che l'hanno determinata, ben diversi da quelli che possono dare origine alla differente attività volta all'accertamento di un omesso o carente versamento di imposta».
I giudici ambrosiani hanno ricordato, sul punto, l'insegnamento di legittimità secondo il quale i motivi presenti nell'atto impositivo delimitano il perimetro del giudizio, essendo tale limite stato tracciato dalla parte attrice in senso sostanziale (l'Ente impositore) con la motivazione scritta nell'avviso di accertamento (inter alias, Cass. n. 31976/2021). Pertanto, l'applicazione di nuovi criteri impositivi che portano ad un incremento del carico fiscale, deve comunque essere "spiegata" al destinatario degli atti intimativi di pagamento, qualora ciò non sia già avvenuto con un apposito avviso di accertamento. Ciò, perché il contribuente ha "diritto di difendersi con cognizione delle ragioni giuridiche e di fatto" poste a base della pretesa fiscale. Applicando i suddetti principi alla fattispecie concreta, il Collegio ha sottolineato come l'incremento del carico fiscale rispetto al precedente regime era scaturito dalla eliminazione da parte del Comune delle agevolazioni previste, “verità” emersa soltanto a seguito del ricorso (il Comune non aveva contestato il diritto all'agevolazione, ma soltanto l'omesso versamento), per cui la società, chiosano i giudici, aveva ben ragione di dolersi di non conoscere le ragioni dell'incremento della tassazione (an), senza contare, poi, che anche la nuova quantificazione del tributo andava illustrata (quantum). Pertanto, ha concluso la Corte, un atto impositivo emesso ai sensi dei commi 161 e 162 dell'art. 1 della l. 296/2006 per contestare “un omesso versamento” e motivato sul solo presupposto di proprietà dei beni per i quali si richiede il pagamento dell'IMU, è infondato laddove il contribuente provi di non aver provveduto a tale pagamento in forza dell'avvenuta e tempestiva presentazione della dichiarazione che, ai sensi di una specifica norma di legge, era condizione necessaria e sufficiente per usufruire del beneficio fiscale e di cui l'Ente Impositore non ne ha eccepito infedeltà alcuna entro il termine di decadenza dell'azione accertatrice.
Osservazioni conclusive. A parere di chi scrive, la sentenza in commento realizza una “perfetta osmosi” tra i principi espressi nello Statuto dei diritti del contribuente (l. 212/2000), nella legge generale sul procedimento amministrativo (l. 241/1990) e nelle disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (art. 42, d.P.R. 600/1973) e quelli sanciti nella Costituzione (art. 24 e 97) ed espressi in seno alla giurisprudenza di legittimità.
In particolare:
Con riferimento all'art. 24 della Costituzione, la Corte di Cassazione ha in più occasioni affermato l'obbligo di idonea e completa motivazione dell'atto impositivo, in linea con l'anzidetto art. 7 dello Statuto, al fine di assicurare al contribuente il pieno esercizio del diritto di difesa nel giudizio di impugnazione, non potendo, pertanto, l'Ufficio integrare il contenuto della motivazione in corso di causa ma dovendosi limitare ad illustrare fatti e questioni oggetto della stessa, nell'ambito di una paritaria dialettica processuale, al fine di incidere sul convincimento del giudice (ex pluribus, Cass. n. 2382/2018, n. 12400/2018, n. 3762/2019, Cass. n. 28560/2021)
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